lunedì 31 dicembre 2018

Cop 24, il discorso di Greta Thunberg per il clima

Le decisioni della Cop 24 di Katowice hanno lasciato tanti punti interrogativi. Greta Thunberg, ragazza svedese di 15 anni, pur nella sua giovane età, ha partecipato alla conferenza e tenuto un breve ma emozionante discorso. Non un discorso facile e comodo. Dice chiaramente quello che tutti sappiamo e che la classe politica e le forze economiche non sanno modificare: contro il cambiamento climatico non stiamo facendo abbastanza.
Greta continua la sua azione di sciopero della scuola ogni venerdì, per chiedere al governo svedese e agli altri Stati di agire decisamente contro i cambiamenti climatici. Nel discorso tenuto alla plenaria della Cop 24 la giovane studentessa ha precisato come non fossero state prese decisioni adeguate alla gravità della situazione.
Ecco il discorso.
“Il mio nome è Greta Thunberg, ho quindici anni e vengo dalla Svezia. Molte persone dicono che la Svezia sia solo un piccolo Paese e a loro non importa cosa facciamo. Ma io ho imparato che non sei mai troppo piccolo per fare la differenza. Se alcuni ragazzi decidono di manifestare dopo la scuola, immaginate cosa potremmo fare tutti insieme, se solo lo volessimo veramente.
Ma per fare ciò dobbiamo parlare chiaramente, non importa quanto questo possa risultare scomodo. Voi parlate solo di una crescita senza fine in riferimento alla green economy, perché avete paura di diventare impopolari. Parlate solo di andare avanti con le stesse idee sbagliate che ci hanno messo in questo casino. (…) Ma non mi importa risultare impopolare, mi importa della giustizia climatica e di un pianeta vivibile. La civiltà viene sacrificata per dare la possibilità a una piccola cerchia di persone di continuare a fare profitti. La nostra biosfera viene sacrificata per far sì che le persone ricche in Paesi come il mio possano vivere nel lusso. Molti soffrono per garantire a pochi di vivere nel lusso.
Nel 2078 festeggerò il mio settantacinquesimo compleanno. Se avrò dei bambini probabilmente un giorno mi faranno domande su di voi. Forse mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando era ancora il tempo di agire. Voi dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa, ma state rubando loro il futuro davanti agli occhi.
Finché non vi fermerete a focalizzare cosa deve essere fatto anziché su cosa sia politicamente meglio fare, non c’è alcuna speranza. Non possiamo risolvere una crisi senza trattarla come tale. Noi dobbiamo lasciare i combustibili fossili sotto terra e dobbiamo focalizzarci sull’uguaglianza e se le soluzioni sono impossibili da trovare in questo sistema significa che dobbiamo cambiarlo. Non siamo venuti qui per pregare i leader a occuparsene. Tanto ci avete ignorato in passato e continuerete a ignorarci. Voi non avete più scuse e noi abbiamo poco tempo. Noi siamo qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no. Il vero potere appartiene al popolo. Grazie”.

mercoledì 12 dicembre 2018

Il Pacifico a nuoto

Tutto il Pacifico a nuoto: Lecomte tenta l’impresa per salvare gli oceani
Vi piacciono le imprese? Quelle veramente ardite e coraggiose? Eccone una. Il 51enne francese, Benoit Lecomte, è partito dal Giappone, destinazione S.Francisco in California, per attraversare a nuoto l'Oceano Pacifico in 6 mesi.

Per la partenza Benoit Lecomte ha scelto una data simbolica: la giornata mondiale dedicata all’Ambiente. Si è tuffato nell’Oceano Pacifico in Giappone (a Choshi, vicino a Tokyo) e, se tutto andrà come da programmi, arriverà a San Francisco a nuoto fra 6/8 mesi. Circa 9 mila chilometri di bracciate con un obiettivo preciso: richiamare l’attenzione sull'inquinamento che minaccia i mari e in particolare la presenza di plastica. Il 51enne atleta francese ha preparato questa impresa per anni insieme al suo staff che lo assisterà a bordo di una barca di 20 metri dove Lecomte mangerà e dormirà ogni giorno dopo aver svolto circa 8 ore di attività.
«Non vedo l’ora di iniziare, vedere tutte queste persone qui per me è un’emozione» ha detto ai presenti prima di tuffarsi. Ad accompagnarlo nel primo tratto di mare c’erano i figli che poi sono tornati a riva. Lungo il percorso Lecomte dovrà difendersi da molti pericoli. Intanto le onde. Per evitare di sprecare energie, le persone che lo assistono studieranno le correnti in modo da sfruttare i moti marini per macinare chilometri (il progetto è di percorrerne almeno 50 al giorno). Poi c’è il freddo, che nel mezzo dell’Oceano non è proprio un elemento da sottovalutare. E per questo sarà equipaggiato con mute speciali, dalla testa ai piedi. Infine il pericolo che arriva dagli animali: per tenere lontani gli squali, per esempio, userà un particolare repellente.
Oltre ad assisterlo e a offrirgli riparo per la notte, lo staff effettuerà prelievi di acqua e condurrà piccoli esperimenti per valutare lo stato di salute dell’Oceano. Osservato speciale sarà la Great pacific garbage patch, l’isola di plastica grande almeno quanto il Texas (700 mila chilometri quadrati) che galleggia in un’area compresa tra le isole Hawaii e la California. L’obiettivo è attraversarla interamente a nuoto (circa 1600 chilometri). 
E' un incosciente? Non proprio. Il francese non è nuovo a sfide del genere. Nel 1998 era stato il primo uomo al mondo a completare una traversata dell’Oceano Atlantico in solitaria: 6 mila chilometri in 73 giorni.
Buon Viaggio

martedì 11 dicembre 2018

COP24 a Katowice

Rispettare gli obiettivi previsti dall'accordo sul clima di Parigi del 2015 con la riduzione dell'inquinamento dell'aria, potrebbe consentire di salvare circa un milione di vite all'anno in tutto il mondo. È quanto afferma l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) in un rapporto lanciato alla conferenza Onu sul clima COP24 in corso a Katowice, in Polonia, in cui si sottolinea come le considerazioni sulla salute siano fondamentali per l'avanzamento dell'azione sul clima e si evidenziano alcune raccomandazioni chiave per i politici.
Nei 15 Paesi responsabili della maggior parte delle emissioni di gas serra, l'impatto sulla salute dell'inquinamento dell'aria si stima che costi oltre il 4% del loro Pil, prosegue l'Oms, sottolineando che invece le azioni per rispettare gli obiettivi dell'accordo di Parigi costerebbero circa l'1% del Pil globale.
"Potenzialmente l'accordo di Parigi è il più forte accordo sanitario di questo secolo", afferma il direttore generale dell'Oms. "Ci sono chiare prove che il cambiamento climatico sta già avendo un impatto serio sulle vite umane e sulla salute. Minaccia gli elementi base di cui tutti abbiamo bisogno per la buona salute - cioè aria pulita, acqua potabile sicura, forniture di cibo nutriente e un riparo sicuro - e minerà decenni di progresso nella sanità globale", prosegue, concludendo che "non possiamo permetterci di ritardare ulteriormente l'azione".
Secondo l'Oms, abbandonare le fonti di energia da combustione non solo migliorerà la qualità dell'aria ma fornirà opportunità aggiuntive di benefici immediati per la salute. Per esempio, introducendo opzioni di trasporto attive come muoversi in bicicletta aiuterà ad aumentare l'attività fisica, che a sua volta aiuterà a evitare malattie come diabete, cancro e malattie del cuore.

martedì 4 dicembre 2018

Crew Dragon di Space X

La Space X, l'impresa spaziale di Elon Musk, ha deciso: il 7 gennaio 2019 partira il primo volo della capsula Crew Dragon, destinata a portare gli uomini in orbita. Questa volta si tratterà di un volo dimostrativo quindi senza esseri umani a bordo, ma se tutto andrà bene i primi, ospiti potranno decollare già il prossimo giugno. E probabilmente saranno due astronauti della Nasa.
Il volo, che decollerà da Cape Canaveral, in Florida, subito dopo l'Epifania si aggancerà in modo autonomo alla Stazione spaziale orbitante e, dopo una breve permanenza, si sgancerà per tornare sulla Terra con un tuffo nell'oceano.

sabato 1 dicembre 2018

I gas serra battono ogni record

I loro livelli non sono mai stati così alti come ora e non c'è nessun segno di inversione di tendenza.
A lanciare l'allarme è l'Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), secondo cui le concentrazioni medie di anidride carbonica a livello globale hanno raggiunto 405,5 parti per milione nel 2017, con un trend in continuo aumento (400,1 parti per milione nel 2015).
Senza tagli ai gas serra, afferma sul sito il segretario generale, "i cambiamenti climatici avranno impatti sempre più distruttivi e irreversibili sulla vita sulla Terra".
Dal bollettino del WMO emerge che anche le concentrazioni di metano e protossido di azoto (N2O) sono aumentate. Non solo, anche se esiste un accordo internazionale che lo regolamenti, è stata registrato un aumento dei CFC, i gas responsabili oltre che dell'effetto serra del buco dell'ozono.
Dal 1990, avverte l'organizzazione, c'è stato un aumento notevole dei gas serra l'anidride carbonica incide per circa l'82%.
La CO2  rimane nell'atmosfera per centinaia di anni e negli oceani ancora più a lungo. Al momento non esiste una bacchetta magica per rimuovere tutta l'eccedenza di CO2 dall'atmosfera.
L'ultima volta che la Terra ha sperimentato una concentrazione paragonabile di CO2 risale al periodo compreso fra 3 e 5 milioni di anni fa.

