lunedì 12 dicembre 2022

Gli 8 stadi dei Mondiali in Qatar 2022

 

Il Lusail Stadium, 80.000 posti, ospiterà la finale del mondiale. Costruito nella zona del circuito di Formula 1 e MotoGP. Ha la forma della tipica lanterna fanar. Gran parte degli spalti sarà poi rimossa e utilizzata per altri progetti sportivi in giro per il mondo.




Il Al-Bayt Stadium, con una capienza di 60.000 spettatori, è stato costruito riproducendo la forma di una tenda beduina. È un impianto caratterizzato dalla presenza di alcune suite con camera da letto, cucina, bagno e accesso riservato in tribuna.








Lo stadio Al Janoub, (40.000 posti di capienza) ha le forme ispirate alla storia e alle tradizioni locali: ricorda il dau, la tradizionale barca a vela araba: il tetto richiama gli scafi dell’imbarcazione e le facciate le pieghe delle vele. 




Stadium 974. 974 è il prefisso internazionale del Qatar, ma anche il numero esatto dei container che compongono l’impianto. Una costruzione decisamente originale: i container hanno colori diversi, ciascuno dei quali indica una tipologia di uso all’interno (bar, bagni, uffici, lounge, spogliatoi).



Al Thumama, ha la capienza di 40.000 posti, è stato aperto per la prima volta a ottobre 2021 in occasione della finale della Coppa dell’Emiro. La sua forma ricorda quella della shashia, un tipico copricapo maschile arabo.








L’esterno dell’Education City riproduce (o almeno vorrebbe) le caratteristiche di un diamante. Anche questo stadio ha una capienza di 40.000 posti, metà dei quali saranno smantellati alla fine della manifestazione.








Prende il nome da Ahmad Bin Ali Al Thani, emiro del Qatar dal 1960 al 1972. La struttura originaria, costruita nel 2003, aveva una capienza di 21.282 posti ed è stata demolita nel 2015.









Il Khalifa International Stadium, ospiterà 40.000 spettatori. Questo stadio è considerato la casa del calcio in Qatar. Fu costruito nel 1976 e poi è stato oggetto di un massiccio lavoro di ammodernamento. Nel maggio del 2017 si è svolta la nuova inaugurazione.







lunedì 5 dicembre 2022

Il cobalto nelle auto elettriche

Nel dibattito sempre più acceso tra favorevoli e contrari alla diffusione dell’auto elettrica tra i materiali più controversi il cobalto, minerale ormai diventato sempre più raro e con notevoli problemi per la sua estrazione.

Il cobalto, simbolo chimico "Co", è un minerale duro,  simile al ferro, resistente ad acqua e aria, mentre risulta più sensibile all’aggressione degli acidi. Viene usato per molteplici attività come la produzione di leghe per turbine dei motori degli aerei a reazione.

E poi c’è l’impiego per il funzionamento delle batterie all’interno delle auto elettriche. Proprio il cobalto è il materiale protagonista del polo negativo della batteria. Il cobalto serve a  estendere il più possibile la durata delle batterie al litio e quindi incrementare l’autonomia delle auto elettriche, aspetto fondamentale per il futuro.

Dopo il 2035, almeno in Europa, rimarranno in vendita solo auto elettriche e la richiesta di cobalto crescerà in modo esponenziale. Il cobalto non è infinito, anzi, è tutt’altro che diffuso sulla Terra e la richiesta sempre maggiore sta abbattendo le riserve a disposizione: ogni automobile necessita circa di 10 kg di cobalto.

Il maggiore produttore mondiale di cobalto è la Repubblica Democratica del Congo, seguita dall’Australia e Indonesia. A questo podio si aggiungono altri Paesi produttori, anche se con riserve ben più limitate come le isole Filippine, la Cina o la Russia.  Con le riserve conosciute di cobalto si potrebbero realizzare 750 milioni di batterie per altrettanti mezzi elettrici e considerando una produzione media annuale di circa 80-90 milioni di veicoli, si potrebbe andare avanti al massimo per 9 anni.  Ma non dimentichiamo che il bobalto estratto ha molti altri usi. E poi ci sono da considerare i costi: una richiesta crescente di cobalto che va esaurendosi comporta un prezzo in crescita, crescita del prezzo delle auto elettriche già oggi troppo care.

La Repubblica Democratica del Congo detiene le maggiori riserve ma i giacimenti sono stati acquistati nella stragrande maggioranza da aziende cinesi. In ogni caso, il Congo rappresenta più della metà della produzione di cobalto a livello mondiale. E quindi vengono i problemi maggiori. Il cobalto del Congo è estratto a mano per oltre il 20% da minatori quasi sempre in età scolare. Di fatto la produzione di cobalto in Congo è direttamente collegata allo sfruttamento del lavoro minorile e alla violazione dei diritti umani. Ci sono alternative per realizzare batterie senza cobalto ma tali soluzioni ancora non garantiscono la stessa affidabilità.

Per evitare lo sfruttamento di migliaia di minorenni dobbiamo quindi rimetterci nelle mani della scienza. La ricerca infatti va avanti e le ultime notizie ci portano negli Stati Uniti. Qui si stanno facendo passi in avanti interessanti per quella che potrebbe essere la miglior alternativa alle batterie contenenti cobalto. La batteria in questione è agli ioni di sodio e potrebbe fare a meno anche del litio, ma per ora la durata è veramente bassa.

In Cina invece si sta lavorando ad una nuova batteria senza nichel e cobalto, con una notevole autonomia

Le case automobilistiche sono desiderose, per problemi di immagine, di liberarsi dal cobalto estratto dai bambini, ma rimangono in attesa che gli studi proseguano perché non producono le batterie ma le comprano da fornitori esterni.  Nel frattempo ci sono brand, come ad esempio Bmw e Mercedes, che si sono schierati apertamente contro l’estrazione di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo scegliendo di acquistare il prezioso minerale da Australia e Marocco.

mercoledì 23 novembre 2022

Ricchezza ed emissioni di carbonio

Secondo recenti studi l’immissione senza misura in atmosfera di gas che causano l’aumento di temperatura a livello globale e della crisi climatica non può essere considerata una responsabilità condivisa ed equamente distribuita tra tutta l’umanità. I cambiamenti climatici terrestri sono infatti maggiormente imputabili a una ristretta cerchia di popolazione ricca che, in particolar modo negli ultimi decenni, ha procurato un consumo sfrenato ed eccessivo delle limitate risorse del pianeta.

Il rapporto Oxfam pubblicato nel 2020, indaga chi sono stati, tra il 1990 e il 2015, i soggetti maggiormente responsabili della crescita del riscaldamento globale, arrivando a rivelare una profonda correlazione tra ricchezza ed emissioni di carbonio. Nei 25 anni considerati, l’1% più ricco della popolazione mondiale, pari a 63 milioni di abitanti,  ha emesso in atmosfera il doppio di CO2 rispetto ai 3,1 miliardi di persone che fanno parte della metà più povera della popolazione. Un dato, questo, che restituisce la fotografia di un mondo lacerato dalle disparità, in cui i più poveri sono costretti a subire l’impatto dello stile di vita insostenibile di una cerchia ristretta di popolazione e a pagarne i costi direttamente sulla propria pelle.

