sabato 28 dicembre 2019

Thomas Alva Edison, l'uomo che illuminò il mondo

Thomas Alva Edison è stato uno dei più grandi inventori della storia. Non solo ha introdotto numerose tecnologie fondamentali, come la lampada a incandescenza e la registrazione del suono, ma ha introdotto quella che oggi nelle aziende si chiama Ricerca e Sviluppo, ossia lo sforzo continuo di innovazione e sperimentazione per immettere sul mercato nuovi prodotti.
Nato nel 1847 nella cittadina di Milan, nello Stato americano dell'Ohio, Thomas Alva Edison è stato uno dei più attivi inventori della storia. Da bambino andò a scuola solo per pochi mesi (pare facesse molta fatica a concentrarsi sui programmi scolastici perché curioso di qualunque cosa gli capitasse a tiro), poi continuò a studiare da autodidatta, così come avrebbe fatto per tutta la vita. Il suo interesse principale erano letture di scienza e tecnologia, e si interessò fin da giovanissimo al telegrafo, che in quel periodo stava rivoluzionando il mondo della comunicazione. A 16 anni iniziò così a lavorare come telegrafista, attività che gli permise tra l'altro di viaggiare in lungo e in largo per gli Stati Uniti.
A 21 anni Edison decise di fare della progettazione di nuove macchine il suo mestiere, e nel 1868 depositò il suo primo brevetto: un sistema per la registrazione automatica del voto, che però non ebbe successo. Dopo quell'esperienza sfortunata, scelse di dedicarsi a sviluppare invenzioni legate al telegrafo, che contribuissero a rendere più veloce ed efficiente questa tecnologia. Il suo primo progetto di grande successo fu lo stock ticke, una macchina, che vediamo ancora nei fumetti o in certi vecchi film, in grado di ricevere le quotazioni di borsa attraverso la linea telegrafica e di stamparle su una lunga striscia di carta. I guadagni derivanti da questa invenzione permisero a Edison di creare un proprio laboratorio di ricerca, sorto nel 1876 a Menlo Park, nello Stato del New Jersey. Si trattava della prima struttura di Ricerca e Sviluppo moderna: uno stabilimento il cui scopo non era produrre un prodotto specifico, ma sviluppare e brevettare nuove invenzioni che poi qualcun altro avrebbe prodotto. In altre parole: una fabbrica di brevetti.
La prima grande invenzione nata a Menlo Park fu il fonografo, il primo sistema di registrazione del suono della storia. L'antenato del giradischi memorizzava il suono segnando un solco su una superficie morbida (prima un foglio di carta stagnola, poi cera) di forma cilindrica. Il suono da registrare metteva in movimento una membrana, che trasmetteva le vibrazioni a una puntina metallica, la quale a sua volta incideva i solchi sulla base delle vibrazioni originali. Poi fu il turno della lampada a incandescenza, quella che sarebbe diventata la comune 'lampadina'. L'idea di sfruttare la corrente elettrica per l'illuminazione non era nuova, ma nessuno aveva realizzato un dispositivo abbastanza pratico da poter essere usato in tutte le case. Il problema era soprattutto trovare un materiale che diventasse incandescente senza bruciare quando era percorso dalla corrente elettrica. Edison ci riuscì nell'ottobre del 1879, servendosi di un filo di cotone bruciato. Successivamente, perfezionò la lampadina utilizzando un filamento di carbone. In seguito, Edison dedicò tutte le sue energie a sviluppare la rete elettrica. Fondò diverse società per la fornitura dell'elettricità, che furono riunite nel 1889 nella Edison General Electric. Un altro grande contributo di Edison alla tecnologia è relativo al cinema: anche se di solito ricordiamo i fratelli Lumière come inventori del cinema, nel 1891 Edison aveva depositato la richiesta di brevetto per il cinetoscopio, un apparecchio grazie al quale uno spettatore poteva vedere immagini in movimento. Anche in seguito, l'inventore statunitense diede un contributo decisivo allo sviluppo della moderna cinepresa e del proiettore cinematografico. Edison morì il 18 ottobre del 1931, dopo avere registrato a proprio nome oltre mille brevetti.

mercoledì 18 dicembre 2019

Il Supercomputer più veloce al monda è made in USA, ma per quanto? La Cina incalza.