mercoledì 28 novembre 2018

L’auto senza autista debutta nel traffico di Torino

Non solo California. L'auto a guida autonoma fa le prove anche a Torino, in mezzo al traffico e ha portato il Sindaco Chiara Appendino a fare un giro per la sua città. L'autista ha le braccia conserte e i piedi immobili. Non tocca il volante né i pedali: non sterza, non frena, non accelera né si preoccupa di seguire la strada. Non ce n’è bisogno. Ci pensa l’auto.
L’auto a guida autonoma è un atto di fiducia e una liberazione: basta stress al volante, fa tutto da sola. Basta superare la sensazione di panico che istintivamente ti assale nel sapere che il volante sterza da sé. Ieri per la prima volta due vetture senza conducente hanno attraversato il traffico di Torino. L’hanno fatto nel giorno del «Vtm», il meeting sui veicoli a guida autonoma. Una rivoluzione di cui, per l’Italia, Torino è punto cardinale: qui si sperimenterà l’auto senza pilota, su un circuito di 35 chilometri che gli esperti hanno tracciato con i tecnici del Comune.
Trasmette sicurezza la precisione con i cui sensori riconoscono gli oggetti intorno all’auto e li riproducono su uno schermo che segnala anche le distanze da rispettare per evitare pericoli. Basta essere razionali e ammettere che, alla fine, possono calcolare e rilevare ostacoli con più accuratezza dell’occhio umano. Quando il semaforo è rosso l’auto non inchioda bruscamente ma rallenta e, quando - grazie alla tecnologia 5G che si sperimenta sempre a Torino per conto di TIM - le infrastrutture stradali sapranno dialogare con ogni vettura sarà lo stesso semaforo a comunicare con l’auto il tempo di attesa.
La guida nel traffico procede senza intoppi. Merito di una tecnologia fondata su alcuni fattori. Ogni vettura ha un rilevatore che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie attraverso un impulso laser e alcuni moduli per intercettare i punti ciechi. Ci sono, a seconda dei modelli, fino a 20 telecamere che coprono ogni direzione. Il futuro dell'auto autonoma è legato asl 5G (la rete ultraveloce): quando le auto potranno dialogare con gli oggetti esterni, e non solo vederli, si potranno evitare alcuni inconvenienti, vedi il «rosso» bruciato dalla vettura ieri proprio mentre a bordo c’era la sindaca. Un inconveniente dovuto al fatto che il software non è ancora in grado di dialogare con il semaforo, ma, in questo caso, si è affidato all’auto che precedeva.
Torino, capitale dell’auto, si candida a inaugurare un concetto di mobilità rivoluzionario: nuovi modelli, sistemi di guida avanzati, un processo di digitalizzazione di veicoli e informazioni e il progressivo passaggio all’alimentazione elettrica.
Perché ora l’auto a guida autonoma decolli mancano tre aspetti e sarà proprio compito della sperimentazione affrontarli. Il primo è legato alla legislazione, in ritardo nel regolamentare i veicoli che si guidano da soli. Il secondo punto è la mancanza di una rete 5G così diffusa da permettere la connessione di tutti i dispositivi. E, infine, ci vuole una svolta culturale che porti le persone a fidarsi delle auto.

lunedì 26 novembre 2018

Cosa è il 5G ?

La tecnologia 5G è la nuova generazione per le telecomunicazioni mobili che cambierà le nostre vite
Il termine sta per quinta generazione, e descrive il nuovo standard per le telecomunicazioni, che sarà molto più veloce e potente dell’attuale 4G o della precedente 3G. Praticamente con la rete 3G abbiamo cominciato a scambiarci immagini e video, con la 4G anche in alta definizione. La 5G utilizza una banda wireless a frequenza più alta, chiamata millimeter wave, che consente di trasferire più dati e più rapidamente. Il segnale però copre distanze minori, e questo significa che per attivare il nuovo sistema bisogna rinnovare le antenne, più piccole ma più vicine tra loro.
Secondo la compagnia americana Verizon, sarà 200 volte più rapida della tecnologia 4G. Altri sono più prudenti, e prevedono una velocità superiore di dieci o tre volte. La International Telecommunication Union ha stabilito che il sistema dovrà avere la capacità di trasmettere 20 gigabyte al secondo. 
I vantaggi tecnici saranno principalemente tre: più velocità, maggiore latenza (prontezza di risposta), e la capacità di collegare molti più apparecchi nello stesso tempo. La maggiore rapidità consentirà di trasmettere più dati, più in fretta. La minore latenza aumenterà l’affidabilità. La possibilità di connettere simultaneamente un numero maggiore di strumenti permetterà di sviluppare funzioni come l’Internet of Things (internet delle cose), che consentirà a tutte le apparecchiature di una casa di parlarsi. 
Le potenziali applicazioni rivoluzionarie della tecnologia 5G sono molte. La più ovvia sta nella velocità e nella quantità dei dati che potremo trasmettere. Lo sviluppo delle auto autonome senza guidatore verrà accelerato, così come la realtà virtuale e aumentata, i giochi in streaming, le telecamere per la sicurezza, il riconoscimento facciale. I medici potranno fare interventi e riabilitazione a distanza. Nelle fabbriche migliorerà la gestione dei robot, e nelle strade, nei porti e negli aeroporti il traffico. La connessione non sarà più limitata a smartphone, tablet o computer, ma tutte le apparecchiature nelle nostre case si parleranno. Le smart cities diventeranno realtà, mentre anche allo stadio vivremo esperienze in tempo reale ora impensabili. 
I primi esperimenti sono già in corso, ad esempio a New York, ma il sistema diventerà attivo nel 2020. In Italia Vodafone lo sperimenterà su Milano TIM invece su Torino.

giovedì 15 novembre 2018

L'Era della plastica

Così gli studiosi hanno definito l'età contemporanea, prendendo in prestito una delle scoperte che più ha cambiato la nostra epoca. La plastica, infatti, non esiste in natura ma è un materiale di sintesi che viene ricavato in laboratorio attraverso procedure chimico-fisiche.
Da queste trasformazioni si ottiene una sostanza composta da filamenti che in gergo tecnico si chiamano "polimeri".
Ad inventare questo materiale destinato a cambiare le sorti del mondo è stato un italiano, lo scienziato ligure Giulio Natta che proprio per questa scoperta nel 1963 vinse il Premio Nobel per la Chimica. Dopo un viaggio in Germania, dove già da anni si studiavano i polimeri allo scopo di creare un materiale che imitasse e sostituisse materiali costosi come legno, ceramica o avorio, Giulio Natta ritorna in Italia e applica quanto ha imparato nel campo industriale.
Natta fa in modo che la storica azienda Montecatini stringa un accordo col Politecnico di Milano e grazie a questa collaborazione e a quella con il collega tedesco Karl Ziegler, compie passi avanti nello studio dei polimeri. L'11 marzo 1954 scrive sul suo diario: «Inventato polipropilene», il materiale nuovo che verrà commercializzato con il nome di Moplen e che verrà usato dalla Montecatini per produrre i primi recipienti, scolapiatti e giocattoli di plastica. Questo nuovo materiale diventa indispensabile perché può essere modellato in qualsiasi forma, è resistente, colorato e pure impermeabile.
In realtà una specie di plastica - la "bachelite" - era stata inventata anni prima dall'americano Leo Baekeland: si trattava di una resina ricavata dal petrolio con cui si iniziarono a costruire utensili da cucina e tubi che però - una volta rotti - non si potevano più riciclare.
Da questa intuizione poi alla fine degli anni Trenta nacquero altri materiali della famiglia della plastica: fu inventato il teflon per cavi elettrici, abiti impermeabili e rivestimenti di padelle, il mylar - scoperto per caso dalla NASA alla ricerca di un materiale da mandare nello spazio e adoperato oggi per coperte termiche - ma soprattutto il nylon, con cui nascono le setole degli spazzolini, tende, corde e calze.
Oggi nessuno si sognerebbe di fare una pubblicità alla plastica. E invece guardate cosa succedeva a metà del secolo scorso.