Lo studio prende in esame le emissioni di CO2 relative all’arco di tempo che va dal 1990 al 2015, anni in cui la produzione di tale gas climalterante è aumentata di circa il 60% e procede nell’analisi dividendo la popolazione in tre categorie sulla base del reddito: il 10% della popolazione è considerata ricca, il 40% media e il restante 50% povera. La ricerca ha stimato che nel 2015 il 10% più ricco della popolazione mondiale era responsabile di quasi la metà delle emissioni totali mentre, nello stesso anno, la metà più povera del pianeta era responsabile solo del 7% delle emissioni: ciò sta a significare che circa 60 milioni di persone inquinavano sette volte di più rispetto 3 miliardi di individui. Il restante 44% relativo alla produzione di gas climalteranti era attribuibile al 40% della popolazione che si trovava a recepire un reddito medio. Una proporzione simile a quella rilevata. Un ricco produce emissioni medie pro capite pari a 216 tonnellate di CO2 all’anno mentre un povero emette 0,7 tonnellate, 300 volte di meno.

Da un punto di vista geografico, nel 1990, le più elevate emissioni erano da imputare a una piccola fetta di popolazione ricca che viveva principalmente in Nord America, in Europa e in Russia. Nel 2015 Nord America ed Europa avevano comunque mantenuto il loro primato di ricchi consumatori ma si è assistito all’entrata in scena di altri grandi attori tra i maggiori inquinatori globali, ovvero la Cina e, in misura minore, l’India, diventate in qualche modo la grande “fabbrica del mondo”.

Ora sappiamo con certezza su chi ricadono le maggiori responsabilità e dobbiamo agire di conseguenza.

lunedì 14 novembre 2022

Guglielmo Marconi

Se oggi telefoniamo con un cellulare, un cordless, ascoltiamo la radio, guardiamo la TV, navighiamo su internet usando il Wi-FI lo dobbiamo al genio di Guglielmo Marconi. Nato a Bologna nel 1874 da padre italiano proprietario terriero e madre irlandese è considerato in tutto il mondo il padre del Wireless, la trasmissione di segnali, prima semplici, con il codice Morse, poi via via più complessi passando per le trasmissioni radio, poi radiotelevisive, oggi dati internet.

Compì i primi studi a Bologna e a Firenze, e frequentò a Livorno l'istituto tecnico. Ancora giovanissimo ebbe l'idea di usare le onde elettromagnetiche per stabilire comunicazioni a distanza senza collegamenti con fili. Le onde erano già state studiate da Hertz, infatti erano chiamate onde hertziane. Interrotti gli studi si ritirò nella villa paterna di Pontecchio, nel comune di Sasso Marconi, presso Bologna e qui passò tutto l'inverno 1894-95 (ha 20 anni) in un paziente e tenace lavoro di esperimenti, guidato da una mirabile genialità d'intuito.

Scoprì abbastanza presto l’importanza di un’antenna la più alta possibile. La geniale invenzione dell’antenna gli permise, nella primavera del 1895, di ricevere segnali telegrafici intelligibili sino a 2400 metri di distanza, mentre altri, sperimentando con apparecchi molto simili, non erano riusciti ad andare oltre poche decine di metri; questa invenzione, da sola, giustifica il posto eminente che gli è unanimemente riconosciuto nel campo della radiotecnica.

All’inizio il suo lavoro non suscita particolare interesse in Italia, ma consapevole della grande importanza del lavoro e delle sue future applicazioni, si recò, per consiglio della madre, in Inghilterra, dove riuscì a interessare alla sua invenzione il direttore generale delle poste inglesi e a ottenere (2 giugno 1896) il brevetto del nuovo sistema di telegrafia senza fili. Insieme alle importanti scoperte la consapevolezza dell’importanza dei brevetti, la possibilità di emigrare in Inghilterra grazie alla madre anglosassone e un notevole fiuto per gli affari gli aprirono le porte del successo futuro. 

Dopo avere invano offerto il brevetto in esclusiva al governo italiano, riprese i suoi esperimenti in Inghilterra, riuscendo ad aumentare a 14 km la portata utile del suo sistema. Lo straordinario interesse suscitato in Inghilterra e poi nel mondo intero da questi risultati gli valsero un invito ufficiale perché ripetesse in Italia le sue esperienze instaurando con la Marina italiana quella collaborazione che doveva rivelarsi così proficua negli anni seguenti. 

Per molto tempo il centro naturale della sua attività fu tuttavia l'Inghilterra, dove aveva fondato nel 1898 la Marconi's Wireless Company. Marconi era un lavoratore instancabile e i progressi del nuovo sistema telegrafico furono rapidissimi: nel 1902 stabilì un collegamento tra Europa e America, dalla Cornovaglia (Inghilterra del Sud) alla penisola di Terranova, stabilendo il primo collegamento telegrafico transatlantico senza filo cui seguì l’attivazione del servizio radiotelegrafico regolare Europa-America.

Pur senza una laurea ottenne il premio Nobel per la fisica nel 1909 e nella seconda fase della sua vita, la vicinanza con il regime fascista offuscò non poco la sua immagine. Rimane tuttavia un gigante mondiale per le sue scoperte, e per lo sviluppo successivo delle sue intuizioni.


mercoledì 2 novembre 2022

Il parco solare bifacciale più grande d'Europa

Viene già definito il parco solare con pannelli bifacciali più grande d’Europa quello che sorge in Grecia, precisamente a Kozani, nella periferia della Macedonia occidentale, e che può produrre fino a 350 gigawattora di energia all’anno, sufficienti per alimentare 75.000 case.

E i numeri non finiscono qui. Il complesso, costato 130 milioni di euro, vanta 500.000 pannelli fotovoltaici. L'ha costruito un'azienda tedesca specializzata nelle rinnovabili, che ha poi venduto la sua opera al petroliere locale Hellenic Petroleum.

La Gracia punta ad aumentare al 35% la produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2030. E la strada imboccata sembra buona, perché i dati dicono che la Grecia ha portato la sua quota già oltre il 20%, andando oltre le aspettative.

I pannelli bifacciali sono fatti da celle fotovoltaiche capaci di produrre energia da entrambi i lati, sfruttando non solo l’esposizione al sole, ma anche la luce riflessa dal terreno o da un altro materiale. L’aumento produttivo può arrivare a quasi il 30%.

lunedì 31 ottobre 2022

National Stadium di Singapore



Il nuovo National Stadium di Singapore è un guscio sinuoso con un tetto retrattile simile a uno scarabeo. La cupola si estende per 310 m, rendendola non solo la più grande cupola del mondo, ma anche il primo stadio al mondo con la capacità di ospitare partite di atletica leggera, calcio, rugby e cricket in un unico luogo, convertendosi da un campo all'altro entro 48 ore per 55.000 posti.

Un sistema di raffreddamento ad alta efficienza energetica fornisce aria fresca a ogni posto nello stadio utilizzando meno del 15 percento di energia rispetto a uno stadio con aria condizionata convenzionale, offrendo a ogni spettatore un momento fresco e confortevole per godersi l’evento.

Lo Stadio Nazionale detiene attualmente il record di la più grande struttura a cupola del mondo. Il tetto retrattile impiega 25 minuti per aprirsi o chiudersi. Il tetto è realizzato con un materiale leggero chiamato ETFE, che è resistente alle intemperie e blocca il calore del sole, creando ombra e proteggendo gli spettatori dal clima caldo e umido di Singapore e da potenziali piogge torrenziali. Di notte, il tetto retrattile funge anche da gigantesco schermo di proiezione.

Lo stadio si trova sopra la metropolitana: i treni arrivano due o tre minuti durante le ore di punta e nei giorni degli eventi.

La qualità del campo è stata messa sotto controllo dopo la partita di calcio tra Juventus e Singapore nell'agosto 2014 e nuovamente nell'ottobre 2014 durante l'amichevole Brasile-Giappone. Il sistema iniziale in fibre sintetiche ed erba naturale è stato criticato per la sua natura sabbiosa ed in seguito sostituito da un campo naturale.