Stati Uniti e Cina sono impegnati in una durissima guerra commerciale, ma c’è anche un altro livello di questo scontro tra superpotenze: l’ambito tecnologico. Non solo smartphone o intelligenza artificiale, ma anche i supercomputer, vasti agglomerati di computer che condividono le risorse (processori, chip grafici, memoria e archiviazione) per assicurare una potenza di calcolo difficile anche solo da immaginare.
I supercomputer sono fondamentali per un paese, perché permettono di fare simulazioni in diversi settori, dal meteo (che sappiamo quanto possa incidere sull’economia) alla ricerca di nuovi giacimenti di petrolio e gas, fino ad arrivare allo studio di nuovi materiali. Le applicazioni sono sterminate, il limite è solo l’immaginazione dei ricercatori.
Per questo è interessante guardare la TOP500, una classifica che mette in fila i supercomputer per capire qual è il più veloce e come si muove la potenza di calcolo nel mondo. Dopo anni di dominio cinese, gli Stati Uniti sono tornati al vertice, con il Summit installato presso l’Oak Ridge National Laboratory (ORNL). Questo supercomputer ha una potenza massima di 143,5 petaflop (un milione di miliardi di operazioni al secondo) grazie a migliaia di processori e chip grafici, ottimi per processare informazioni in parallelo, che lavorano insieme per risolvere i compiti assegnati.
In seconda posizione c’è Sierra, situato al Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL), che si ferma a 94,6 petaflop. In terza posizione ecco il Sunway TaihuLight, il primo supercomputer cinese, installato presso il National Supercomputing Center di Wuxi, con 93 petaflop, seguito dal Tianhe-2A (Milky Way-2A) con 61,4 petaflops. Il primo supercomputer europeo è il Piz Daint dello Swiss National Supercomputing Centre (CSCS) di Lugano con 21,2 petaflop.
Gli Stati Uniti possono quindi vantarsi di avere il supercomputer più potente, ma la Cina ha colmato il gap in questi anni e conta ben 277 sistemi nella classifica TOP500, il 45% del totale. Un altro segnale del fermento che pervade in lungo e in largo il grande paese asiatico, che a questo riguardo fa mangiare la polvere agli States, fermi a 109 sistemi (il 22%). I supercomputer statunitensi però sono mediamente più veloci.
Tra l’altro, il paese asiatico sta cercando di colmare il gap con la Silicon Valley e sta costruendo una florida industria tecnologica con aziende che progettano microprocessori e acceleratori di calcolo che seppur non ai livelli di Intel, Nvidia o altre realtà USA, stanno rapidamente evolvendo. Un giorno, non è da escluderlo, nel vostro computer potrebbe esserci un processore cinese progettato dai cinesi.

lunedì 16 dicembre 2019

Il Politecnico di Torino all'avanguardia nell'internet delle cose applicato alla viticoltura.

Dalla Sardegna alla Catalogna il segnale wi-fi ha viaggiato per 700 chilometri stabilendo il record. Merito degli iXem Labs del Politecnico di Torino che da cinque anni stanno lavorando su delle piccole antenne di due centimetri capaci di funzionare per anni grazie a un paio di semplici pile stilo. E che ora hanno anche dimostrato la loro portata massima. Non è un sistema per portare connettività alle persone ma per una agricoltura sempre più tecnologica, raccogliendo dati di temperatura, umidità e altro.
Il segnale telefonico manca in tante aree lontane dalle città. Sulle colline del Monferrato ad esempio non c'è ed è lì che è nato, in ambito della viticultura, l'idea di una rete indipendente libera, capillare e aperta. Capace di operare ovunque e che funzioni con antenne piccole che non abbiano bisogno di una ricarica continua".
Serviva quindi un sistema per connettere i sensori ambientali capaci di aiutare i produttori di vino a gestire le vigne in maniera molto precisa, evitando il più possibile prodotti chimici grazie ad una analisi precisa delle necessità delle piante. Dati su umidità, precipitazioni, vento, sole, così da capire in anticipo i rischi e intervenire chirurgicamente. Internet of things (internet delle cose) applicato all'agricoltura.
Al Politecnico di Torino sono partiti nel 2013 con i primi esperimenti, ma le prime antenne avevano una portata bassa. Durante tutto il 2018 è stata fatta una sperimentazione diffusa fra i vigneti di Friuli, Veneto e Toscana e lì agli iXem Labs sono riusciti a capire che potevano raggiungere anche a 70 chilometri di distanza fra un'antenna e l'altra. Antenne che in otto mesi hanno consumano appena il 10 per cento di due batterie stilo.  

venerdì 13 dicembre 2019

E se un giorno l'umanità scomparisse?