domenica 28 ottobre 2018

Il ponte più lungo del mondo

Dopo otto anni di lavori e 20 miliardi di dollari di spesa la Cina ha concluso un’altra impresa spettacolare: un ponte di 55 chilometri, compresi 6 chilometri di tunnel sottomarino e tre isole artificiali per gli snodi, che collega Hong Kong a Zhuhai nella Cina continentale e Macao. Ridurrà da oltre 3 ore a circa 30 minuti i tempi di collegamento tra le tre città della Grande Area della Baia, e le altre di una regione con una popolazione complessiva di 60 milioni di abitanti. È studiato per durare 120 anni e resistere a terremoti di 8 gradi Richter.
È il ponte dei record: il più lungo del mondo sul mare. Sono state utilizzate 420.000 tonnellate d’acciaio e 1,08 milioni di metri cubi di cemento, 14 mila operai e una flotta di 100 navi per i lavori. Sono stati usati anche accorgimenti per preservare i delfini bianchi della baia e non ostacolare la navigazione dei mercantili (il tunnel sul fondale serve anche a questo).
Le aziende di costruzioni italiane vengono spesso chiamate a realizzare grandi lavori nel mondo, o a risolvere problemi impossibili, e in questo caso è toccato all’italiana Trevi, specializzata in fondazioni, posare in mare 450 piloni di cemento speciale iper-tecnologico. L’intervento, non previsto all’inizio, è stato richiesto in seguito all’improvviso slittamento di un’isola artificiale. Chiamata d’emergenza, Trevi è riuscita in poco tempo a organizzare un enorme cantiere per consolidare e stabilizzare la parte dell’isola artificiale soggetta a slittamento. L’intervento è riuscito e i lavori sono stati ultimati da poco. Trevi ha incassato circa 9 milioni di euro ma al di là della cifra, che non pesa molto sui bilanci di un gruppo di costruzioni di rilievo mondiale, è importante che il lavoro sia stato apprezzato dai responsabili cinesi dell’opera e anche da altri potenziali committenti nel mondo, tanto che già si parla di nuovi incarichi.

sabato 20 ottobre 2018

Nucleare, una tecnologia in declino

La spinta verso l'energia nucleare sembra orami arrestarsi: più passa il tempo più diventa una tecnologia complicata e costosa rispetto alle nuove chance energetiche entrate in campo negli ultimi anni.
Nel 2017 e nella prima metà del 2018 sono stati installati nel mondo solo 7 nuovi gigawatt di energia nucleare, sui 257 gigawatt di nuova potenza complessiva installata. La nuova potenza in rinnovabili è stata di 157 gigawatt. Nel 2017 la potenza nucleare installata è cresciuta a livello globale solo dell'1%, mentre quella solare del 35% e quella eolica del 17%. Le nuove centrali nucleari si trovano quasi tutte in Cina (6), poi in Russia (2) e in Pakistan (1). Secondo il rapporto, la tecnologia atomica con il tempo diventa sempre più costosa, per le misure di sicurezza, la manutenzione dei vecchi impianti e lo smaltimento delle scorie, mentre le rinnovabili costano sempre di meno. I paesi che continuano ad investire sul nucleare lo fanno perchè permette di sviluppare anche il settore militare.
Soprattutto la Cina, affamata di energia e di potenza militare, tiene ancora in vita una tecnologia atomica. Ma al tempo stesso è il principale investitore al mondo nelle rinnovabili, visto che non ha molti giacimenti di idrocarburi e soffoca nel fumo delle centrali a carbone. 
Nel frattempo la Cina ha il primato della corsa alle energie pulite, con investimenti, nel 2018, doppi rispetto a Europa e USA, ed è in primo piano nello sviluppo delle auto elettriche.

lunedì 8 ottobre 2018

Riciclo dei Rifiuti

Un tempo, prima di buttare via qualcosa, i nostri nonni ci pensavano più di una volta. Cercavano di riutilizzare il più possibile. Quando qualcosa si rompeva la riparavano e la gettavano solo nel caso in cui fosse diventata logora e inutile: oggi tutto è cambiato.
Sebbene l'uomo abbia sempre prodotto rifiuti, negli ultimi decenni il progresso e il consumismo (cioè l'acquisto e il consumo di beni materiali), con la sua filosofia poco ecologica dell'usa e getta, ha fatto esplodere il problema. Buttiamo via di tutto, dai vecchi giocattoli alle automobili, dai piatti alle lavatrici, dai computer ai mobili. Per non parlare dei resti della spesa (scatolette, imballaggi per i prodotti, bottiglie di plastica e di vetro, avanzi di cibo).
Per evitare di essere sommersi dai rifiuti, ipotesi non del tutto da trascurare, dobbiamo smaltirli. Come? Una parte riciclata oppure bruciata negli inceneritori, mentre tutto il resto finisce in discarica, dove poi viene sepolto. Quando una discarica è piena se ne fa un'altra.
Naturalmente le discariche creano più di un problema. Innanzitutto bisogna avere spazio a disposizione per farle, poi non sono certo un modo per risolvere la questione dei rifiuti. È come nascondere lo sporco sotto un tappeto, non lo vedi, ma c'è. E cosa succederà quando sotto il tappeto non ci starà più niente? In ogni caso, uno dei principali problemi delle discariche è la perdita di liquami tossici che colano e a volte vanno a inquinare il terreno e le falde acquifere, grandi serbatoi naturali di acqua che poi finisce nelle nostre case. Non va dimenticata, inoltre, la puzza prodotta dalla fermentazione dei residui organici. È soprattutto per questo motivo che la gente non le vuole nel proprio territorio.
Come abbiamo detto, una parte dei rifiuti, invece di finire in discarica, viene portata negli inceneritori per essere bruciata ad alte temperature. Il calore sviluppato con la combustione può essere trasformato in vapore per produrre energia elettrica oppure può essere utilizzato per il riscaldamento delle case.
Gli impianti in grado di fare questa operazione sono chiamati termovalorizzatori. A Brescia si trova uno dei più grandi d'Europa, capace da solo di far fronte a un terzo del fabbisogno di riscaldamento della città. Recuperare energia dai rifiuti è sicuramente un modo intelligente di smaltirli, anche se qualcuno sostiene che le emissioni degli inceneritori alla lunga possano essere nocive per la salute. Ecco perché la maniera migliore per svuotare le discariche è imparare a riciclare. Proprio su questa ultima possibilità si gioca una partita importante rispetto alla salvaguardia dell'ambiente. In questo modo, infatti, si recuperano materie prime, si risparmia energia e nelle discariche finiranno solo i prodotti che non possono essere riutilizzati.
Negli ultimi anni l'Italia ha fatto molti passi avanti nella raccolta differenziata. Dagli uffici statistici dell'Unione Europea (Eurostat) ci dicono che siamo fra i primi in fatto di riciclo. Non ve lo aspettavate eh? Purtroppo ci sono ancora forti disparità fra le diverse regioni. Al nord che ha adottato in buona parte la raccolta porta a porta la differenziata si avvicina al 70% , al centro siamo sul 50% , al sud intorno al 40%. Tuttavia bisogna dire che anche la media europea è abbastanza bassa: i Paesi dell'est hanno ancora molta strada da fare in questo campo. Mentre in Paesi del nord Europa, solitamente molto virtuosi, lo sono anche in questo campo ma con una tradizione più spostata verso i termovalorizzatori e quindi meno improntata al riciclo.
Per una volta siamo fra i primi della classe.

mercoledì 19 settembre 2018

Dallo sterco alla carta

Alcuni ricercatori  hanno ideato un metodo alternativo per produrre carta: sfruttare il letame di alcuni animali. L'idea è venuta ad un chimico mentre era in vacanza a Creta, quando ha visto alcune capre che stavano ruminando in un prato.
Lo sterco di animali erbivori come capre, mucche, cavalli ed elefanti è materia vegetale solo parzialmente digerita e contiene una quantità di cellulosa che può arrivare al 40%. Essa è facilmente recuperabile, con procedimenti che richiedono meno energia e meno trattamenti chimici per trasformarla in fibre pronte per fare la carta rispetto alla cellulosa ricavata dal legno grezzo. Inoltre, la materia prima non manca: pensiamo per esempio agli allevamenti di bovini. Ma, soprattutto, questo eviterebbe il taglio di milioni di alberi, dato che oltre il 40% del legname nel mondo viene usato per la produzione di carta.

martedì 18 settembre 2018

Pannelli in legno X-Lam

Il legno lamellare incrociato (Xlam o compensato di tavole) è un materiale costruttivo di nuova generazione, con proprietà meccaniche migliori e più uniformi rispetto agli elementi in legno massiccio o in legno lamellare incollato in una sola direzione.
Gli elementi in Xlam sono composti da tavole in legno massiccio disposte a strati incrociati (cioè con direzione delle fibre alternata), incollate insieme sotto grandi pressioni per formare un unico elemento massiccio piano, con capacità portante in entrambe le direzioni.
Come materia prima viene solitamente usato legno di conifera, sottoposto ad un processo di essiccazione che lo porta a un’umidità del 12%, valore per il quale il legno è naturalmente protetto dagli agenti biologici come funghi, insetti e muffe.
I pannelli vengono realizzati, in base al tipo di utilizzo e alle richieste di resistenza, con un numero dispari di strati – 3,5,7 o più fino ad uno spessore massimo di 60 cm. L’orientamento relativo delle tavole nei singoli strati è di 90°.
L'incollaggio incrociato permette di avere resistenza in entrambe le direzioni e si evitano spaccature in direzione ortogonale alla fibratura. Inoltre ciò assicura stabilità delle dimensioni del pannello, riducendo a valori trascurabili ritiro e rigonfiamento.
Con un adeguato collegamento dei vari i pannelli usati per le pareti e per i solai, la struttura acquista una notevole resistenza al vento e ai terremoti.
I pannelli in legno massiccio a strati incrociati Xlam hanno una resistenza al fuoco significativamente maggiore rispetto a quella che normalmente assegnamo agli elementi costruttivi in legno e supera quella dell’acciaio e addirittura quella del calcestruzzo. Il legno è infatti un ottimo isolante che conduce il calore da 300 a 400 volte più lentamente rispetto all'acciaio. Gli elementi si carbonizzano lentamente dalla superficie verso l'interno, mentre lo strato carbonizzato riduce ulteriormente la conducibilità dell'elemento ed evita che l'ossigeno arrivi al legno intatto.
Per quanto riguarda la velocità di carbonizzazione, per i pannelli in XLAM si può calcolare che la resistenza media al fuoco di un pannello a 3 strati sia di 30 min, per un pannello a 5 strati si raggiungono i 60 min, mentre per pannelli più spessi e pareti con più strati si arriva anche a 90 min o più.