VIDEO 1

VIDEO 2

venerdì 28 ottobre 2022

Le lenti a contatto intelligenti

La lente a contatto intelligente proposta da Mojo Vision promette di rivoluzionare il mondo della realtà aumentata. Si tratta di una lente a contatto equipaggiata con un microdisplay, un chip, una batteria e una connessione wireless che permette a chi la indossa di vedere il mondo arricchito da una serie di informazioni in sovraimpressione.

La lente si comanda con i movimenti oculari: spostando gli occhi ai confini del campo visibile si attiva il menu e compaiono le icone che richiamano le varie funzionalità della smart lens: dalle informazioni turistiche sulla zona che si sta visitando a un sistema di navigazione tipo Google maps, ma anche distanza percorsa, battito cardiaco e altre informazioni tipiche di una app di fitness.

Il dispositivo ha le dimensioni di una comune lente a contatto ma contiene al suo interno tantissima tecnologia: un accelerometro e un giroscopio che permettono di seguire i momenti dell'occhio, un display con una risoluzione da 14.000 pixel per pollice e, a breve, una minuscola telecamera che si collegherà a un sistema di riconoscimento delle immagini.

Fantascienza? Non proprio: la lente esiste già sottoforma di prototipo e l'azienda conta a breve di iniziare i primi test di utilizzo. Uno dei problemi più rilevanti che il team ha dovuto affrontare, oltre la miniaturizzazione estrema di ogni componente, è il comfort per l'utilizzatore, dato che tutta la tecnologia presente all'interno della lente di fatto rende molto difficile l'ossigenazione dell'occhio.

sabato 22 ottobre 2022

Cemento più duro grazie ai gamberi

La corazza dei gamberi contiene un biopolimero, la chitina, che aggiunto alla pasta di cemento lo rende fino al 40% più resistente: è quanto scoperto da uno studio pubblicato su Cement rivista specializzata del settore, che sottolinea come l'utilizzo degli scarti dei gamberi contribuirebbe a ridurre le emissioni di CO2 prodotte dall'industria del cemento. 

Il cemento è il materiale più usato al mondo dopo l'acqua: produrlo emette moltissima CO2, poiché richiede l'uso di combustibili fossili per raggiungere i 1.500 °C necessari alla cottura delle rocce. L'industria cementiera è responsabile di circa il 15% dell'intero consumo energetico industriale e del 5% delle emissioni di gas serra a livello mondiale.

Anche i rifiuti ittici sono un serio problema per l'industria peschiera: ogni anno l'Europa da sola produce 2,5 milioni di tonnellate di scarti, la maggior parte dei quali finisce in mare. L'idea dei ricercatori della Washington State University contribuisce dunque a risolvere due problemi – quello delle emissioni dell'industria cementiera e quello dei rifiuti dell'industria ittica – riutilizzando materiali di scarto nell'ottica di un'economia circolare.

Le corazze dei granchi, dei gamberi e delle aragoste sono fatte per il 20-30% di chitina, e per il resto di carbonato di calcio. Aggiungendo i nanocristalli di chitina alla miscela di cemento, gli studiosi sono riusciti dunque a migliorare diverse proprietà del materiale, tra cui la consistenza, il tempo di presa, la durezza e la resistenza. Il cemento "bio" è risultato un 40% più resistente alla flessione e un 12% più resistente alla compressione.


lunedì 17 ottobre 2022

Ameca ci sa imitare

Ameca è un robot umanoide che riesce a riprodurre le espressioni umane: guardarlo mentre ci imita è un'esperienza un po' angosciante che ci proietta nel futuro. Non è la prima volta che il robot umanoide Ameca fa parlare di sé: era salito alla ribalta della cronaca a dicembre scorso, quando l'azienda britannica Engineered Arts, sua creatrice, aveva diffuso un video in cui ne mostrava le capacità espressive. Ora Ameca si presenta ulteriormente migliorato, con dodici nuovi attuatori che gli permettono di assumere espressioni sempre più umane di stupore, disgusto, dolore.

Il principale miglioramento che si nota nel nuovo video diffuso dalla Engineered Arts è che Ameca è ora in grado di utilizzare anche braccia e mani: tocca lo schermo, muove le dita – riesce insomma a muovere la parte inferiore del corpo.  Nonostante venga definito dai suoi creatori "il robot umanoide più avanzato al mondo", Ameca (almeno per ora) è solo in grado di riprodurre le espressioni facciali umane, ma non riesce a manifestarle autonomamente: questa è una buona notizia per chi teme che i robot ci ruberanno il lavoro, perché un umanoide inespressivo difficilmente potrà sostituire una persona, se non in compiti ripetitivi e non a contatto con il pubblico. Ameca, tra l'altro, non sa camminare: a detta della Engineered Arts, però, questa caratteristica è in via di sviluppo, e trattandosi di un robot modulare potrà essere aggiunta in seguito insieme ad altre migliorie.

GUARDA IL VIDEO

giovedì 13 ottobre 2022

Smart-Home

L’espressione Smart Home si riferisce alla possibilità di gestire in maniera automatica o da remoto impianti e dispositivi all’interno di un’abitazione, al fine di risparmiare energia, semplificare la vita domestica e/o garantire la sicurezza delle persone all’interno.

Da un punto di vista tecnologico, la Smart Home rappresenta l'evoluzione della domotica: evoluzione resa possibile grazie allo sviluppo dell'Internet of Things e degli oggetti connessi. In un impianto domotico, infatti, l'interconnessione tra i dispositivi domestici è fisica e prevede un intervento diretto. Nella casa intelligente, invece, i dispositivi comunicano tra loro grazie a Internet e sono gestibili anche da remoto, tramite smartphone o assistenti vocali.

  • Vediamo quali sono i principali campi di applicazione: assistenza alla persona, avvisi in caso di cadute di anziani in casa, assistenza a disabili
  • Climatizzazione/riscaldamento: condizionatori, termostati o caldaie regolabili a distanza o tramite app
  • Elettrodomestici: accensione/spegnimento da remoto, tramite app o con la propria voce, di lavastoviglie, lavatrici, forni a microonde
  • Illuminazione: accensione/spegnimento, regolazione del colore o dell’intensità tramite app o con la propria voce
  • Monitoraggio consumi energetici: monitoraggio a distanza dei consumi dei dispositivi elettrici ed elettronici tramite presa elettrica intelligente
  • Salubrità della casa: dispositivi che monitorano e agiscono purificando l’aria in casa, sensori per monitoraggio temperatura e/o umidità, centraline meteo che forniscono dati tramite WiFi
  • Sicurezza: impianti di videosorveglianza e videocitofonia con possibilità di accedere alle immagini a distanza e/o da Smart TV, serrature intelligenti che inviano allarmi in caso di intrusione
  • Smart home speaker: dispositivi comandabili tramite voce che consentono di ricevere informazioni – es. sul meteo, sul traffico – e di impartire comando – es. regolare le luci o la temperatura

 Gli smart speaker o assistenti vocali sono gli oggetti che meglio simboleggiano l'evoluzione intelligente di case e abitazioni. Si tratta di dispositivi comandabili tramite la voce che consentono di ricevere informazioni (ad esempio sul meteo, sul traffico, sulle notizie della giornata) e di impartire comandi (ad esempio accendere le luci, regolare la temperatura).

Gli assistenti vocali intelligenti non solo hanno introdotto grandi novità in termini di soluzioni per gli utenti, ma hanno contribuito ad affermare il concetto di Smart Home, trainando le vendite di diversi oggetti smart per la casa. Vediamo in che modo.

Tuttavia, nonostante la crescita l’Italia, in questo campo, è ancora tra i fanalini di coda dell’Europa. La pandemia ha in parte  modificato  il modo di “stare in casa”: ha aumentato la frequenza con cui le persone svolgono diverse attività tra cui l’igienizzazione degli ambienti, il lavoro da remoto, la didattica a distanza, la preparazione dei pasti, l’attività fisica in casa e la cura del verde. Per non parlare della maturata attenzione ai consumi energetici. In aggiunta, la pandemia ha portato a una crescita della “cultura digitale” degli utenti, con sempre più persone che navigano sul web e svolgono operazioni online.