Possiamo fare cose che nessun'altra specie vivente ha mai nemmeno immaginato, viaggiamo nello spazio e abbiamo colonizzato quasi ogni terra emersa. Eppure, tutti le nostre opere sono effimere e potrebbero essere distrutte con disarmante facilità. Perché la Natura è più forte dell'uomo e, in un tempo relativamente breve, potrebbe cancellare ogni sua traccia. Sono le amare conclusioni di uno studio pubblicato dalla rivista New Scientist, che si è posta una semplice domanda: cosa accadrebbe se all'improvviso l'umanità scomparisse?
Lasciata da sola, dicono gli autori della ricerca, la Natura reclamerebbe immediatamente gli spazi che le erano stati sottratti dall'uomo. E mentre i campi ritornerebbero boschi e praterie, l'inquinamento calerebbe e la biodiversità tornerebbe a crescere. Già nelle prime 24 ore senza esseri umani, il volto della Terra cambierebbe profondamente, soprattutto di notte. Senza manutenzione e rifornimenti nelle centrali elettriche, inizierebbero a verificarsi dei black out. Gli impianti di illuminazione rimarrebbero spenti e tutti i macchinari si fermerebbero. Il cambiamento sarebbe visibile anche dallo spazio, con la scomparsa delle luci delle città.
Nel giro qualche anno, avrebbe inizio la distruzione degli edifici e delle infrastrutture. Le prime a cedere sarebbero le costruzioni di legno, seguite dai tetti di quelle in muratura. Gradualmente il processo si estenderebbe e, in pochi millenni, delle nostre città non rimarrebbe che polvere. Un buon esempio è fornito dalla città ucraina di Pripyat, nei pressi di Chernobyl. Abbandonata venti anni fa dopo l'incidente nella vicina centrale nucleare, si sta rapidamente riducendo a un ammasso di rovine. A fare più danni sono le piante, che insinuano le loro radici nei muri e indeboliscono le strutture.
Il ritmo della distruzione varierebbe ovviamente in base alle caratteristiche dell'ambiente. Nelle aree più calde e umide, dove i processi dell'ecosistema sono più veloci, le tracce della civiltà scomparirebbero prima rispetto a quelle più fresche e aride. Molte specie in via di estinzione, in difficoltà per la riduzione del loro habitat naturale, si gioverebbero della nostra assenza e tornerebbero a crescere. 
Senza gli inquinanti prodotti dalle attività umane, lo stato di salute del pianeta migliorerebbe gradualmente. Alcune sostanze, come gli ossidi di azoto, di zolfo e l'ozono, tornerebbero a livelli normali nel giro di poche settimane. Altri avrebbero bisogno di più tempo: il biossido di carbonio, ad esempio, potrebbe continuare a influenzare il clima per più di 1000 anni.

Il processo di riscaldamento globale, che è causato da moltissimi fattori legati tra loro, potrebbe continuare a lungo ed è difficile stimare quando la temperatura globale potrebbe tornare a scendere. Probabilmente  gli effetti dell'attività umana potrebbero farsi sentire ancora per qualche migliaio di anni.

lunedì 9 dicembre 2019

Madrid - Cop 25, conferenza sul clima


Iniziata lunedì 2 dicembre, la conferenza sul clima Cop25 organizzata dalle Nazioni Unite, ha visto un’evoluzione lenta dal punto di vista dei negoziati e molto proteste dei giovani attivisti.
È un momento importante per la riduzione delle emissioni, dopo l’accordo di Parigi del 2015, con buoni propositi ma finora disattesi.
I lavori entreranno nel vivo soltanto nei prossimi giorni con l’arrivo dei ministri: per ora i tecnici di ogni Paese hanno parlato molto del mercato delle quote di carbonio. Cosa significa? I Paesi virtuosi, che riducono le emissioni possono vendere le quote di carbonio in eccesso, mentre chi è meno virtuoso e non riesce a raggiungere i suoi obiettivi, può acquistare le quote. Come dire: il professore ci assegna un certo numero di esercizi. Chi è veloce può farne di più e venderli a chi è più lento. Vi sembra una buon sistema?
I favorevoli sostengono che questo sistema ha il vantaggio di coinvolgere anche il settore privato, che ha interesse a mettere in vendita quote di carbonio. I contrari sostengono che possa danneggiare la riduzione delle emissioni perché è sempre possibile acquistare le quote da altri. La discussione su questo tema va avanti dalla conferenza di Parigi 2015 , quindi quattro anni senza trovare un accordo, un po’ troppo.
C’è un aspetto che è molto discusso: i Paesi più sviluppati, che oggi possiedono le migliori tecnologie, sono anche quelli in grado di ridurre le emissioni, ma nel passato proprio loro le hanno portate a livelli altissimi. Tuttavia oggi soprattutto i Paesi in via di sviluppo, meno attrezzati e meno ricchi, pagano le conseguenze più gravi delle alterazioni climatiche, soprattutto con l’innalzamento dei livelli dei mari, siccità, desertificazione.