venerdì 14 settembre 2018

Cibo con prodotti scartati

Un grande gruppo di supermercati olandese ha messo in vendita, per la prima volta, prodotti realizzati con cibi destinati a essere scartati.  Questa iniziativa contro lo spreco ha preso il via a Weneigen, una cittadina a 100 km da Amsterdam. La catena di supermercati Jumbo ha creato la prima linea di prodotti fatti con gli scarti alimentari: birra realizzata con pane raffermo, zuppa da verdure rovinate, sidro con mele ammaccate e sapone fatto con bucce d'arancia (foto a destra). L'iniziativa fa parte del programma "United against food waste" (uniti contro lo spreco del cibo) del governo olandese, che vuole dimezzare entro il 2030 la quantità di cibo buttato.
I risultati sono confortanti: nella prima settimana sono stati più di 700 i prodotti venduti, il doppio di quelli del reparto dedicato ai cibi biologici. Un segnale che indica che con progetti concreti si può riuscire a ridurre i 220 milioni di tonnellate di cibo sprecati ogni anno. "United against food waste" (che coinvolge gruppi pubblici e privati e università) sta studiando le reazioni dei consumatori verso questo tipo di alimenti per promuoverli al meglio.

domenica 2 settembre 2018

Le onde elettromagnetiche

E' passato più di un secolo da quando l'elettricità è entrata nella vita di tutti i giorni. Da allora ha trasformato talmente la nostra esistenza che non sarebbe neppure immaginabile non solo il farne a meno, ma limitarne appena l'uso. Oltre a questo fatto, non dobbiamo dimenticare che la materia e quindi noi stessi esistiamo solo grazie all'elettricità che tiene insieme gli atomi. I nostri occhi vedono solo perché sono sensibili alla radiazione elettromagnetica.
L'elettricità mette a disposizione nelle nostre case in maniera semplice, sicura, economica e non inquinante una fonte di energia che si presta meglio di qualsiasi altra agli usi più disparati.
L'elettricità ha varie forme. Essa entra nelle nostre case non solo tramite i fili "della luce" ma anche sotto forma di onde, le cosiddette Onde Elettromagnetiche (E.M.). Le onde E.M. più potenti che entrano in casa sono le onde luminose, in particolare la luce solare. L'energia trasportata dal Sole sotto forma di onde E.M. rende possibile la vita sulla Terra.
Naturalmente come tutte le fonti di energia l'elettricità può essere pericolosa: la scossa elettrica e la folgorazione sono i rischi dell'elettricità, tanto è vero che ogni anno un certo numero di persone perde la vita in incidenti sul lavoro e domestici. 
Purtroppo spesso si dimenticano i rischi reali mentre ci si concentra su quelli presunti che colpiscono maggiormente l'immaginazione.         
Sappiamo bene che una sovrabbondanza di energia può avere effetti dannosi: troppa luce abbaglia e ancora di più brucia la retina. I raggi ultravioletti (ancora elettricità!) abbronzano ma troppi possono provocare il cancro alla pelle. Quello che conta è l'energia rispetto alla zona sui cui essa si riversa. Un Laser da 2 millesimi di Watt guardato a lungo direttamente ci renderà ciechi perché la sua energia è molto concentrata mentre possiamo fissare senza problemi una lampadina da 40 Watt la cui luce si diffonde in tutte le direzioni.         
Oltre alle onde luminose sappiamo che entrano nelle nostre case onde prodotte artificialmente da stazioni radio, TV, telefonini, computers, ecc. Tutte queste onde trasportano energia in maggiore o minore misura. Il loro effetto sull'organismo è variabile (perché sono onde con caratteristiche diverse) ma sempre in primo luogo conta l'energia o la potenza.         
Il forno a microonde cuoce un pollo fornendo energia che viene depositata nel pollo da onde E.M. e si trasforma in calore. L'energia necessaria alla cottura è all'incirca la stessa che ci vorrebbe per cuocerlo in un normale forno, solo che con la cottura a microonde non ci sono dispersioni e in complesso il metodo è più efficiente, per cui il pollo cuoce prima.         
Il telefonino irraggia energia che in parte si deposita nella testa di chi parla. Il meccanismo che si innesca è lo stesso del forno, con la differenza che, essendo l'energia molto inferiore, non si ha la "cottura" ma solo un riscaldamento locale dei tessuti. Su questo argomento sono da tempo in corso studi che non hanno evidenziato per il momento effetti dannosi.
Gli elettrodotti e l'impianto elettrico di casa generano deboli campi elettromagnetici ma non producono onde E.M. dato che la loro frequenza (50 Hz) è troppo bassa. Mentre i campi associati a onde si propagano a grande distanza dalla sorgente i campi delle linee elettriche "muoiono" rapidamente allontanandosi da esse. Lo stesso vale per i comuni elettrodomestici (phon ecc.)      
La potenza di un ripetitore per telefonia mobile è maggiore di quella di un telefonino. Tuttavia il fatto che il telefonino sia posizionato accanto alla testa comporta che l'effetto di riscaldamento da esso prodotto è in pratica molto maggiore di quello del corrispondente ripetitore.
L'elettrosmog denota l'insieme dei campi E.M. prodotti artificialmente. Si tratta di un termine giornalistico in uso solo in Italia ed entrato nel lessico corrente. Ha una connotazione negativa che suggerisce di includere i campi E.M. fra le fonti di inquinamento.
L'elettrosmog è un serio problema per la salute?
Occorre distinguere fra campi a bassa frequenza (linee elettriche, elettrodomestici) e ad alta frequenza (telefonini), dato che i due casi sono completamente diversi. Il problema delle basse frequenze è stato studiato ormai da oltre 20 anni concludendo che i rischi, ammesso che esistano, sono molto bassi. Data la bassa pericolosità è operativamente difficilissimo ottenere risultati dagli studi epidemiologici. Ci sono inoltre troppi fattori di disturbo che rendono le conclusioni assai incerte. Per quanto riguarda i telefonini le conclusioni sono simili ma lo studio è stato fatto per forza di cose da un tempo molto inferiore (1992). Tuttavia molti fenomeni connessi con l'effetto sull'organismo delle onde radio in generale sono stati investigati fin dagli anni '30.
Non si è trovata una relazione dose-effetto, ossia un aumento dei casi di malattia con l'aumentare dell'esposizione al campo (la "dose"). La mancanza di una relazione dose-effetto rende tutta la teoria dell'elettrosmog poco plausibile. Inoltre, in assenza di tale relazione non ha senso imporre dei limiti di esposizione.

mercoledì 29 agosto 2018

Chi era Galileo Ferraris?

