Ognuno di noi produce una scia digitale di informazioni su di sé e su quello che fa: Sono informazioni frammentate, una specie di puzzle: ricostruire il puzzle dai frammenti è estremamente difficile. Difficile per noi, almeno. Perché aziende di pubblicità, compagnie internet e governi invece lo stanno facendo, mettendo insieme i tasselli del mosaico.
La localizzazione geografica è oggi l’aspetto più importante della nostre tracce digitali. È l’Eldorado dell’industria della pubblicità, è cruciale per i governi e le intelligence. Il telefono è un rilevatore di posizione, ti localizza attraverso i ripetitori telefonici e la localizzazione Gps dei satelliti, i dati del Wi-Fi. Tutte informazioni a disposizione del proprio operatore telefonico, e dalle app che scarichiamo se diamo loro il permesso.
Il telefono, e le app che ci stanno sopra, tracciano e memorizzano le nostre posizioni non solo quando usiamo le mappe o i navigatori. Lo smartphone potrà inviare la sua posizione per fornire pubblicità collegate alla localizzazione geografica dell’utente. È il grande tema della pubblicità mirata in base a dove si trovano gli utenti, e in base a quali pagine web frequentano.
I dati di localizzazione possono essere usati anche dai fornitori di app del telefonino. Ad esempio, nel nostro caso, Google, dato che abbiamo un account presso di lui. Per toccare con mano basta andare, se si è loggati nel proprio account, all’indirizzo Google.it/locationhistory. Se la storia della localizzazione geografica era attivata (se non l'avete spenta di base è attivata), qui abbiamo un diario di tutti i nostri spostamenti, giorno per giorno, ora per ora, metro per metro.
Per altro andrebbero aggiunte, a questo “diario personale” non sempre consapevole, anche le registrazioni tenute da Google dei comandi vocali - per eseguire ad esempio ricerche online, o registrare promemoria - se si usano su dispositivi Android . Sono dati che restano a disposizione solo dell’utente (e di Google). Per controllare la propria storia audio: https://history.google.com/history/audio
Nel corso di quella stessa giornata mi sono scambiata anche delle comunicazioni con varie persone usando alcune app. Cinque messaggi via WhatsApp, cinque via iMessage, due via Telegram. Non tutti erano cifrati end-to-end (da dispositivo a dispositivo, il livello più sicuro di cifratura perché solo i due utenti che comunicano hanno le chiavi per decifrare i messaggi che quindi non possono essere letti neppure dall’azienda che gestisce il servizio).
Nel caso di WhatsApp i messaggi hanno la cifratura end-to-end, significa che possono essere letti solo dal mittente e dal ricevente, ma hanno lasciato comunque una scia di metadati, Whatsapp conosce i mittenti, destinatari e la data di invio. Nel caso dei file scambiati via Whatsapp, forse non tutti sanno che diventano risorse “pubbliche”, link cui chiunque può accedere, ovviamente conoscendo l’URL.