venerdì 25 novembre 2016

Internauti INTERNATI

La notizia mi sembra clamorosa: in Cina 24 milioni di ragazzi, dai 13 ai 18 anni, sono dipendenti da Internet. Passano le giornate incollati allo schermo, trascurano gli studi per giocare on line, rubano per pagare le scommesse.Hanno smesso anche di dormire, si stanno rovinando la salute.
Per disintossicarli, il governo di Pechino li ha spediti nei campi di rieducazione: caserme dove i giovani sperimentano la disciplina dura e usano la ramazza al posto della consolle. Il percorso di cura ha molte caratteristiche militari: i pazienti indossano la divisa mimetica, corrono all'alba, fanno esercitazioni fisiche estenuanti.
Tao Ran, il colonnello che dirige una base, dice che l'eroina digitale provoca danni cerebrali, calo della vista, dolori, disordine alimentare: sintomi comuni a chi si droga. E annuncia di aver guarito 8 mila ragazzi in 10 anni. Sarà, ma il numero dei guariti mi sembra esiguo. E poi un mese di cura costa 7 mila yuan, cioè un sacco di soldi in Cina.
Davvero non ci sono altri metodi più efficaci e meno estremi per curare questi ragazzi? E
che fine ha fatto quell'antico precetto che diceva: meglio prevenire che curare?

martedì 8 novembre 2016

New Delhi chiusa per smog

Non si vede l’alba da almeno una settimana. Ogni tanto si scorge una sfera incandescente che affonda in un abisso di polvere. È il sole. Il sole di Delhi che soffoca nel peggior smog degli ultimi 20 anni, a livello di allarme «severo»: 1800 scuole pubbliche chiuse per tre giorni, costruzioni e abbattimenti edilizi interrotti per 5 giorni, proibiti i generatori a diesel per 10 giorni, sospesi tutti gli incontri sportivi. 
C’è chi si non riesce a dormire perché gli bruciano i polmoni anche dentro stanze con l’aria condizionata, chi trova smog nei corridoi di alberghi e palazzi. 
Chi può permetterselo scappa dalla città. Auto e furgoncini carichi di valigie, alla ricerca di una boccata d’aria pulita dopo giorni a tossire dentro le mascherine anti-smog. Molti decidono di andarsene per sempre da Delhi, non riuscendo più a convivere con malattie polmonari, malesseri e insonnia. Fuga da quella Delhi che doveva essere, sì, una seconda Pechino, ma che per il momento dai cinesi ha ereditato solo l’inquinamento record, che ha fatto anche chiudere la centrale a carbone di Badpur.
Parliamo di un livello di polveri salito 15 volte oltre il livello di sicurezza indiano e 70 volte oltre quello dell’Organizzazione mondiale della sanità: 900 microgrammi per metro cubo, visibilità sotto i 400 metri. Cifre paragonabili al Grande Smog di Londra del 1952 che causò la morte di 4 mila persone. E chi non può scappare, sfila per protesta con cartelli che dicono: «Non siamo Hiroshima».
Chi sono i colpevoli? Con il raffreddarsi dell’aria, l’inquinamento peggiora sempre e le cause sono, oltre al traffico, anche i molti fuochi a cielo aperto, le fabbriche e la cementificazione di una città, 18 milioni di abitanti, già sovrappopolata. Il tutto peggiorato dalla siccità. La causa principale sono gli agricoltori del Punjab, Stato confinante dove in questa stagione bruciano la parte del grano che rimane in terra dopo il taglio delle spighe. «Siamo in una camera a gas» ha detto Kejriwal, disperato. Dal satellite si vedono enormi nuvoloni neri che dalle campagne, spinte da venti provenienti da nord, portano veri e propri Godzilla di fumo alti chilometri fin sopra la metropoli. 
E poi c’è stato il Diwali, la Festa delle Luci, forse la più importante celebrazione induista annuale, quando moltissime città si trasformano in un orgia di botti, deflagrazioni e fuochi d’artificio, seguiti da dense onde di caligine.
La soluzione migliore al momento pare sia il «cloud seeding», ovvero la pioggia artificiale. Si tratta di spruzzare sale o ioduro d’argento dai jet sulle nuvole per causare condensa e precipitazioni. Probabilità di successo: poche.
Naturalmente, essendo in India, non può mancare l’aspetto religioso e pop. Da giorni è in viaggio verso Delhi il «Baba Ambiente», guru che promette di bruciare legni sacrificali speciali (altro fumo?) per «scacciare il Demone dell’Inquinamento», acquietando così 330 milioni di divinità dell’induismo. Intanto la nuova moda sui social è quella degli «smogfies»: farsi selfie nello smog indossando mascherine che poco possono fare per ridurre l’avvelenamento da polveri sottili.

domenica 6 novembre 2016

Car sharing e car pooling

Il car sharing, che in inglese vuol dire letteralmente “condivisione dell'automobile”, è un servizio che permette agli utenti di poter prenotare una delle auto messe loro a disposizione, utilizzarla e parcheggiarla, pagando esclusivamente l'utilizzo in minuti o in chilometri percorsi.
Un cittadino iscritto al servizio, attraverso una app installate sul proprio cellulare, riesce ad individuare l’auto disponibile più vicina a lui, può prenotarla e raggiungerla. A questo punto, attraverso una card magnetica o direttamente tramite app, l’auto si apre e può essere utilizzata per tutto il tempo che occorre. Una volta terminato l’utilizzo l’utente parcheggia l’auto, o nei parcheggi pubblici di determinate aree della città, o in quelli del servizio stesso e scende dall’auto, che torna ad essere libera e pronta per il prossimo utente. Tra i vantaggi dell’utilizzo del car sharing in numerosissime città c’è la possibilità di entrata libera nelle ZTL (zone a traffico limitato) e il posteggio gratuito entro tutte le strisce blu, che normalmente sarebbe a pagamento.

Il car pooling si differenzia dal primo modello, poiché in questo caso si tratta dell'utilizzo della stessa automobile da più persone per condividere uno spostamento. Si pensi ad esempio a dei lavoratori che devono raggiungere lo stesso luogo di lavoro. A differenza del car sharing, che prevede l'utilizzo dell'auto presa tra quelle della flotta di un’azienda che eroga il servizio, per il car pooling si usa di solito l'auto privata di uno dei passeggeri, che poi dividerà con gli altri tutte le spese del trasporto. Nel tempo diversi siti online hanno creato delle vere community sulle quali si possono offrire passaggi, o trovare utenti che percorrono il proprio stesso tragitto e cercano accompagnatori. Sugli stessi siti è possibile lasciare informazioni sui vari utenti, feedback sui viaggi percorsi e ogni tipo di informazione, in modo da rendere più trasparente e social questo servizio. In Italia sono sempre di più quelli che scelgono il car pooling anche per i lunghi spostamenti.

I vantaggi di entrambi i modelli sono semplici da immaginare, sia a livello economico che ambientale. Infatti attraverso il car sharing, si può evitare l'acquisto e le spese di manutenzione di un’ auto (assicurazione, tasse varie, benzina, usura, parcheggio, lavaggio) utilizzando una vettura esclusivamente per il tempo che necessita lo spostamento, o per il chilometraggio; il car pooling,  invece, permette di dividersi le spese di ogni tratta, svuotando di fatto le strade. Ipotizzando una copertura totale del servizio si avrebbero addirittura 4 auto su 5 di quelle che vediamo perennemente sulle nostre strade ferme ai box, migliorando sia la situazione stradale che quella ambientale delle nostre città.