Galileo Ferraris (Livorno Vercellese, 1847 – Torino, 1897) nasce in un piccolo paesino del Piemonte, Livorno Vercellese che oggi porta il suo nome: Livorno Ferraris. Insieme ad Antonio Pacinotti è ingegnere italiano che, nel XIX secolo, ha dato il massimo contributo allo sviluppo dell’elettrotecnica. Sono sue invenzioni il campo magnetico rotante e una sua immediata conseguenza, il motore elettrico a corrente alternata.
Figlio del farmacista del paese, vive all’interno di una famiglia piuttosto numerosa: ha, infatti, tre fratelli e tre sorelle. Il suo nome indica quanta attenzione si prestasse in famiglia alla scienza. Un interesse che non viene meno neppure quando Galileo, a solo 8 anni, resta orfano del padre e si trasferisce in casa di uno zio medico, a Torino. Compie gli studi classici presso il Collegio di San Francesco di Paola, poi si iscrive e si laurea in ingegneria civile nel 1869
Entra da subito nell'ambiente accademico, dapprima come aiuto, poi nel 1877, come insegnante di fisica tecnica presso il Regno Museo Industriale di Torino (il futuro Politecnico di Torino). Nominato membro dell'Accademia delle Scienze, è stato il primo civile ad insegnare presso l'Accademia Militare.
Nel 1881 è inviato dal governo del giovane Regno d’Italia a rappresentare il paese alle esposizioni internazionali di Parigi e di Vienna. Ritornato in Italia fonda a Torino una scuola di ingegneria elettrotecnica nell'ambito del Museo industriale. Approfondendo i temi della tesi di laurea, lavora negli anni successivi alla possibilità di utilizzare la forza meccanica dei corsi d'acqua per alimentare macchine alternative o complementari al carbone (materiale di cui l’Italia non ha mai abbondato).
Galileo Ferraris è un patriota che sente il dovere di lavorare per il giovane paese. Ma, dice, «sono un professore, non un industriale», fornendo una concreta dimostrazione  di come persino gli ingegneri nell’Italia post-risorgimentale non coltivassero particolarmente lo spirito imprenditoriale e, dunque, contribuissero a frenare la trasformazione del paese da agricolo a industriale. Al contrario, come è nello spirito italiano del tempo, Galileo Ferraris mantiene stretto il rapporto tra tecnologia e matematica pura.
Per tutta la sua vita dimostrerà di possedere il genio dell’invenzione ma non lo spirito dell’industriale. 
Ferraris si interessa di vari temi, ivi inclusa i principi fisici dell’arte musicale. Ma i suoi maggiori contributi sono in elettrodinamica. Riprendendo i lavori di Ottaviano Fabrizio Mossotti sulle correnti alternate, nel 1885 realizza il campo magnetico rotante che rende possibile la realizzazione di un motore asincrono. Il motore elettrico asincrono a corrente alternata ha un grande successo e Galileo Ferraris diventa noto in tutto il mondo.
Ma non è lui a cogliere i benefici economici dell’invenzione. Ferraris, infatti, insiste nel sostenere che lui è un professore, non un industriale. E non brevetta la sua invenzione. Nel 1888 pubblica un articolo dove spiega in dettaglio la costituzione del suo motore. Quarantatre giorni dopo Nikola Tesla ottiene in America cinque brevetti, tra cui uno sul motore asincrono.
Nel 1892 la Westinghouse, che ha acquistato i diritti da Tesla, e la General Electric iniziano la produzione industriale dei motori asincroni, facendo ampio uso delle idee di Galileo Ferraris.
Edison ha definito Galileo Ferraris "il più grande degli elettrotecnici viventi"
A parte quelle economiche, l’ingegnere riceve tutti le gratificazioni che merita. Diventa socio dell’Accademia dei Lincei, fonda insieme ad altri l’Associazione Elettrotecnica Italiana e nel 1896 viene nominato Senatore del Regno d’Italia.
Muore nella sua Torino l’anno successivo di polmonite a soli 50 anni.
A Galileo Ferraris è intitolato l'Istituto elettrotecnico nazionale con sede a Torino, la città dove è stato fondato nel 1934. L'istituto oggi dispone di una raccolta di strumenti elettrotecnici, realizzati agli inizi del Novecento, in sostituzione degli originali di Ferraris andati perduti in un incendio nel 1899. Per quanto riguarda l'attività scientifica, qui proseguono le tradizionali ricerche nel settore dell'elettricità applicata e della metrologia, la disciplina che si occupa sia di compiere le misure sia di garantire la precisione dei campioni presi come riferimento per effettuarle. Proprio questo genere di studi rende famoso l'istituto. Il segnale orario che scandisce le trasmissioni radiofoniche e televisive delle reti pubbliche nazionali è sincronizzato proprio sugli orologi dell'Istituto Galileo Ferraris di Torino.

domenica 19 agosto 2018

Il Rex alla conquista del Nastro Azzurro

Il 1° agosto 1931 Vittorio Emanuele III e la moglie Elena vararono il leggendario transatlantico. Entrato in servizio l'anno dopo, nell'agosto 1933 attraversò in quattro giorni l'oceano, vincendo il «Blue Ribbon» (Il Nastro Azzurro) ed entrando così nella leggenda. Trasformata nel '40 in nave ospedale, fu affondata nel 1944 dagli aerei inglesi nel golfo di Tireste.
Mitica è rimasta la scena della folla di residenti e turisti al largo delle coste di Rimini in attesa del Rex, più famoso transatlantico al mondo, vincitore del Nastro Azzurro. Eccolo comparire in un tripudio di sirene, schizzi d'acqua, luci e saluti. Peccato sia una scena totalmente inventata dall'immaginifico Fellini nel suo «Amarcord» perché mai la nave aveva attraversato l'Adriatico. O meglio lo fece una volta sola, alla chetichella, per andarsi a nascondere nel golfo di Trieste dove sperava, inutilmente, di nascondersi alle incursioni aeree degli Alleati. Fu infatti avvistato, bombardato e affondato l8 settembre del 1944. Ponendo fine a una gloriosa carriera iniziata appena 13 anni prima.
Era il 1° agosto 1931 quando il re Vittorio Emanuele III, a cui era dedicato, e la consorte Elena, madrina della cerimonia, facendo volare la classica bottiglia di champagne dietro vita alla leggenda. Anche se per la prima crociera bisognerà attendere ancora un annetto. Il transatlantico era stato commissionato dalla «Navigazione Generale Italiana» ai Cantieri Navali Ansaldo di Sestri Ponente che iniziarono la costruzione il 27 Aprile 1930. Doveva rappresentare la potenza fascista e per questo non vennero lesinate energie, uomini, mezzi e soprattutto quattrini. Il progetto, redatto dall'ingegnere Achille Piazzai, fu rivisto più volte e infine fatto visionare ai tecnici tedeschi che avevano costruito il Bremen e l'Europa, i migliori transatlantici dell'epoca.
Il risultato fu imponente. Con i suoi 268 metri di lunghezza e 31 di larghezza e una stazza di oltre 50mila tonnellate divenne la terza nave più grande al mondo. E in Italia sarà superata solo nel 1991 dalla Costa Classica. Il suo apparato motore era costituito da quattro gruppi di turbine che azionavano altrettante eliche a 4 pale, di circa 5 metri di diametro. Narra la leggenda che fossero così equilibrate da poter essere mosse dalla forza di un unico uomo. La potenza dichiarata dall'Ansaldo, ma solo per confondere la concorrenza, era di 120mila cavalli, in realtà sembra potesse arrivare fino a 142mila. Poteva trasportare fino a 3.800 persone tra 756 uomini d'equipaggio e 3.014 passeggeri: 604 in prima classe, 378 in seconda, 410 nella turistica e 866 in terza.
Il viaggio di inaugurazione iniziò il 27 settembre 1932 al comando di Francesco Tarabotto, con 1.872 passeggeri a bordo. L'inizio fu però pessimo. Un problema alla centrale elettrica di bordo rese pressoché ingovernabile il timone, costringendo il capitano a uno sosta forzata a Gibilterra dove attendere i pezzi di ricambio con cui riparare il guasto. Molti passeggeri preferirono allora prendere il treno e trasferirsi in Germania, per fare il viaggio sul più affidabile Europa. Quando giunsero a New York trovarono però il Rex all'ancora nel porto di New York.
L'anno dopo, ampiamente rodati equipaggio e parti tecniche, il Rex partì alla conquista del Nastro Azzurro il «Blue Ribbon», riconoscimento attribuito alla nave passeggeri che avesse attraversato l'Atlantico, in regolare servizio e senza scali, nel più breve tempo possibile. Non proprio una gara di pura rapidità, poiché le navi seguivano rotte (e distanze) diverse veniva infatti calcolata la velocità media giornaliera. Il transatlantico, sempre al comando del capitano Tarabotto, salpò da Genova alle 11.30 del 10 agosto 1933 e, doppiato lo stretto di Gibilterra, venne «preso il tempo». Dopo quattro 4 giorni, 13 ore e 58 minuti la grande nave da crociera entrava trionfalmente nella baia di New York, avendo coperto le 3.181 miglia a una media di 28,92 nodi all'ora. Togliendo così il trofeo proprio al famoso Europa. Il Rex mantenne il «Nastro Azzurro» per un paio d'anni fino a quando il 3 giugno 1935 non dovette cederlo al francese Normandie, al suo viaggio inaugurale. Il successo dell'impresa fu comunque tale che la Zanussi chiese, e ottenne, di creare una linea di elettrodomestici con il nome «Rex».
Allo scoppio della guerra, anche il Rex fu «chiamato alle armi». Lo Stato Maggiore della Marina inizialmente pensava di trasformarlo in portaerei, imbarcazione che mancò sempre alla flotta italiana e fu causa delle cocenti sconfitte subite dalla marina inglese. Ma non se ne fece nulla e la nave fu adibita a trasporto feriti dal Nord Africa. Inizialmente mantenne la sua base a Genova, ma dopo il bombardamento della città da parte delle unità francesi il 14 giugno 1940 venne deciso il trasferimento nel più sicuro golfo di Trieste. Qui però venne individuato e attaccato dalla Raf l'8 settembre del 1944. Colpito da 123 razzi, il Rex bruciò per quattro giorni prima di rovesciarsi su un fianco e inabissarsi. Dopo la guerra fu considerata la possibilità di recuperarlo ma, visti i costi proibitivi, venne in parte smantellato tra il 1947 ed il 1958.