Attenzione! Le soluzioni smart home consentono di raccogliere un’ingente mole di dati sul funzionamento dei dispositivi connessi e sul comportamento delle persone che li utilizzano. Come risultato, le società del settore possono utilizzare i dati per effettuare una miglior profilazione degli utenti (conoscere le nostre abitudini e preferenze) per offrire consigli di acquisto più mirati. Ma quali sono i risvolti sulla privacy degli utenti?

VIDEO SMARTHOME

sabato 8 ottobre 2022

Rigassificatori


Da alcuni mesi i rigassificatori sono al centro del dibattito in Italia, a causa del notevole rialzo del prezzo del gas naturale, della guerra in Ucraina e le sanzioni contro la Russia. Si discute, in particolare, dell’opportunità di installare un nuovo impianto nel porto di Piombino in Toscana.

Ma cosa sono i rigassificatori? Si tratta di stabilimenti necessari per poter utilizzare il gas liquefatto che arriva in Italia via nave. Il gas naturale può essere trasportato via nave, ma è conveniente solo se in precedenza viene reso liquido, cioè GNL (gas naturale liquefatto): in questo modo occupa un volume circa 600 volte inferiore e una metaniera può trasportarne una quantità molto maggiore. Una volta giunto via nave negli impianti di rigassificazione, per necessità ubicati sulla costa, il GNL è ritrasformato allo stato gassoso e successivamente immesso nei gasdotti delle rete nazionale.

Più nel dettaglio, il GNL viene trasportato nelle navi a pressione poco superiore a quella atmosferica e ad una temperatura di -162 °C, che serve per mantenerlo liquido. Nei rigassificatori torna allo stato gassoso grazie a un processo di riscaldamento controllato che viene effettuato all’interno di un vaporizzatore che ne consente l’espansione. Il riscaldamento avviene facendo passare il GNL all’interno di tubi immersi in acqua marina, che hanno a loro volta una temperatura più alta.

Ci sono diverse tipologie di rigassificatori, che si differenziano principalmente a seconda della posizione in cui sono collocati: ci sono quelli onshore, sulla terraferma, che dall’esterno somigliano a tanti altri impianti industriali, e ci sono quelli offshore, che invece si trovano in mare a poca distanza dalla costa, collegati da un gasdotto.

A loro volta i rigassificatori offshore si differenziano in isole artificiali, costruite per restare dove si trovano, oppure navi gasiere, cioè fatte per il trasporto di gas, che sono ancorate al fondale e vengono modificate in modo tale da trasformare il GNL. In Italia attualmente ci sono tre rigassificatori funzionanti, uno per tipo: a Panigaglia, vicino a La Spezia, a Porto Viro in provincia di Rovigo e il terzo una nave metaniera al largo della costa toscana tra Livorno e Pisa.

Anche il progetto di rigassificatore a Piombino sarebbe una FSRU, con il vantaggio di poter essere allestito e diventare operativo in tempi ridotti, oltre che di poter essere spostato. Acquistato da Snam, potrebbe trattare 5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, con l’idea di posizionarla nel centro-nord Italia, dove si consuma più gas.

GUARDA IL VIDEO

lunedì 3 ottobre 2022

Overbooking, che cos'è?

È stata un’estate particolarmente problematica per i voi aerei. Si chiama Overbooking. La compagnia aerea vende più biglietti dei posti a bordo: non una bella cosa. Pensi d’avere un volo assicurato e invece non è così. Le compagnie aeree e gli aeroporti, durante la pandemia, hanno tagliato i voli e il personale per ridurre le spese fisse in mancanza di traffico, e così questa è l’estate dei voli in ritardo o cancellati, e delle valigie che vengono consegnate ai passeggeri una o due ore dopo che il loro aereo è atterrato, per il numero inadeguato del personale a terra, in aggiunta al cronico problema del bagaglio smarrito. Tutti fenomeni che quest’anno sono in crescita allarmante.

L’overbooking si verifica quando si vendono più biglietti aerei di quelli disponibili, tanto da non riuscire a rispettare la prenotazione di uno o più viaggiatori. Il perché non è di facile intuizione, eppure la risposta è semplice. L’overbooking tutela da eventuali cancellazioni o modifiche alle prenotazioni. Non a caso i viaggiatori disdicono spesso, o rimandano il viaggio all’ultimo momento. Immaginiamo come ciò avvenga su larga scala. I clienti che prenotano viaggi sono migliaia, e buona parte potrebbe annullare la partenza. In tutti questi casi l’overbooking copre la perdita con le prenotazioni in surplus.

L’overbooking è legale. La compagnia tuttavia, deve rimediare all’inconveniente risarcendo in modo diretto o indiretto lo sfortunato viaggiatore. L’indennizzo consiste generalmente nella fornitura di un biglietto per il primo volo disponibile o di una sistemazione di pari livello.

L’overbooking si previene munendosi di carta fedeltà, diventando clienti Gold con specifici vantaggi (tra cui l’esclusione dall’overbooking), o facendo il check-in online subito dopo l’acquisto del biglietto. La Carta dei diritti del passeggero in vigore dal 2009 riassume le normative italiane e internazionali in tema di overbooking. Il documento prevede che, in caso di overbooking, la compagnia aerea debba rimborsare il prezzo del biglietto, o garantire la partenza con il primo volo disponibile a condizioni comparabili. L’impresa responsabile deve inoltre offrire l’indennizzo delle spese per pasti e bevande consumati durante l’attesa, e, se necessario, un’adeguata sistemazione alberghiera.

mercoledì 28 settembre 2022

I droni per salvare vite umane

Fin dalla loro comparsa i permessi per i volo non sono stati semplici, soprattutto per questioni legate alla privacy e alla sicurezza. Ma oggi la tecnologia dei droni è consolidata e molto presto potranno essere impiegati per scopi nobili, come salvare vite umane.

La potenziale utilità dei 'quadricotteri' in ambito medico, infatti, per il trasporto urgente di plasma, farmaci, dispositivi medici o addirittura organi, ha convinto la Regione Lazio tanto da aprire nuovi finanziamenti in questo campo in accordo con l’Enac, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile.

Diverse aziende, enti e società si sono già messe al lavoro da tempo per dare sempre più concretezza a quella che qualche anno fa era ancora solo una semplice sfida e che ora è sul punto di essere realizzata. Anche AdR (Aeroporti di Roma) ha avviato la costruzione del primo Vertiporto per i taxi-droni o droni salvavita, con l'intenzione di renderlo operativo già dal 2024 per gli scambi tra Fiumicino e la Capitale.

I droni salvavita hanno la particolarità di poter, in situazioni di emergenza, risparmiare il tempo prezioso che si perderebbe in lunghe code di traffico, aumentando le probabilità di successo nelle operazioni di soccorso. Possono raggiungere i 100 chilometri orari di velocità e avere un’autonomia garantita di 50 chilometri.

Le sacche di sangue o i medicinali possono essere stivati all’interno di particolari scompartimenti e, a fronte di un peso di 10 kg al decollo, possono essere trasportate fino a quattro sacche di sangue.

I droni salvavita difatti, proprio per le loro caratteristiche di immediatezza, nonché per la loro possibilità di raggiungere i luoghi più ostici grazie all’utilizzo della via aerea, potrebbero anche tornare utili in aeree disastrate da catastrofi naturali, come terremoti e alluvioni, ma anche in caso di incendi e incidenti stradali: il loro campo di applicazione sarebbe molto vasto.