giovedì 5 dicembre 2019

Esagono, geniale

Quanto studiamo noi esseri umani per diventare architetti e quanta fatica fanno le braccia e la schiena del muratore per erigere case per tutti noi?
Tanta fatica e tanto studio e poi bisogna reperire tutti i materiali per la costruzione.
Le api non solo costruiscono da sé i favi che ospiteranno le scorte di cibo e le nuove generazioni di api, ma sono loro stesse una vera e propria fucina di materia prima per costruzione: pura cera d’api.
Le api si distinguono sempre per le loro innate doti; madre natura con loro è stata così generosa che non solo le ha rese degli abili architetti, ma le ha addirittura rese indipendenti nella fabbricazione della materia prima con cui costruire il proprio nido.
Le api secernono piccole scaglie di cera dal proprio addome. Solo le api giovani, tra il 10 e il 16 giorno di vita sono infatti provviste di specifiche ghiandole, dette ceripare e vengono classificate come api ceraiole.
Ma la perfezione e l’efficienza delle loro cattedrali non è proprio tutta farina del loro sacco; ecco quand’è che interviene madre natura. E' una semplice questione di geometria. Se si vogliono unire insieme tutte le celle che sono identiche per forma e dimensione in modo che riempiano completamente un piano piatto, solo tre forme regolari (con tutti i lati e angoli uguali) funzioneranno: triangoli equilateri, quadrati ed esagoni. Di questi l’esagono richiede la produzione di meno cera poiché ogni lato è in comune con la cella vicina e produrre la cera costa alle api energia, quindi usando l’esagono risparmierebbero tempo e fatica,  proprio come un muratore potrebbe desiderare di risparmiare sul costo dei mattoni.
Osservando la natura possiamo vedere come la forma esagonale salti fuori in maniera “spontanea”. Osserviamo per esempio le bolle di un liquido.  Soffiando con una cannuccia e producendo sulla superficie delle bolle che sappiamo tutti essere delle semisfere, quindi senza lati, osserviamo un curioso fenomeno: quando esse si avvicinano l’una all’altra e si toccano le pareti formano dei lati squadrati uniti a dei vertici, dando vita proprio a forme esagonali. Certo, non saranno tutte perfette ma è ben visibile come la forma più presente sia l'esagono.

giovedì 21 novembre 2019

Il Negozio Leggero

Vi siete mai chiesti quanta plastica e carta buttiamo ogni giorno a causa del packaging (imballaggio) che ricopre i nostri prodotti alimentari? E avete mai desiderato fosse possibile comprare esclusivamente prodotti sfusi? Buona notizia: grazie alla spesa alla spina si può.
La spesa alla prina è una pratica già utilizzata in diversi paesi europei, che consiste nel fare la spesa recandosi in negozi sostenibili che permettono di acquistare prodotti alimentari e per la casa in modalità sfusa: basta munirsi di contenitori riutilizzabili per eliminare ogni tipo di packaging.
Lo so, starete pensando «Tutto molto bello, ma non siamo a Berlino: qui non esistono negozi di questo tipo». Sbagliato: da diversi anni alcuni supermercati italiani, come l’IperCoop, hanno introdotto la possibilità di acquistare detersivi per piatti e per indumenti in modalità sfusa, riutilizzando il flacone; ma soprattutto, dal 2009 a Torino esiste il Negozio leggero!
Si tratta di un negozio (ormai una rete di negozi) che offre ai clienti la possibilità di fare una spesa sostenibile acquistando prodotti alimentari, per la persona e per la casa di buona qualità ed esclusivamente in modalità sfusa, eliminando il packaging e re-introducendo su alcuni tipi di merci il sistema del vuoto a rendere.
Fare la spesa al Negozio Leggero vuol dire portare i propri contenitori da casa e farli riempire di prodotto, oppure acquistare dei contenitori solo la prima volta e poi  ricaricarli le volte successive di caffè, pasta, cereali, detersivi, spezie, vini o legumi; perciò fare la spesa sfusa vuole anche dire fare economia, pagando solo il peso del prodotto e risparmiando il costo del packaging e dell’imballaggio!  Una famiglia di quattro persone può arrivare a risparmiare 100 chili di rifiuti in un anno.