lunedì 6 agosto 2018

L'invenzione del radar

Robert Watson-Watt, pur non essendo stato un militare, può essere considerato a pieno titolo uno degli uomini che hanno vinto la Seconda guerra mondiale. Il risultato del suo lavoro divenne a tutti evidente nella famosa Battaglia d'inghilterra del 1940, quando la piccola Royal Air Force inglese riuscì a sconfiggere la poderosa Luftwaffe tedesca, vincendo uno scontro che fu decisivo per le sorti del conflitto.
Gli inglesi utilizzarono, infatti, un dispositivo in grado di individuare la posizione degli aerei nemici a lunga distanza, permettendo alle forze di cielo e di terra di organizzare per tempo la controffensiva. L'inventore di questo straordinario sistema fu lo scozzese Robert Alexander Watson-Watt, che aveva iniziato a lavorare nel 1915 come meteorologo presso il British Meteorological Office, distinguendosi, nel 1917, per l'invenzione di uno strumento in grado di individuare i temporali.
Nel 1935. divenuto direttore del dipartimento radio del National Physical Laboratory, scrisse una breve nota al governo inglese in cui spiegava di essere riuscito a usare le onde radio per individuare oggetti a grande distanza, mettendo a frutto gli studi compiuti nel 1887 dal fisico tedesco Heinrich Hertz (1857-1894). Nell'aprile di quello stesso anno registrò il brevetto per la sua invenzione, che chiamò Radio Detection And Ranging, abbreviato in Radar. Il sistema funzionava grazie a un'antenna che in modalità trasmittente emetteva un segnale radio. Se il segnale incrociava un aereo, la sua massa faceva tornare indietro l'onda radio, che veniva captata dall'antenna in modalità ricevente. Conoscendo l'angolo di direzione e il tempo di risposta era possibile, con un semplice calcolo, individuare la posizione del velìvolo.
Il primo modello di Watson-Watt era in grado di segnalare aerei a una distanza di quasi 150 Km, sufficienti a dare l'allarme per mettere in funzione le difese della contraerea. Nel settembre del 1938 èhtrò in funzione lungo la
costa inglese una serie di apparati per aumentare la possibilità di intercettare un numero maggiore di aerei che forniva dati 24 ore su 24. A testimonianza della rilevanza strategica dell'invenzione, i 18 radar funzionanti nel 1939 divennero 53 prima della fine della Seconda guerra mondiale e per i meriti Watson-Watt fu nominato cavaliere del regno nel 1942.

venerdì 3 agosto 2018

Che cos'è l'impronta ecologica?

Per vivere abbiamo bisogno di sfruttare le risorse che la natura ci dona: cibo da mangiare, acqua da bere, abiti da indossare, suolo da occupare. Ma come facciamo a sapere quanti di questi beni stiamo utilizzando, se stiamo consumando troppo e quanto abbiamo ancora a disposizione?
Per misurare la domanda dell’uomo nei confronti del nostro Pianeta si utilizza un indicatore chiamato impronta ecologica : un valore che calcola di quante risorse naturali l’uomo ha bisogno e le confronta con la capacità della Terra di rigenerare quelle risorse.
Per calcolarla si prendono in esame le abitudini di ciascuno in fatto di scelte alimentari, quantità di rifiuti prodotti, superficie di suolo occupato, abiti o altri beni acquistati, energia consumata, anidride carbonica emessa in atmosfera .
Più l’impronta ecologica è alta, più la salute del Pianeta è a rischio: significa che mentre l’uomo non accenna a diminuire le sue richieste, la Terra fatica a "stargli  dietro", e non riesce a sostituire ciò che egli ha consumato.
Gli scienziati hanno calcolato che attualmente stiamo vivendo come se avessimo una Terra e mezza a disposizione , e prima del 2050 arriveremo a consumare come se ne avessimo 2. L’anno scorso, poi, abbiamo terminato tutte le risorse che la Terra potrebbe rigenerare in un anno in poco più di 7 mesi . Le notizie, quindi, non sono incoraggianti: è chiaro che abbiamo uno stile di vita al di sopra delle nostre possibilità.
Per fortuna anche noi, nel nostro piccolo, possiamo contribuire ad abbassare la nostra impronta ecologica. Come? Per esempio, scegliendo, quando possibile, di spostarci in bicicletta o con i mezzi pubblici , piuttosto che farci scarrozzare in auto; o mangiando frutta e verdura di stagione , che non debbano aver compiuto centinaia di chilometri per finire nel nostro piatto; o ancora, ricordandoci di spegnere la luce quando usciamo da una stanza e di non lasciare pc o tv in stand-by quando non li stiamo usando. Tutti piccoli accorgimenti che contribuirebbero a ridurre il nostro impatto sul Pianeta.
Calcolatore di impronta ecologica

lunedì 30 luglio 2018

Plastiche biodegradabili


l riciclo della plastica, fino a oggi invocato come una delle soluzioni per combattere l’inquinamento, non è più sufficiente.
Secondo uno studio della Scuola Agraria del Parco di Monza, l’unica soluzione sarebbe quella di dare uno stop alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti usa e getta.
Secondo l’indagine, il riciclo – più volte indicato come strada maestra da percorrere – sarebbe insufficiente per fermare l’invasione della plastica.
Ipotesi questa supportata anche dai dati raccolti nel 2017 da Corepla (il consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica), che mostrano come in Italia solo 4 imballaggi di plastica su 10 di tutti quelli immessi sul mercato vengono effettivamente riciclati; dei rimanenti, 4 vengono bruciati negli inceneritori – pratica tutt’altro che priva di conseguenze negative per l’ambiente.
Un’altra soluzione sono le eco-plastiche. Per esempio la plastica biodegradabile che si scioglie in acqua: un’idea rivoluzionaria, che aiuterebbe a risolvere i gravi problemi all’ambiente e alla fauna marina.
La soluzione l’ha trovata un gruppo di ingegneri cileni, usando il calcare al posto del petrolio. La nuova plastica, sarà di nuovo usata nei supermercati e nei bar, ma la sua componente biodegradabile anzi solubile, non inquinerà.
Oppure altre innovazioni, questa volta italiane, delle plastiche biodegradabili ricavate da scarti di lavorazioni agricole.
Unico problema: sono più care delle plastiche tradizionali fatte di petrolio. Ai governi tocca con la tassazione favorire le nuove plastiche e disincentivare le vecchie inquinanti.

mercoledì 25 luglio 2018

Italia a rischio desertificazione

È presto per immaginare le nostre città circondate da gigantesche dune di sabbia percorse da carovane di dromedari, ma indubbiamente la situazione è seria. In effetti, fino a 5.000 anni fa anche il deserto del Sahara era un'immensa distesa di boschi, fiumi e laghi. Poi il clima cambiò. Così, lentamente, si trasformò in un luogo polveroso e secco e il silenzio prese il sopravvento su tutto.
Non è detto che il destino dell'Italia sia questo ma è bene sapere che la desertificazione è in progressiva espansione in molte aree del mondo, tanto che ogni anno almeno sei milioni di ettari di terreno perdono la loro fertilità, e il nostro Paese non fa eccezione. Alcuni studi parlano di un terzo del territorio italiano a rischio e che il 5% è già desertificato. Le regioni più interessate sono Basilicata, Campania, Calabria, Sardegna e Sicilia, ma anche territori tradizionalmente umidi e produttivi.
Il processo di desertificazione è causato da una combinazione di fattori: quelli naturali includono l'aumento della temperatura, la scarsità prolungata di piogge (mentre quelle brevi e intense rimuovono il fertile strato superficiale del terreno) e la forte evaporazione, ovvero l'acqua che dalle piante e dai terreno passa all'aria sotto forma di vapore. Ma giocano un ruolo significativo anche la pendenza del terreno (dove questa è maggiore viene trattenuta meno acqua), l'erosione del vento e la salinizzazione delle coste, cioè un accumulo di sale nel suolo, che impedisce la vita delle piante.
A peggiorare la situazione, accelerando il fenomeno, intervengono le cause "umane": l'abbattimento di boschi e foreste toglie al suolo una protezione fondamentale, così come gli incendi, spesso provocati intenzionalmente per creare terreni liberi per l'allevamento o per le costruzioni edilizie. L'agricoltura e i pascoli intensivi lo "spremono" senza dargli la possibilità di rigenerarsi. Infine l'eccessivo prelievo di acqua contribuisce a lasciarlo a bocca asciutta.

lunedì 16 luglio 2018

Come stanno i nostri mari?


È stato sufficiente poco più di un secolo per trasformare mari e oceani da grandi serbatoi di vita animale e vegetale a luoghi assediati dallo sfruttamento e soffocati dall'inquinamento. I trasporti marittimi e ancora di più le sostanze inquinanti che arrivano dalla terraferma, come gli scarichi e i liquami delle città (più della metà della popolazione mondiale vive a meno di 100 chilometri da una costa e due terzi delle grandi metropoli del mondo sono città costiere), delle industrie, dell'agricoltura e dell'allevamento stanno lentamente avvelenando l'ecosistema marino.
Nel Golfo del Messico c'è addirittura una "zona biologicamente morta", causata da un cocktail di pesticidi, fertilizzanti, scarichi industriali e fognari, trasportati dal Mississippi. Un'area grande quasi come l'Emilia Romagna, oggi completamente priva di organismi viventi.
In alto mare la situazione non è migliore. Qui non è l'inquinamento il problema principale. Il pesce sta vertiginosamente diminuendo, sotto i colpi implacabili della richiesta del mercato e delle migliaia di pescherecci che incrociano nelle acque del Pianeta.
Si pesca troppo e male.
Lo sviluppo della tecnologia ha visto infatti aumentare smisuratamente le capacità distruttive dell'uomo. Ne sono un esempio le moderne factory trawler, enormi navi che sono vere e proprie fabbriche galleggianti, capaci di catturare 500 tonnellate di pesce al giorno, di lavorarlo e congelarlo, senza mai dover rientrare in porto.
Secondo la FAO (l’organizzazione delle Nazioni Unite per il Cibo e l’Agricoltura) quasi tutte le maggiori aree di pesca del mondo sono già completamente sfruttate o addirittura esaurite. Inoltre, non tutto il pesce che finisce nelle reti è interessante dal punto di vista economico. Così i pescatori ributtano morto in mare quello che non può essere venduto, perché non ha mercato o perché appartiene a specie la cui pesca è vietata. Vengono chiamate catture accessorie e si calcola che siano un terzo del pescato annuale mondiale.

giovedì 12 luglio 2018

Rischio sismico: sei preparato?