VIDEO

mercoledì 21 settembre 2022

50 anni della TV a colori

Solo i “diversamente giovani” se lo ricordano il 26 agosto 1972 sul secondo canale, Rai2 di oggi il primo annuncio a colori e la trasmissione della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Monaco di Baviera. Non si trattava ancora di una trasmissione regolare, ma di una “prova generale”. La tecnologia necessaria per trasmettere a colori, presente negli Stati Uniti dal 1954, era a disposizione della Rai già dal 1961. A differenza di quello che sta succedendo in questi anni con il cambio di frequenze e quindi la necessità di acquisti di massa di nuovi televisori, le cronache raccontano che il governo avesse ritardato l’introduzione del colore per la paura che i cittadini si indebitassero per l’acquisto dei nuovi televisori a colori. Infatti gli altri paesi europei erano arrivati al colore già alcuni anni prima.

L’Italia, inoltre, non aveva ancora scelto se adottare la tecnologia in uso in Francia oppure in Germania e c’era chi caldeggiava lo sviluppo e di una tecnologia tutta italiana. Così, in occasione delle Olimpiadi del 1972, vennero provate entrambe le tecniche: un giorno le gare erano trasmesse con il sistema “tedesco”, un giorno con quello “francese”. Il direttore generale della Rai, Ettore Bernabei, aveva fatto installare nel suo ufficio due televisori a colori di tipo diverso, perché si potessero notare immediatamente le differenze, ma in quell'occasione non giunse alla scelta.

Dopo due anni di ulteriori prove tecniche, e la trasmissione delle Olimpiadi di Montreal del 1976, soltanto il 1° febbraio 1977 la Rai iniziò a trasmettere a colori, anche se non in modo completo: molti programmi restarono in bianco e nero per qualche tempo.

Ecco l'annuncio del Canale 2 della prima trasmissione a colori

venerdì 16 settembre 2022

La Storia della Pirelli

La storia della Pirelli, noto marchio italiano di pneumatici, inizia a Milano nel 1872 con l’ingegner Giovanni Battista Pirelli che, per produrre articoli tecnici di caucciù vulcanizzato, fonda la Pirelli & C. In pratica produceva cinghie di trasmissione, tele gommate, manicotti in gomma.

Nel giugno del 1873, ultimata la costruzione della prima fabbrica, si da il via alla produzione. Ben presto però, costatato la grande versatilità del materiale, la produzione si allarga in altri settori quali: giocattoli, tappeti, impermeabili, cavi sottomarini.

Verso il 1890, grazie all'invenzione dello pneumatico per bicicletta, la Pirelli coglie l’occasione e, in collaborazione con la Bianchi, sfrutta immediatamente quest’opportunità. Brevetta lo pneumatico tipo “Flexus” poi, due anni dopo pone in vendita i suoi primi pneumatici per veicoli a motore, prima per motociclette, poi nel 1901 anche per automobili. Per l’epoca fu un successo, la richiesta del mercato aumentava e così la produzione, tanto da costringere l’Azienda a costruire un nuovo stabilimento a Milano Bicocca.

Anche il settore dello sport vede la Pirelli protagonista, ad esempio nel raid Pechino – Parigi del 1907, mentre negli anni venti inizia la sua presenza nelle gare automobilistiche, che continua ancora oggi: dal 2011 è fornitore unico della Formula1. Nel frattempo la Pirelli si espande in Spagna, Argentina, Inghilterra. La sperimentazione e le nuove tecnologie portano l’Azienda a ottenere vari risultati, nei primi anni cinquanta con la produzione del “radiale cinturato”, negli anni ottanta lo “pneumatico ribassato”, il famoso “P7”.

Pirelli possiede ventiquattro fabbriche in dodici paesi ed è presente in più di centosessanta paesi, dando lavoro a più di trentamila persone. E pensare che tutto è iniziato da un tale di nome Giovanni Battista Pirelli, ingegnere di 24 anni, figlio di un panettiere e ottavo di dieci figli.

Video "La Storia della Pirelli in 5 puntate".

domenica 11 settembre 2022

Negli Stati Uniti c’è carenza di insegnanti: alcune scuole pensano alla settimana da 4 giorni

Non ci sono abbastanza insegnanti in diverse aree degli Stati Uniti e le scuole pubbliche cercano soluzioni improbabili per riempire le ore vuote. I motivi sono tanti: le paghe basse, la percezione di uno scarso prestigio sociale e lo stress da pandemia.

Secondo un’inchiesta del Washington Post la carenza di personale è così grave che scuole e istituti si contattano fra loro quando sono a conoscenza di qualcuno pronto a traslocare, per proporgli l’assunzione. Altri plessi ricorrono finalmente a miglioramenti di stipendi: nella contea di Clark, in Nevada, ad esempio, si è deciso di aumentare di 7 mila dollari annui il salario dei docenti e di offrire dei bonus per il trasferimento di 4 mila dollari.

Esausti e sottopagati, i professori americani affrontano però anche il peso di una guerra culturale, dal mancato controllo delle armi, che porta a sempre più frequenti stragi scolastiche, alle limitazioni dei repubblicani nei distretti dove governano, con il divieto di insegnare la storia del razzismo e altri argomenti considerati controversi.

Intanto ci si prepara a raggruppare le classi, raddoppiando il numero di allievi per aula. In alcuni distretti del Texas si riflette su una settimana scolastica da 4 giorni. Ma secondo gli esperti, tutte queste misure tappabuchi, compresa la scelta di usare “educatori” al posto di insegnanti per coprire i ruoli mancanti, non faranno che peggiorare la crisi educativa americana, già grave dopo la fase acuta della pandemia e della didattica a distanza.

martedì 6 settembre 2022

Internet: l'Italia va verso la rete unica in fibra ottica

Tim e Open Fiber (le società proprietarie in Italia della rete internet) hanno firmato un accordo per unire le infrastrutture della rete italiana a banda larga con l’obiettivo di creare un’unica società (con Cassa Depositi e Prestiti) per migliorare la qualità delle connessioni internet ultraveloci. In sostanza hanno iniziato il percorso che porterà alla creazione di una rete unica, di cui si discute da anni. Questa operazione ha lo scopo di velocizzare la sostituzione delle vecchie reti con un’unica rete ultraveloce in fibra, considerato che la connessione in Italia è molto più lenta della media europea. Visionando QUESTA MAPPA noterete come la maggior parte dei comuni abbiano una connessione molto lenta.

Tim in questi anni ha portato la fibra finno agli armadi posizionati sulle strade: il collegamento tra armadio e casa è rimasto in rame, quindi molto più lento, un cosiddetto collo di bottiglia. Si parla di FTTC, Fiber-to-the-cabinet, con fibra fino all’armadio e di FTTH, Fiber-to-the-home, nel caso della fibra che entra direttamente in casa. Tim, che in passato che l’unico operatore telefonico (con nome Telecom) si è sempre opposta all’accordo e quindi in qualche modo alla cessione della sua rete, un tempo l’unica rete esistente. Ma le autorità in questi anni hanno fatto notevole pressione, ritenendo che in regime di libera concorrenza la rete non possa essere in mano ad unico operatore ma debba essere indipendente.