giovedì 7 novembre 2019

Il gioiello di Anversa


Fra le architetture recenti più interessanti c'è senz'altro Port House (letteralmente LA CASA DEL PORTO) ad Anversa,  progetto dell'architetto anglo-irachena Zaha Hadid scomparsa quest'anno: faccettata come un diamante e con interni da veliero futuribile
È un veliero imponente e leggero che sembra pronto più a prendere il volo che il mare. È ancorato sul tetto di un edificio di cent’anni fa, ex caserma dei pompieri.
La progettista per questo progetto ha usato due metafore: la nave, che parla della straordinaria storia marittima di Anversa, il secondo porto commerciale europeo dopo Rotterdam, e il diamante, un effetto ottenuto sminuzzando l’intera copertura esterna in triangoli di vetro con diverso e impercettibile orientamento, in modo da riflettere la luce come un gigantesco brillante. L’85 per cento di queste pietre preziose è tagliato proprio qui, ad Anversa.  Nell’immenso gioiello tutto è luce: lungo i 111 metri dell’edificio ci sono pochissime tamponature esterne, ottenute con l’opacità di qualche componente triangolare di vetro.
Il volume interno è suddiviso in ampi spazi bianchi, dall’arredo essenziale. Ma se la Port House ricorda un diamante all’esterno, dentro all’involucro vitreo tutto fa pensare a una nave.

martedì 5 novembre 2019

Le incredibili maree a Mont Saint-Michel




Visitare Mont Saint-Michel è una delle cose da fare (almeno) una volta nella vita. È un isolotto situato nei costa settentrionale della Francia, in Normandia, nel punto dove sfocia il fiume Couesnon, sul quale venne costruito un santuario in onore di San Michele Arcangelo.
C'è un fenomeno che rende questo posto unico al mondo: sono le Maree. È per questo motivo che l'isolotto con l'Abbazia e il borgo annesso è stato dichiarato patrimonio dell'umanità dall'Unesco nel 1979.
A Mont-Saint-Michel si verificano le alte maree dell'Europa Continentale. Quando c’è la bassa marea, il mare si trova a 15 km dalla costa, ma quando la marea raggiunge il suo culmine l’acqua arriva a lambire l'abbazia e sembra di trovarsi in una qualunque località di mare. La marea arriva in pochi secondi e, sempre in pochi secondi, il paesaggio cambia completamente. Quando la bassa marea ritorna il mare si ritira e lascia sulla piana i segni modellati dalle onde e dalle correnti. Ogni 18 anni il fenomeno delle maree diventa particolarmente intenso e la marea raggiunge la sua altezza massima.
Le maree sono provocate da differenti fattori; in parte sono causati dall’attrazione gravitazionale della Luna e, in misura minore del Sole, che attrae le masse d’acqua. Quando la Luna è allineata tra la Terra e il Sole, l'attrazione esercitata dai due astri è ancora maggiore. Le maree seguono un ritmo costante e possono essere previste ed attese, motivo per cui, prima di avventurarsi sulle spiagge oceaniche dove il fenomeno è particolarmente evidente, bisogna controllare gli orari delle maree. Ci sono diversi siti ed app per controllare il calendario delle maree prima di avventurarsi in spiaggia e presso le edicole delle località di mare sono disponibili dei libricini con gli orari delle maree giorno per giorno.
Perché il fenomeno delle maree è così intenso a Mont Saint-Michel e non altrove? Le maree, oltre che ad essere causate dalla forza gravitazionale di Luna e Sole sono determinate anche dalla forza centrifuga (causata dalla rotazione del sistema Terra-Luna). La conformazione della costa e delle baie svolge anch'essa un ruolo importante nella formazione delle maree facendo sì che in alcune coste oceaniche la marea sia quasi impercettibile ed in altre sia di più di 10 metri.
Il posto al mondo dove si verifica la marea più grande si trova in Canada ed è la Baia di Fundy (20 metri di marea oceanica). Poi ci sono Rio Gallegos (in Patagonia) e Portishead in Gran Bretagna. Mont Saint-Michel con le sue maree che arrivano a 15 metri di altezza non è il posto della Francia con la marea più grande, che è invece Granville. Mont Saint-Michel però è il luogo più spettacolare per ammirare il fenomeno, grazie alla curiosa presenza della rocca dell'abbazia che da collina si trasforma in isola.
Le maree sono classificate con un coefficiente: le più spettacolari hanno coefficiente superiore a 100. Nel 2020 ci saranno diversi giorni in cui le maree avranno un coefficiente superiore a 100: 11-12 febbraio, 10-13 marzo, 8-11 aprile, 7-8 maggio, 21 agosto, 18-20 settembre, 17-19 ottobre, 15-17 novembre.
Il modo migliore per ammirare lo spettacolo della marea di Mont Saint-Michel è dalla cima dell'Abbazia. Per godersi il fenomeno bisogna farsi trovare in postazione già 2 ore prima dell'orario previsto per l'alta marea, o il ponte-passerella che collega l’isola alla terraferma.
Dalla baia i migliori punti d’osservazione sono Roche Torin a Courtils, Grouin du Sud a Vains-Saint-Léonard o Gué de l’Epine a Val-Saint-Père.