L’Italia è un Paese sismico
Negli ultimi mille anni, circa 3000 terremoti hanno provocato danni più o meno gravi. Quasi 300 di questi (con una magnitudo superiore a 5.5) hanno avuto effetti distruttivi e addirittura uno ogni dieci anni ha avuto effetti catastrofici, con un’energia paragonabile al terremoto dell’Aquila del 2009. Tutti i comuni italiani possono subire danni da terremoti, ma i terremoti più forti si concentrano in alcune aree ben precise: nell’Italia Nord-Orientale (Friuli Venezia Giulia e Veneto), nella Liguria Occidentale, nell’Appennino Settentrionale (dalla Garfagnana al Riminese), e soprattutto lungo tutto l’Appennino Centrale e Meridionale, in Calabria e in Sicilia Orientale. Anche tu vivi in una zona pericolosa, dove in passato già si sono verificati terremoti o se ne sono avvertiti gli effetti. E ciò potrà accadere ancora in futuro.
Cosa succede a un edificio?
Una scossa sismica provoca oscillazioni, più o meno forti, che scuotono in vario modo gli edifici. Le oscillazioni più dannose sono quelle orizzontali. Gli edifici più antichi e quelli non progettati per resistere al terremoto possono non sopportare tali oscillazioni, e dunque rappresentare un pericolo per le persone. È il crollo delle case che uccide, non il terremoto. Oggi, tutti i nuovi edifici devono essere costruiti rispettando le normative sismiche.

Anche il prossimo terremoto farà danni?
Dipende soprattutto dalla forza del terremoto (se ne verificano migliaia ogni anno, la maggior parte di modesta energia) e dalla vulnerabilità degli edifici. Nella zona in cui vivi già in passato i terremoti hanno provocato danni a cose e persone. È possibile quindi che il prossimo forte terremoto faccia danni: per questo è importante informarsi, fare prevenzione ed essere preparati a un’eventuale scossa di terremoto.

Quando avverrà il prossimo terremoto?
Nessuno può saperlo, perché potrebbe verificarsi in qualsiasi momento. Sui terremoti sappiamo molte cose, ma non è ancora possibile prevedere con certezza quando, con quale forza e precisamente dove si verificheranno. Sappiamo bene, però, quali sono le zone più pericolose e cosa possiamo aspettarci da una scossa: essere preparati è il modo migliore per prevenire e ridurre le conseguenze di un terremoto.

Gli effetti di un terremoto sono gli stessi ovunque?
A parità di distanza dall’epicentro, l’intensità dello scuotimento provocato dal terremoto dipende dalle condizioni del territorio, in particolare dal tipo di terreno e dalla forma del paesaggio. In genere, lo scuotimento è maggiore nelle zone in cui i terreni sono soffici, minore sui terreni rigidi come la roccia; anche la posizione ha effetti sull’intensità dello scuotimento, che è maggiore sulla cima dei rilievi e lungo i bordi delle scarpate.

domenica 8 luglio 2018

Inquinamento indoor: le insidie degli ambienti chiusi


Se pensate che chiudere porte e finestre sia la cosa migliore da fare per «lasciare fuori» l'aria inquinata siete sulla strada sbagliata. Anzi, paradossalmente, è l'aria che respiriamo in casa quella potenzialmente più inquinata. Secondo l'ultimo report dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), al mondo nove persone su 10 respirano aria dai valori medi al di sopra dei livelli raccomandati per la salvaguardia della salute. Se l'aria «sporca» è causa di oltre 7 milioni di decessi l'anno, quattro sono da imputarsi a quella degli ambienti chiusi. E non è finita qui: l'inquinamento indoor  così viene chiamato in gergo  è spesso causa di dermatiti, fastidi agli occhi e alla gola, tosse e mal di testa. D'altra parte il 90% della nostra vita si svolge in ambienti artificiali.
Tre grandi categorie. I pericoli arrivano da inquinanti chimici, biologici e fisici, in parte di origine esterna e in parte interna. Responsabili sono gli occupanti stessi degli ambienti e poi l'arredamento, i materiali edili e gli impianti di condizionamento. Prelevando campioni di polvere nell'aria di casa è possibile rilevare la presenza di oltre 40 sostanze potenzialmente dannose. Quando si cucina. Tra gli inquinanti chimici, i più comuni sono i composti organici volatili come il benzene, la formaldeide, il toluene, gli ossidi di azoto e zolfo e il monossido di carbonio. Le cause sono diverse e vanno dal fumo di sigaretta ai processi di combustione che si generano quando si cucina. Ancora peggio se si utilizzano stufe a legna e caminetti. Insospettabili, eppure sotto accusa, sono i materiali utilizzati per l'arredamento come la formaldeide. Altre potenziali fonti «sporche» sono i prodotti per la pulizia e la manutenzione della casa, oltre ai prodotti antiparassitari, alle colle e ai solventi. Tra gli inquinanti biologici, invece, microrganismi e muffe: le loro colonie possono moltiplicarsi negli impianti di umidificazione e nei condizionatori, nei sistemi di riscaldamento e nei frigoriferi.
Poi c’è il pericolo radon, un gas naturale inodore e insapore che viene generato dall'uranio nella crosta terrestre, in quantità diverse da luogo a luogo. Molti suoli e molti materiali da costruzione ne emanano una certa quantità: se all'aperto si disperde nell'atmosfera, nelle case può concentrarsi nei locali interrati o seminterrati e al piano terra. Gli studi epidemiologici dimostrano che l'esposizione a concentrazioni elevate di radon aumenta il rischio di tumori polmonari.
Che cosa fare, allora? Se sul mercato ci sono diverse soluzioni tecnologiche per purificare l'aria ma si può cominciare da tante piccole accortezze. Gli esperti della Società di medicina ambientale sono chiari: non fumare in casa, evitare temperatura e umidità elevate, aprire le finestre almeno due-tre volte al giorno per cinque minuti. E poi utilizzare la cappa quando si cucina, effettuare una corretta manutenzione degli impianti di riscaldamento, usare con parsimonia prodotti per la pulizia e deodoranti, rimuovere, se possibile, i tappeti, passare di frequente l'aspirapolvere, tenere in casa piante da appartamento.

martedì 3 luglio 2018

La fibra di carbonio

La fibra di carbonio,  è un materiale ultraleggero, rigido ed estremamente forte. Ha tutte le carte in regola per sostituire l’acciaio ed è impiegato nella produzione di veicoli ad alte prestazioni come auto da corsa, biciclette, aerei o più comunemente è utilizzata per la produzione di attrezzature sportive: racchette da tennis, canne da pesca, ecc.
La fibra di carbonio è stata sviluppata nel 1958, presso un laboratorio di Claveland, nell’Ohio anche se il primo vero sviluppo produttivo è stato realizzato nel 1963 in un laboratorio britannico, è qui che sono stati messi in evidenza i punti forti di questo materiale.
Per produrre la fibra di carbonio si può partire da diverse materie prime. Il precursore più comune per la produzione della fibra di carbonio è il PAN (Poliacrilonitrile), questo rappresenta più del 90 per cento di tutta la produzione di fibra di carbonio.
Il PAN, prima di essere trasformato in fibra di carbonio, deve subire diversi processi che richiedono alte temperature e molta energia.
Le fibre di carbonio sono sempre più diffuse in ambito ciclistico: la McLaren ha lanciato una bici hitech che pesa soltanto 950 grammi, realizzata in fibra di carbonio (costa 5.000 euro). Si stima che l’impiego della fibra di carbonio in ambito automobilistico potrebbe ridurre il peso dell’auto di circa il 50 per cento così da migliorare l’efficienza del carburante di almeno il 35 per cento. Il vantaggio della fibra di carbonio è che non comprometterebbe le performance di guida, sia in termini di sicurezza che di stabilità. Tale impiego assicurerebbe all'automobilista un risparmio sul carburante di oltre 4.000 euro ma il prezzo di acquisto della vettura sarebbe proibitivo. In più è utilizzata per la realizzazione di componenti delle pale eoliche e apparecchi elettronici.