L’idea della rete unica si basa anche sulla necessità di non duplicare gli investimenti infrastrutturali: l’obiettivo è di concentrare gli investimenti in un’unica società e in questo modo rendere più efficiente e capillare la connessione a internet. «C’è bisogno di un’infrastruttura potente e forte nel Paese per poter arrivare dappertutto e questa infrastruttura non può essere nelle mani di un solo operatore, deve essere ovviamente al servizio di tutti e poi gli altri concorreranno», ha detto il ministro per l’Innovazione tecnologica Vittorio Colao.


giovedì 1 settembre 2022

I caricabatterie degli smartphone UE dovranno essere tutti uguali

A Giugno le istituzioni europee hanno deciso di uniformare la tecnologia di ricarica degli smartphone e degli altri apparecchi elettronici in commercio nei paesi dell’Unione: a partire dall’autunno del 2024, cioè tra oltre due anni, tutti i dispositivi elettronici come smartphone, tablet, fotocamere, e-reader e cuffie dovranno essere equipaggiati con una porta USB-C, quella che già adesso è usata dalla maggior parte dei cellulari Android. L’accordo include anche i computer portatili, ma ai produttori sarà concesso più tempo per uniformarsi (2026).

Anche gli iPhone di Apple, che attualmente usano una porta diversa dagli smartphone Android, così come i MacBook dovranno uniformarsi. All’inizio l’azienda si era opposta alla proposta di legge, sostenendo che ostacolasse l’innovazione tecnologica, anche se da tempo varie indiscrezioni, per ora non confermate, sostengono che l’azienda sarebbe pronta a inserire porte USB-C sui suoi iPhone.

La norma prevede inoltre che le velocità di ricarica siano uniformate, così che sia possibile usare lo stesso cavo e lo stesso caricatore con vari dispositivi. Secondo la Commissione europea, la nuova misura dovrebbe far risparmiare 250 milioni di euro ai consumatori ed evitare 11 mila tonnellate di rifiuti elettronici ogni anno.

L’approvazione del Parlamento e del Consiglio avverrà in autunno, e dal momento dell’approvazione dovranno trascorrere 24 mesi per consentire a tutti i produttori di apparecchi di mettersi in regola: per questo nei comunicati ufficiali si dice che l’uniformità delle porte di caricamento comincerà soltanto a partire dall’autunno 2024.

domenica 28 agosto 2022

In Groenlandia a caccia di minerali rari

Complice il cambiamento climatico che sta sciogliendo i colossali ghiacciai, la Groenlandia, l’isola più grande del pianeta, tra Canada, Islanda e Mar Glaciale Artico, ha attirato l’attenzione di un club di miliardari, tra cui Jeff Bezos, Michael Bloomberg e Bill Gates, con ingenti finanziamenti per la ricerca dei minerali rari oggi così preziosi per la produzione delle batterie, indispensabili per la transizione verso un mondo senza combustibili.

Un team di trenta persone tra geologi, geofisici, piloti di elicotteri, meccanici e pure cuochi si sono accampati nella zona delle colline e delle valli dell’isola di Disko e della penisola di Nuussuaq convinti che l’energia green dei Paesi occidentali passi proprio da lì: l’obiettivo sono i giacimenti di minerali rari, indispensabili per alimentare centinaia di milioni di veicoli elettrici e batterie massicce che immagazzinano potenza.

Gli interessi geopolitici in gioco sono altissimi. I governi occidentali che vanno verso la transizione all’energia verde e rinnovabile sono da tempo in allarme per il crescente controllo della Cina sull’approvvigionamento di litio e cobalto. La Repubblica popolare cinese detiene il 70% delle riserve del cobalto, minerale raro usato prevalentemente nelle apparecchiature elettroniche e nella produzione di batterie per le autovetture elettriche.

Un monopolio che si basa sulla sostanziale proprietà di buona parte delle miniere in Congo (produttore fino al 60% del fabbisogno mondiale), attraverso un raffinato sistema che mette insieme finanziamenti apparentemente a fondo perduto per il Paese africano, diritti di sfruttamento dei giacimenti, presenza di tecnici e operai cinesi, controllo delle esportazioni e dei trasporti marittimi.

Ma Pechino non si è fermata all’Africa: sta studiando un percorso di diversificazione della catena di rifornimento del prezioso minerale guardando anche in direzione dell’Indonesia. Gli Stati Uniti dal canto loro sanno di non poter restare indietro in questa corsa assolutamente centrale nell’economia di oggi e ancor di più del futuro.

mercoledì 24 agosto 2022

Zoom Town

Con la diffusione dello smart-working borghi, paesi e cittadine stanno incrementando la propria popolazione. Negli Stati Uniti il fenomeno ha coniato un nuovo nome: Zoom Town, dal nome del programma usato per fare riunioni online. Chi lavora in remoto sta approfittando della possibilità di connettersi ovunque per andare a vivere in comunità con pochi abitanti vicine alla natura, piuttosto che nelle metropoli. In America varie città, solitamente estranee all'immigrazione e fino ad adesso con poca attrattiva per i giovani lavoratori, hanno visto aumentare i residenti diventando così Zoom town.

Secondo un sondaggio un americano su 20, ovvero il 5% della popolazione, si è trasferito a causa dell'epidemia di Covid-19; nella fascia di età compresa fra i 20 e i 30 anni la percentuale sale fino all'11%. Possibilità di lavorare da casa, minori spese di affitto e costo della vita più basso rispetto alle grandi città hanno spinto molti dipendenti a scegliere il telelavoro da zone fino ad adesso poco attrattive.

La bassa densità di popolazione, gli ampi spazi aperti e l'abbondanza di opportunità ricreative sono molto ricercate. Alcuni villaggi hanno persino stanziato degli incentivi economici per invogliare gli smart worker a trasferirsi. L'addio a Los Angeles, New York e San Francisco di molti lavoratori è stato favorito dalla chiusura degli uffici e dall'aumento degli affitti in queste metropoli. La nuova metodologia di lavoro ibrido ben si presta a essere messa in atto in villaggi rurali fuori dalle aree più congestionate. Ma dato che le Zoom town hanno poche abitazioni disponibili e ora molte richieste, si corre il rischio di alzare i prezzi delle case e mettere in difficoltà i residenti storici.

venerdì 19 agosto 2022

Chi sono i Nomadi Digitali?

Il nomade digitale ha un lavoro, spesso è un freelance (un lavoratore autonomo), ma non ha un posto in cui debba recarsi obbligatoriamente per poter lavorare. Per capirci, non necessita di stare in ufficio in quanto svolge mansioni che possono essere effettuate da remoto.

Si tratta di una figura nata grazie ad Internet che ha trovato nella Rete una soluzione con cui conciliare produttività e delocalizzazione. Il Web consente infatti di dematerializzare gran parte di ciò che reputiamo indispensabile per la gestione della nostra vita professionale.

Un pc portatile e uno smartphone consentono di archiviare foto, scaricare e leggere libri, ascoltare musica e visualizzare video in streaming, prenotare voli e alberghi, gestire risparmi e investimenti, conservare i propri contatti, partecipare a videoconferenze con clienti e collaboratori, telefonare, pagare, emettere fatture e, naturalmente, svolgere qualsiasi mansione che possa essere portata a termine digitalmente.

Non stupisce quindi che, molto spesso, i nomadi digitali operino in settori dove la creatività è una componente fondamentale, tra loro troviamo quindi scrittori, giornalisti, programmatori, Web designer, pubblicitari, artisti, social media manager, influencer e tanti altri professionisti che non di rado sono riusciti a trasformare la propria passione in un lavoro, liberandosi contestualmente dal vincolo delle “quattro mura” di un ufficio e del cartellino da timbrare al mattino.

In un Mondo in cui milioni di lavoratori hanno improvvisamente scoperto il lavoro agile a causa di una pandemia globale, i nomadi digitali sono nativamente degli smart worker: per loro il lavoro da remoto non è l'eccezione o la novità, ma la normalità.

Il vantaggio non è solo per il lavoratore ma anche per le aziende che possono accedere ad una platea molto più vasta di lavoratori non essendo più limitate dal vincolo territoriale o dalla disponibilità o meno delle persone di trasferirsi per ragioni lavorative.