giovedì 24 ottobre 2019

In Danimarca hanno spostato un faro a causa dell’erosione della costa

In Danimarca, nel nord, c’è un vecchio faro chiamato Rubjerg Knude. Il faro è alto 23 metri, è stato costruito nel 1899 e inaugurato nel 1900, ma ormai da diversi anni è inattivo ed è diventato nel corso del tempo una popolare meta turistica. Quando fu costruito, il faro si trovava a circa 200 metri dal mare ma negli anni l’erosione della costa ha accorciato sempre di più questa distanza, fino ad arrivare agli attuali sei metri.
Per evitare che l’erosione potesse far crollare il faro – cosa che secondo le previsioni degli esperti sarebbe potuta avvenire entro il 2023 – si è deciso di spostarlo di 70 metri verso l’entroterra. Per farlo nell’ultimo anno è stata studiata un’operazione dal costo complessivo di 5 milioni di corone danesi (circa 670mila euro), allo scopo di salvarlo.
L’operazione è stata messa in pratica il 22 ottobre quando il faro, pesante 720 tonnellate, è stato sollevato dalla base e spostato lungo due rotaie costruite per questo scopo. Lo spostamento è durato in tutto 10 ore, con il faro che è stato trasportato a una velocità media di circa 8 metri all’ora.
 Il faro e le suggestive dune di sabbia che lo circondano attirano ogni anno circa 250mila turisti da tutto il mondo.

domenica 20 ottobre 2019

Il Khalifa Stadium

Si sono appena svolti  i campionati del mondo di atletica leggera nel Khalifa Stadium di Doha, in Quatar, sulla pista appositamente realizzata da Mondo di Alba (CN).
Costruito nel 1976, questo impianto è stato appena trasformato in una struttura ultramoderna dotata di caratteristiche all’avanguardia come la l’illuminazione a LED, i proiettori digitali, la climatizzazione (si la climatizzazione) offrendo condizioni ottimali di performance per gli atleti e un’esperienza visiva spettacolare per gli spettatori.

Le gare all'esterno dello stadio sono state disputate in piena notte, ma pur sempre a 30 °C e con grandi difficoltà per gli atleti, ma per fortuna almeno all’interno dell’impianto che farà da teatro alla manifestazione – che pure resta un impianto a cielo aperto - gli atleti hanno goduto di condizioni migliori.
Il Khalifa International Stadium, un assoluto prodigio che sarà anche tra le sedi della Coppa del Mondo di calcio 2022, presenta infatti – primo al mondo - un avveniristico sistema di climatizzazione.
Anche gli spettatori in tribuna (40.000 posti a sedere) sono stati al fresco. Il sistema di condizionamento dell’aria ha funzionato a una meraviglia. Volendo, può sparare folate gelate o quasi e ha permesso agli  spettatori di vedere e  agli atleti di correre in pieno deserto a 25°C.

venerdì 18 ottobre 2019

E’ vero che l’energia prodotta per produrre un pannello fotovoltaico è maggiore di quella che il pannello produrrà nel corso di tutta la sua vita?

Forse era così 20 anni fa, quando la tecnologia era quella che era 20 anni fa. I pannelli di nuova generazione, invece, hanno un’efficenza ben maggiore. Esiste un indice creato apposta per questi calcoli, chiamato EROEI.
L’Energy Returned on Energy Invested è, semplicemente, un indicatore che calcola l’energia prodotta in tutta la sua vita da una data fonte di energia e divide questo valore per l’energia spesa per costruirlo.
Per calcolare l’energia spesa si considera l’energia necessaria per costruire, mantenere e smantellare l’impianto. Da questo calcolo matematico ne deduciamo che una tecnologia deve avere un EROEI superiore a 1 per essere conveniente: maggiore è l’EROEI, migliore è la tecnologia.
Quanto equivale l’EROEI del fotovoltaico?
Uno studio del 1994 produceva un valore < 1. Questo valore, decisamente datato, ha dato origine alla diffusa leggenda urbana che ci vuole più energia per produrre un pannello fotovoltaico di quanto questo ne possa ridare nel corso della sua vita operativa. Ovviamente la resa dei pannelli è migliorata molto e le tecniche di produzione sono state ottimizzate (risparmiando energia e facendo scendere i costi) permettendo agli impianti attuali di arrivare fino a un valore  di EROEI pari a 10 (ma secondo un altro studio anche 14). Questo significa che un pannello fotovoltaico di ultima generazione produrrà nel corso della sua vita utile (oltre 25 anni) più di 10 volte più energia di quella che è stata necessaria per produrlo.
Inoltre, se si considerano i pannelli fotovoltaici a film sottile, che non utilizzano il costoso silicio e in generale usano una quantità minore di materiali, l’EROEI riesce ad arrivare a valori molto più alti.
E il petrolio?
Pensate che il petrolio partiva da un EROEI di 100 negli anni ’40, per dimezzarsi negli anni ’70 e arrivare a un 5-8 degli ultimi studi effettuati. Questo perché l’estrazione risulta ogni giorno più difficile e costosa.

