Costruire microchip — globalmente il 65% è prodotto a
Taiwan— è un'impresa: si parte da barre di silicio, i «wafer», con un diametro
fino a 30 cm, da cui sono generati da 100 a 10 mila chip. La produzione avviene
in ambienti sterili con atmosfera controllata, il personale indossa tute
apposite, guanti, maschere e scarpe speciali. Del resto, particelle di polvere
trasportate dall'aria, perfino scaglie di pelle, potrebbero contaminare i chip,
rendendoli inutilizzabili. Per fabbricarne uno servono tra i 600 e 1.200 passaggi
e possono volerci anche 16 settimane.
Nelle auto, i chip trovano applicazione ovunque si tratti di
aumentare comfort e sicurezza di guida o di ridurre consumi ed emissioni. Ad
esempio, si usano per la gestione di servosterzo, tergicristalli, alzacristalli
elettrici, sensori radar o per il Body Control Module, il sistema nervoso periferico
del veicolo, un computer che controlla le funzionalità non direttamente
correlate al motore. In pratica, tutti i pulsanti si collegano a un singolo
computer che a sua volta accende i fari, apre i finestrini, controlla la
chiusura centralizzata della porta. Ma servono chip anche nei dispositivi che
gestiscono airbag, freni, climatizzatore, luci e nei sistemi di controllo della
trasmissione, nonché nell'unità di controllo motore, il sistema nervoso
centrale dell'auto, che gestisce l'iniezione del carburante e, nei propulsori a
benzina, l'accensione della miscela aria-carburante.
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