Chi, come ancora oggi buona parte delle persone, ha scelto un'occupazione da svolgere in ufficio sa che i suoi spostamenti sono determinati quasi sempre dalla necessità di raggiungere il posto di lavoro. Per i viaggi a corto raggio si devono aspettare invece i fine settimana, per quelli a lungo raggio le ferie. I nomadi digitali non hanno questo problema, si spostano quando lo desiderano perché non hanno i vincoli del lavoro “in presenza”.

Essere un dipendente che ha l'obbligo di rispettare orari rigidi significa spesso dover condizionare le proprie scelte a quelle dell'azienda presso la quale si è impiegati. Vacanze escluse (e non sempre) la maggior parte delle giornate saranno scandite dal lavoro, dai rapporti non sempre distesi con i colleghi, dalle decisioni non sempre condivise dei dirigenti e dalle politiche aziendali che devono essere rispettate come da contratto. Un dipendente deve, per forza di cosa, adattarsi al contesto in cui opera, un nomade digitale è, invece, per sua natura, un “indipendente” che ha il pieno controllo sul proprio tempo e sulle proprie priorità di vita.

Essere indipendenti significa anche poter scegliere in che condizioni lavorare: banalmente un nomade digitale non è costretto a vivere in un posto freddo e piovoso se non lo desidera perché il suo stile di vita lavorativo gli consente di trasferirsi senza particolari problemi.

Secondo il primo rapporto sui Nomadi Digitali in Italia la maggior parte delle persone che appartengono a questa categoria avrebbe un età compresa tra i 30 ed i 50 anni. 


sabato 13 agosto 2022

La Sardegna è un laboratorio per l’elettrificazione verde


E’ opinione comune che la Sardegna sia il territorio ideale per dire addio alle fonti fossili: scarsa diffusione del gas matano, sostituito dall’elettricità per molti usi rispetto alla media italiana, elevato potenziale per le rinnovabili (sole e vento), bassa densità di popolazione. A Carloforte, Berchidda Borutta, Serrenti stanno nascendo progetti di autonomia e autosufficienza energetica. Cosa hanno in comune tutti questi progetti? Propongono soluzioni verdi all’avanguardia per la transizione energetica.

Perché la Sardegna è un perfetto laboratorio per l’elettrificazione? Prima di tutto, per la geografia. Nei decenni passati la Sardegna ha visto uno sviluppo limitato delle infrastrutture energetiche. Tanto che è rimasta sostanzialmente estranea al processo di metanizzazione che ha toccato invece il resto del Paese.

Il secondo punto di forza è l’abbondanza di risorse naturali che permettono di puntare sulle fonti rinnovabili per la generazione di energia. Insieme alla Sicilia, la Sardegna è tra le regioni italiane con i valori di radiazione solare più elevati. Gli indici di ventosità sono altrettanto elevati, con valori della velocità del vento che arrivano anche a 10 m/s e vengono eguagliati solo in parte nel canale di Sicilia.

La transizione quindi è possibile, uno studio prevede che per il 2040 è tecnicamente possibile portare a zero non solo l’utilizzo del carbone, ma anche quello del gas fossile e sfruttare esclusivamente energia proveniente da fonti rinnovabili. Quindi prevalentemente solare fotovoltaico ed eolico ma anche l’idroelettrico già presente.

L’elettrificazione è la strada più coerente per la  decarbonizzazione, insieme allo sviluppo dell’idrogeno “verde” per l’alimentazione degli usi non elettrificabili e per la gestione della sovra-produzione delle rinnovabili. Nel frattempo occorre puntare sui sistemi di “storage” (accumulo): con 1 GW di batterie per immagazzinare elettricità e altri 5 GW di nuova capacità rinnovabile installata, sarebbe possibile dire “addio” al carbone nel 2025.

martedì 9 agosto 2022

Un condominio lungo 170 km

Il principe d’Arabia, sta facendo sogni grandiosi: si tratta del progetto per un grattacielo lungo 170 chilometri e capace di ospitare nove milioni di persone, interamente rivestito all’esterno con una superficie specchiante per catturare l’energia del sole. Alta 500 metri, 200 e lunga 170 km (Torino e Milano sono più vicine), la città lineare prende il nome di The Line, verrà costruita vicino al Mar Rosso e sarà il tassello più grande della avveniristica città Neom, che viene immaginata grande come il Piemonte. 

La struttura compatta sarà, se costruita, un importante esperimento sociale ed economico. La città punta a essere a zero emissioni di carbonio, grazie all’eliminazione di infrastrutture ad alta intensità di carbonio come automobili e strade, e funzionerà al 100% con energia rinnovabile, comprese le attività delle sue industrie. Le sue estremità saranno collegate da un treno ad alta velocità capace di coprire i 170 km in appena 20 minuti.

Esternamente The Line sarà rivestita da una facciata a specchio e la vita urbana sarà dunque affacciata completamente verso l’interno del volume, costruito per ospitare edifici, strati di parchi pubblici, aree pedonali, scuole, abitazioni e luoghi di lavoro. Il concetto viene descritto dai suoi ideatori come “Urbanismo a gravità zero”. Su un ingombro in pianta di soli 34 chilometri quadrati,  le unità funzionali per le aree residenziali, commerciali e ricreative sono disposte secondo il principio della città in cinque minuti, in modo che i residenti possano accedere a piedi a tutti i servizi necessari.

Alcune immagini

Video


venerdì 5 agosto 2022

A Torino arrivano i bus a guida autonoma

Dal prossimo autunno i torinesi potranno salire a bordo di due navette a guida autonoma, senza conducente, che Gtt (la società di bus e tram) farà circolare in maniera sperimentale su un percorso di 2 chilometri, nella zona degli ospedali. Per Torino è un primato, in quanto unica città italiana (delle 20 europee) a prendere parte al progetto.

La prima fase di "auTOnomo Gtt" parte ora e prevede un periodo di prova per i veicoli e la formazione degli operatori di bordo. La vera sperimentazione con i passeggeri si svolgerà dal prossimo ottobre fino a marzo 2023: le navette saranno in servizio 6 ore al giorno. Per tutti i mesi di test sulle navette ci sarà un pilota che interverrà solo in caso di emergenza, ma non avra a disposizione volante e pedali, ma solo un joystick.

I mezzi saranno dotati di pedana e accessibili a tutte le persone con disabilità. Ogni veicolo può ospitare fino a 14 passeggeri (11 posti a sedere e 3 in piedi). Nel periodo sperimentale il servizio sarà gratuito e prenotabile con l'app auTOnomo Gtt, disponibile da settembre sui dispositivi Android e iOS.

Come funziona il sistema di guida autonoma? Nei mesi passati una speciale macchina di Navya, dotata di telecamere in maniera simile a quella utilizzata da Google per mappare le strade, ha ricostruito il percorso in 3D che successivamente è stato caricato sul software delle navette. Entrambi i mezzi sono dotati di sensori su tutti i lati, in modo da "leggere" quello che succede intorno e in mezzo al traffico. Il periodo di sperimentazione servirà soprattutto a verificare la fattibilità tecnica dei servizi di mobilità autonoma in condizioni di traffico reali.

Le navette possono viaggiare in entrambe le direzioni di marcia, hanno 4 ruote sterzanti, sono lunghe 4,75 metri e larghe 2,11.


giovedì 28 luglio 2022

Che cos'è il Greenwashing?

Oggi “essere green” è molto di moda. Alcune aziende pensano infatti che basti far finta di dimostrare un attaccamento all’ambiente e al pianeta per guadagnare punti in reputazione e immagine aziendale. Questo è il fenomeno del greenwashing. Ma perché le aziende dichiarano di essere eco-friendly quando in realtà non lo sono?