martedì 15 ottobre 2019

Da Viverone a Capo Nord con la Graziella

Mai nessuno si era spinto fino a Capo Nord con una vecchia bicicletta Graziella, un po' arrugginita e cigolante. Ma qualcuno ha deciso di provarci e scrivere il proprio nome su un'impresa senza precedenti. Omar Chinea, videomaker biellese di 27 anni e amante dei viaggi in solitaria, è riuscito a siglare un nuovo record mondiale pedalando con «Rosy» (cosi ha chiamato affettuosamente la sua bici) da Viverone (in Piemonte) fino al Circolo Polare Artico, partendo solo con un coltellino. «Tutto il resto me 10 sono procurato strada facendo - ha detto Omar —. Volevo uscire dalle comodità che ci fanno sentire tranquilli». Cosi dopo 4 mesi di pedalata macinando oltre 5 mila chilometri, il biellese entrato di diritto tra recordman mondiali immortalandosi insieme a «Rosy» di fronte al monumento del Globo, simbolo di Capo Nord. «Mi piace viaggiare e farlo lentamente - spiega Omar -. Niente di meglio, allora, che farmi accompagnare da una Graziella».
Per lui, però, non la prima esperienza di questo genere. Aveva infatti iniziato con «camminate» con gli amici da Torino a Genova, poi negli anni successivi un tour della Sardegna e della Cornovaglia e l'anno scorso una camminata da Trieste ad Atene. Insomma, l'esperienza non mancava

sabato 12 ottobre 2019

Nel Regno Unito le colonnine per la ricarica superano le stazioni di rifornimento

Un sorpasso storico nella patria che ha dato vita alla rivoluzione industriale basata sui combustibili fossili. Le colonnine per la ricarica delle auto elettriche hanno superato le stazioni di rifornimento. Oggi si registrano un totale di 9.300 stazioni di ricarica per i veicoli elettrici, rispetto alle 8.400 stazioni di servizio che offrono ai clienti diesel e benzina.
A renderlo noto è Nissan che ha recentemente raccolto i numeri e che, dal 2011, è presente sul mercato britannico con la prima versione della Leaf. Secondo Nissan molti consumatori affermano che la loro prossima auto sarà elettrica.
le stazioni di carburante invece arretrano: dal 1970 ad oggi nel Regno Unito hanno chiuso quasi l’80 per cento delle pompe mentre le colonnine sono passate da poco più di cento nel 2011 a più di 9mila in otto anni. Di queste stazioni, più di 1.600 offrono la ricarica rapida che consente la ricarica della batteria fino all’80 per cento in meno di un’ora.
Tuttavia il mercato è ancora dominato dai veicoli a benzina e diesel, ma è in netto calo: il cambio di rotta è iniziato, nello stesso paese che fece del carbone il proprio “credo” industriale.

giovedì 10 ottobre 2019

Quanto consuma e inquina un aereo e quanti aerei viaggiano nel mondo?

