giovedì 26 agosto 2021

La rivincita dei QR code

Non che se ne fossero mai andati del tutto, ma da qualche tempo i QR code (dove le due lettere stanno per “Quick Response”, risposta rapida) sono tornati. Nei menu dei ristoranti e, soprattutto, nei Green Pass di cui tanto si parla. Per i QR code è una sorta di rivincita: perché mentre in Cina li si usa da anni, in gran parte del resto del mondo sembravano, fino a prima della pandemia, una tecnologia superata. Sembrano quindi esserci ragioni per credere, come ha fatto notare tra gli altri il New York Times, che ormai «i QR code sono qui per restare».

I QR code furono inventati nel 1994 in Giappone, perché Toyota aveva bisogno di un sistema semplice e veloce per tracciare e tenere sotto controllo i pezzi di automobili che si muovevano nella sua catena di montaggio. L’azienda chiese quindi alla Denso Wave, che si occupava e ancora si occupa di sistemi integrati, di pensare a qualcosa che potesse essere più semplice, più veloce e più potente dei codici a barre monodimensionali sviluppati negli anni Cinquanta da alcuni studenti statunitensi e dopo successivi perfezionamenti usati nei negozi di tutto il mondo.

I QR code sono un’evoluzione dei codici a barre perché in uno spazio simile possono contenere molte più informazioni. Le linee verticali di un codice a barre bidimensionale possono sostituire giusto qualche decina di cifre o caratteri. Nella maggior parte dei QR code ci sono tre quadrati sugli angoli, il cui scopo è aiutare la fotocamera ad allinearsi con l’immagine. Un quarto quadrato, un po’ più accentrato sull’ultimo angolo, aiuta poi la fotocamera a capire la grandezza dell’immagine e l’angolazione da cui la si sta inquadrando. Tutti gli altri quadratini più piccoli fanno invece qualcosa di simile a quello che le barre verticali fanno nei codici a barre: contengono cioè le informazioni necessarie a aprire un determinato link. I QR code possono arrivare a contenere fino a un massimo di circa 3 KB di dati.

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