venerdì 29 giugno 2018

Smart road

Benvenuti sulle Smart road, le autostrade intelligenti prossime venture destinate di qui a breve a rivoluzionare la mobilità del Paese e, più in là nel tempo, apriranno la strada ai veicoli a guida autonoma.
Ci sono i droni che si alzano in volo e sono in grado di monitorare i flussi di traffico, le condizioni meteo e i livelli di inquinamento e attraverso le telecamere verificare di continuo anche lo stato di salute del manto stradale, di ponti e viadotti. Pali piazzati a intervalli regolari diffondono il segnale Wi-Fi, raccolgono le informazioni dai veicoli in movimento e trasmettono a loro volta dati ed informazioni sia ai viaggiatori sia alla centrale del gestore della rete che in questo modo può tenere tutto sotto controllo. 
Poi ogni 30 chilometri ci sono le Green Island in grado di produrre energia elettrica rinnovabile, fotovoltaica oppure eolica, e dove è possibile ricaricare sia i veicoli che i droni.
Via vivavoce, attraverso un semplice smartphone, una voce nella lingua del viaggiatore segnala la presenza di cantieri, eventuali incidenti o interruzioni della viabilità proponendo percorsi alternativi e indicando agli operatori commerciali che trasportano merci limitazioni, suggerimenti o obblighi di percorso.
In caso di emergenza si può attivare il sistema «Sos On Board» e comunicare direttamente con le sale operative dell’Anas comodamente e in tutta sicurezza dall’abitacolo del proprio veicolo senza dover più scendere per raggiungere la colonnina Sos più vicina.
La sperimentazione partirà dalla  Salerno-Reggio Calabria, da poco rimessa a nuovo e ribattezzata A2 Autostrada del Mediterraneo. I primi risultati sono attesi già entro l’anno con i primi 30 chilometri lungo la direttrice Morano-Lamezia Terme messi in rete per poi salire sino a 140 chilometri e quindi arrivare a coprire nel giro di 2-3 anni tutti i 432 chilometri dell’intera A2. In totale l’Anas per «smartizzare» circa 2500 chilometri della sua rete ha stanziato 250 milioni di euro.
L’obiettivo primario è quello di aumentare i livelli di sicurezza degli utenti ma la Smart Road consentirà anche di ridurre le distanze e i tempi di viaggio e sarà predisposta per la connettività dei veicoli a guida autonoma.

lunedì 25 giugno 2018

Conosci i pomodori?

Sono circa 150 anni che usiamo i pomodori in cucina: una tradizione partita dal sud dell’Italia, che si è presto diffusa in tutto il mondo, anche grazie all’invenzione delle pizza. Eppure il nostro rapporto con i pomodori non è sempre stato così sereno: un tempo si pensava fossero velenosi e venivano consumati come frutti (è stata una sentenza della corte suprema americana del 1893 a stabilire che sono ortaggi). Ma di curiosità, tra storia, cultura, cucina, scienza e politica ce ne sono tante. 
Nella seconda metà del '700 si diffonde in Europa un frutto esotico: è una bacca originaria del Perù importata dagli spagnoli che gli Aztechi chiamavano xitomatl. Letteralmente significa “cosa paffuta con l'ombelico”. Sono frutti piccoli e di un colore vicino all'oro, che diventerà rosso, grazie a innesti successivi. 
In realtà il "pomo d’oro" in Italia è noto almeno dalla seconda metà del 1500, quando il medico senese Pietro Andrea Mattioli lo cita per la prima volta in un trattato scientifico. Ma il pomodoro che va di moda nel '500 è una spezia color oro che si mangia a spicchi.
Ci vorrà più di un secolo perché entri in cucina: il primo sugo di cui si ha traccia è la “Salsa di Pomadoro, alla Spagnuola” nel libro di Antonio Latini del 1694 e si prepara mescolando pomodoro alla brace, spellato, con cipolla, timo o maggiorana e aceto.
In realtà a rallentaree la diffusione del pomodoro in cucina è una leggenda che lo descrive come velenoso. Negli anni a cavallo del '700 una grande percentuale di europei teme il pomodoro, soprannominato "mela avvelenata" perché si pensa che gli aristocratici si ammalino e muoiano dopo averlo mangiato. Ma la verità è un'altra: i ricchi europei usano piatti di peltro, ricchi di piombo. Data l'acidità dei pomodori, quando vengono serviti su questa particolare stoviglia, i frutti filtrano il piombo, causando morti per avvelenamento. 
Il nome scientifico dei pomodori è Lycopersicon lycopersicum, che significa pesca del lupo. Si stima che ne esistano circa 10mila varietà: dalla A di Abracazebra alla Z di Zebra Cherry, così chiamato per la buccia a strisce (rosse e verdi).
Il pomodoro fa bene e lo dicono numerosi studi scientifici: secondo uno di questi, i pomodori cotti sono anche migliori di quelli consumati freschi. Cucinandoli per 15 minuti si rompe infatti la parete cellulare del pomodoro, che rilascia il licopene, un prezioso antiossidante, che si ritiene riduca il rischio di alcuni tumori e agisca anche contro il colesterolo alto e malattie cardiache.
La Tomatina è un festival che si organizza l'ultimo mercoledì di agosto di ogni anno nella città di Bunol, vicino a Valencia, in Spagna: il momento clou del festival è la lotta con il pomodoro che si svolge tra le 11,00 e le 13,00. È il più grande combattimento alimentare del mondo. Le strade diventano rosse, cosparse da oltre 120 tonnellate di succo. Migliaia e migliaia di persone arrivano da ogni angolo del mondo per tirarsi i pomodori dal 1945, quando sembra sia nata da una rissa spontanea in cui si erano utilizzati dei pomodori come armi.

venerdì 22 giugno 2018

Nuovi mestieri: il curatore di testamenti digitali

Quando passeremo a miglior vita, che sarà della nostra presenza online? Social network, conti correnti, iscrizioni e abbonamenti: ora c'è chi se ne potrà occupare quando non ci saremo più.
Una società si è specializzata sulla preparazione delle persone, in particolare nelle loro vite digitali, per il giorno in cui non potranno più parlare da sole.
Sta emergendo un nuovo tipo di lavoro, che è un po’ come un "imbalsamatore" di vite digitali. Un lavoro in apparenza bizzarro, che però potrebbe rivelarsi una delle professioni più innovative del futuro. 
La gestione della nostra vita digitale dopo di noi attiene agli aspetti più vari: si va dalle piccole cose, apparentemente insignificanti, come per esempio le impostazioni sulla notifica del nostro compleanno sui social network a questioni più importanti e concrete che riguardano soprattutto coloro che, attraverso Internet, fanno affari, per esempio attraverso l'ecommerce: che ne sarà della presenza online dell'attività? Il sito e la pagina Facebook dovranno continuare a esistere? Chi dovrà amministrarli? Per quanto possa suonare strano, pare che di questi temi i giovani si preoccupino più degli anziani.
Sono già trascorsi 15 anni da quando esistono i social network (Facebook è nato ufficialmente nel 2004) e dunque è prevedibile che le persone che si pongono il problema del "dopo" inizieranno a essere sempre più numerose. E la conferma che si tratti di un tema davvero sentito viene indirettamente anche da Google, che non per nulla fin dal 2013 prevede un piano di gestione dell’account Google in caso di inattività per un lungo periodo: “Stabilisci quando Google dovrà considerare inattivo il tuo account e come dovrà gestire i tuoi dati in seguito. Puoi condividere i dati con persone di cui ti fidi o chiedere a Google di eliminarli”, si legge tra le istruzioni per l'uso.
Forse c’è una nuova consapevolezza di quanta parte della nostra vita sia custodita nei profili che abbiamo attivato in Rete: in passato nessuno ci pensava.

giovedì 14 giugno 2018

Il futuro di Internet viaggia su satellite

Nell'arco di pochi anni lo Spazio attorno alla Terra si riempirà di almeno 13.000 nuovi satelliti per le telecomunicazioni. Nell'arco di 12 anni, tra il 2005 e il 2017, il numero di persone al mondo con un accesso a Internet è passato da poco più di un miliardo a circa 3,5 miliardi e nei prossimi dieci anni Internet raggiungerà 5 miliardi di persone.
Per sostenere questa crescita le principali aziende di comunicazione si appoggeranno sempre di più a reti satellitari, e per il loro sviluppo e dispiegamento nello Spazio il 2018 sembra l'anno della svolta. È infatti nei prossimi mesi che si concentrerà la messa in orbita di nuove "costellazioni" di satelliti per le telecomunicazioni, capaci di portare Internet a livello capillare in ogni angolo del mondo
Ci sono ben otto nuove costellazioni di satelliti per le comunicazioni in preparazione, allestimento o già in fase di dispiegamento in orbita bassa (tra 160 e 2.000 km) o in orbita media, sotto i 2000 km.
Ci vorrà probabilmente un decennio, ma quando queste flotte di satelliti saranno operative al 100% aumenteranno l'accesso alla banda larga. Più la costellazione è vicina alla superficie, minore è la potenza del segnale necessario per comunicare, ma più frequente è il passaggio da un satellite all'altro (in quanto si muovono molto velocemente): per garantire la qualità e la continuità della comunicazione, una rete dislocata in orbita bassa deve perciò essere composta da molti satelliti, anche qualche migliaio.
Per contro, più elevata è la quota orbitale minore è il numero complessivo dei satelliti di quella costellazione e più a lungo rimane "visibile" un singolo satellite al singolo operatore, ma, naturalmente, è maggiore l'energia necessaria per la comunicazione.
Il cavo sottomarino superveloce per Internet
Le nuove reti in allestimento contano circa 13.000 satelliti ma poi esistano i programmi di sicurezza nazionale (segreti). Tutti attorno alla Terra e nessun incidente? In effetti sono tanti, ma non viaggiano tutti lungo una stessa orbita: qualche decina o centinaia di km più in alto o più in basso, e l'autostrada è libera. Su di una singola orbita a 700 km di quota si possono dislocare fino a 2.000 satelliti, a una ventina di km l'uno dall'altro: una possibilità di scontro c'è sempre, magari con qualche satellite fuori controllo, ma è davvero remota.