Si tratta a tutti gli effetti di una pratica ingannevole, usata come strategia di marketing da alcune aziende per dimostrare un finto impegno nei confronti dell’ambiente con l’obiettivo di catturare l’attenzione dei consumatori attenti alla sostenibilità, che oggi rappresentano una buona fetta di pubblico. Viene fatto attraverso campagne e messaggi pubblicitari o in qualche caso persino iniziative di responsabilità sociale.

L’obiettivo del greenwashing quindi è duplice: valorizzare la reputazione ambientale dell’impresa e ottenere i benefici perché essere green significa anche fare più clienti.

Oggi però i consumatori sono molto più attenti a certi argomenti e le aziende devono prestare molta attenzione perché è aumentata la consapevolezza e la conoscenza da parte del pubblico.

Non si tratta di un fenomeno nuovo e a parlarne per la prima volta fu l’ambientalista statunitense Jay Westerveld che lo utilizzò nel 1986 per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, nascondendo in realtà una motivazione legata al risparmio economico.

Dagli anni Novanta la pratica del greenwashing è andata intensificandosi e grandi aziende, a cominciare dalle chimiche-petrolifere cercano di spacciarsi come eco-friendly allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle pratiche aziendali tutt’altro che responsabili.

Tra i tanti modi in cui si può fare greenwashing sicuramente l’utilizzo di un linguaggio vago e approssimativo è il primo segnale di allarme o, al contrario, così tecnico da essere incomprensibile ai non addetti ai lavori. Allo stesso modo l’utilizzo di immagini suggestive, con prevalenza di tonalità di verde o di soggetti naturali che evocano un certo interesse del brand o del prodotto verso le questioni ambientali, possono trarre in inganno. Oppure di un prodotto descrivere solo pochi aspetti eco-sostenibili tralasciando la maggior parte che amica dell’ambiente non è.

Oggi il greenwashing in Italia viene considerato pubblicità ingannevole ed è controllato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. In passato sono state già emesse diverse sentenze di condanna per alcune aziende che facevano uso del Green Washing, come la Snam che è stata condannata nel 1996 per il suo slogan “Il metano è natura” oppure contro la San Benedetto, la Ferrarelle e la Coca Cola citati prima.

venerdì 22 luglio 2022

Auto elettriche: ansia da autonomia addio

Uno studio condotto dall’Università di Ginevra dimostra che chi guida un’auto elettrica teme sempre meno di restare con le batterie a secco. I motivi sono diversi: le autonomie medie delle vetture a batteria stanno costantemente aumentando e il numero di colonnine pubbliche sta crescendo in modo proporzionale alla quantità di BEV (auto elettriche) in circolazione.


Lo studio su 2.000 automobilisti che guidano auto a zero emissioni negli Usa e in Germania ha rivelato che molti automobilisti avevano inizialmente la tendenza a sottostimare l’autonomia reale delle proprie vetture. Circa il 30% degli intervistati ha affermato che credeva erroneamente che l’autonomia delle loro auto non sarebbe stata sufficiente a coprire i propri spostamenti quotidiani, scoprendo invece di avere ottimi “margini di sicurezza” una volta iniziato a usare concretamente l'auto.

I ricercatori, sempre basandosi sulle risposte raccolte dagli intervistati, hanno inoltre dimostrato che il 90% degli spostamenti in auto avviene entro i 200 km e che queste percorrenze sono ampiamente garantite dalla stragrande maggioranza di auto elettriche in commercio. Il problema della colonnina pubblica da trovare durante un viaggio lungo, dunque, interessa una minima parte degli automobilisti.

Anche nel caso di dover percorrere tanta strada, però, nella maggior parte dei casi, basta programmare il viaggio in anticipo prevedendo delle soste intermedie, per non incappare in brutte sorprese. Certo, la rete pubblica deve crescere ancora, ma le cose stanno generalmente migliorando.

Lo studio conclude che per superare l’ansia da autonomia basta informare la gente. Spiegando come stanno davvero le cose molti automobilisti capiscono che l'auto elettrica è ormai adatta a rispondere alle loro esigenze. Anche l’esperienza aiuta, perché una volta che si guida un’auto elettrica si scopre che certi problemi che si credevano insormontabili sono di facile soluzione.

lunedì 18 luglio 2022

Quanta Cina c'è nelle nostre auto elettriche?

A giugno il Parlamento europeo ha deciso che dopo il 2035 si potranno vendere solo auto a zero emissioni. Secondo molti esperti si tratta di una data troppo ravvicinata che avrà ripercussioni pesanti sull’industria automobilistica, che non avrà abbastanza tempo per riconvertirsi e non faremo altro che aprire le porte all'invasione cinese del mercato europeo dell'auto, perché le auto elettriche sono realizzate con molte componenti made in Cina, a cominciare dalle batterie.

Ma in molti forse dimenticano che il primo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), dal quale già si intuiva che stavamo andando a sbattere contro un enorme muro di CO2, risale al 1990, cioè 32 anni fa, cioè 45 anni prima del 2035.

La data del 2035 fa paura tuttavia l’industria dell’auto ormai ha accettato di produrre solo elettriche entro un periodo di tempo che, se non è proprio quello indicato dall'Europa, ci si avvicina molto: Volkswagen ha dichiarato che entro il 2030 il 70% delle auto vendute in Europa sarà elettrico , Ford e BMW puntano al 50%, Volvo e Fiat addirittura al 100%.

Per quanto riguarda le batterie per auto, le fasi critiche della produzione sono due: l'estrazione delle materie prime e la produzione di celle. Chi è forte in questi due stadi iniziali domina perché tutti gli altri dovranno rivolgersi a lui per comprare o i materiali o direttamente le celle.

Se guardiamo alla produzione di litio, quasi la metà di questo elemento chimico è oggi estratto da una società cinese. Altri attori importanti di questo mercato sono australiani e americani. Se guardiamo al nichel, altro elemento chimico importante per produrre le batterie, i nomi che contano sono ancora cinesi, australiani, americani, brasiliani, filippini e svizzeri.

Le celle sono il cuore delle batterie, tante celle compongono un modulo, tanti moduli compongono un pacco batteria. I primi tre produttori mondiali di celle per batterie sono CATL (Cina), LG (Corea del Sud) e PANASONIC (Giappone).

Oggi la produzione di batterie per auto non riesce soddisfare tutta la domanda mondiale. Per questo motivo i produttori di auto elettriche oggi fanno poco gli schizzinosi e comprano ben volentieri celle cinesi ma nello stesso tempo si stanno organizzando per prodursele da soli. Negli ultimi anni, infatti, sono stati molti gli annunci di "Gigafactory" in arrivo fatti dalle case automobilistiche.

La sola Volkswagen ne ha annunciate 5 più una in Svezia, Stellantis (Fiat+Jeep+Citroene+Peugeot) ne sta realizzando una a Termoli, in Molise, in collaborazione con Mercedes. Tutti ne stanno costruendo.

Ciò vuol dire che affermare che oggi non si possono fare auto elettriche senza batterie cinesi è vero ma non lo sarà per forza anche domani. Ma vuol dire anche un'altra cosa: se oggi dipendiamo dalle batterie cinesi è perché i cinesi hanno iniziato a lavorare alle batterie vent'anni fa e sempre vent'anni fa la Cina ha iniziato ad accaparrarsi le riserve di litio presenti sul pianeta.

Ma la buona notizia è che le società minerarie sono convinte che una discreta fetta delle riserve globali di litio sia ancora da scoprire o da mettere a produzione, quindi anche per il litio c'è la possibilità di emanciparsi dalla dipendenza che attualmente abbiamo dalla Cina.

 Dunque prossimi dieci anni i dominatori saranno i cinesi mentre Europa e Usa devono darsi da fare parecchio per recuperare. Ma un'auto elettrica non si fa solo col litio e dentro una batteria non ci sono solo le celle.