In una giornata vengono anche superati i 200 mila voli di linea al giorno, oltre 100 al minuto. Tanti? Tantissimi, significa circa 30 milioni di persone al giorno che prendono un aereo.
Ma quanto inquinano tutti questi aerei messi insieme?
I motori a reazione degli aerei sono alimentati a cherosene avio, carburante molto simile al gasolio per auto, ma il motore a getto, per sua natura, non può essere dotato di tutti i dispositivi che nei motori  terrestri ne limitano le emissioni.
Alcune stime hanno quantificato che il traffico aereo di un aeroporto come Fiumicino o Malpensa emetta giornalmente gas inquinanti pari  a 350 mila auto non catalizzate, cioè un aereo inquina come 600 auto non catalizzate.
E' ben noto che l'industria automobilistica mondiale, nell'ultimo ventennio, ha dovuto investire cifre enormi per ridurre le emissioni e continua a farlo, mentre negli ultimi 10 anni i viaggi lowcost hanno incrementato a dismisura il traffico aereo e il conseguente inquinamento atmosferico e si può affermare che il trasporto su ali sia la fonte di emissioni di gas serra e di sostanze inquinanti più in crescita.
Secondo alcuni studi il trasporto aereo incide per oltre il 10%  sul totale dell'effetto serra da CO2 ma mentre la benzina e il gasolio per autotrazione sono pesantemente tassate in molti Paesi  il cherosene per aerei avio è esentasse ovunque. Tale regola è imposta dall'Organizzazione Internazionale per l'Aviazione Civile (ICAO), organismo dell'ONU.
Grazie all'assenza di una tassa sul carburante o di qualunque altroprelievo fiscale basato sulle emissioni, le compagnie aeree possono tenere bassi i prezzi dei biglietti. 
Come se non bastasse, a causa delle ricorrenti crisi delle compagnie aeree, si calcola che in Europa il settore dell'aviazione civile riceva oltre 45 milioni di dollari l'anno di aiuti economici.
Ma c'è una seconda clamorosa anomalia: le emissioni del trasporto aereo sono  rimaste fuori dal Protocollo di Kyoto del 1997 sulle riduzioni dei gas serra perchè la comunità internazionale non si è accordata a quaòle Paese conteggiare le emissioni di CO2 per i voli internazionali: Paese di partenza o Paese di arrivo?
Ma quanto consumano realmente gli attuali aerei di linea? I consumi sono enormi: si va da 1 a 4 litri di kerosene al secondo, a seconda del tipo di aereo in funzione dei passeggeri trasportati.
Le fasi di decollo e di raggiungimento della quota di crociera sono quelle che richiedono il maggior consumo di carburante (nei voli brevi fino a 1/3 dell'intero consumo).
A titolo di confronto riportiamo anche l'esorbitante consumo del celebre supersonico Concorde (fuori servizio dal 2003), pari a 7 litri al secondo o diu n aereo da caccia tipo F15 o F16 che consuma circa 5 litri al secondo.

venerdì 4 ottobre 2019

Produrre energia pulita e tutelare il paesaggio

Parchi eolici con decine di pale alte pio di cento metri in Cima alle colline, campi fotovoltaici con distese di pannelli solari; ma anche dighe che bloccano torrenti e flumi che alimentano centrali di cemento, grovigli di tubi e nuvole di vapore intorno a quelle geotermiche. Non si può negare, gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili hanno un impatto evidente sul territorio e sul paesaggio; cosi c'é chi le osteggia per la loro scarsa sostenibilitå "estetica". Le polemiche infuriano da tempo, ma al netto di prese di posizione dure, la necessità di integrare le rinnovabili nell'ambiente è innegabile.
Esistono anche molte contraddizioni: pannelli solari che quasi non si notano, perché sono simili alle tegole dei tetti ma è impossibile installarli nelle nostre cittå d'arte dove invece abbondano le antenne satellitari e i motori dell'aria condizionata.
In Italia abbiamo 73.000 chilometri di linee dell'alta tensione, 250.000 tralicci e li consideriamo normali. Ma basterebbero 15.000 pale eoliche per sopperire al 30% del nostro fabbisogno energetico. Resta il fatto che in un Paese basato sul turismo come il nostro, il paesaggio una risorsa economica da salvaguardare.
L'eolico è uno degli interventi più discussi, perché difficile dissimulare le torreggianti pale. Si potrebbe allora puntare a diminuirne il numero (una macchina di nuova concezione può sostituire 7 di quelle esistenti), o provare a renderle più gradevoli e meno invasive.

giovedì 3 ottobre 2019

La prima ferrovia italiana oggi compie 180 anni

Il 3 ottobre del 1839, 180 anni fa, venne inaugurata la prima linea ferroviaria italiana, che collegava Napoli alla vicina località di Portici. A questo evento Google oggi dedica il suo doodle, l’immagine che compare di tanto in tanto al posto del logo nella homepage del motore di ricerca.
La costruzione della Napoli-Portici venne affidata all’ingegnere francese Armando Giuseppe Bayard, che aveva esposto il suo progetto tre anni prima a Ferdinando II di Borbone, re dell’allora Regno delle due Sicilie. Il progetto prevedeva di collegare Napoli a Nocera Inferiore con una diramazione per Castellammare. I lavori, diretti da Bayard, incominciarono l’8 agosto 1838 e dopo tredici mesi venne ultimato il primo tratto a un solo binario, a cui prima dell’inaugurazione venne aggiunto un secondo binario.
Il giorno dell’inaugurazione il convoglio, composto da otto vagoni, impiegò circa dieci minuti a percorrere 7,25 chilometri. A bordo c’erano 48 invitati oltre a una rappresentanza dell’esercito reale costituto da 60 ufficiali, 30 fanti, 30 artiglieri e 60 marinai. Nell’ultima vettura c’era la banda della guardia reale.
I vagoni furono costruiti a Napoli, nello stabilimento di San Giovanni a Teduccio, mentre la locomotiva a vapore, chiamata “Vesuvio”, venne acquistata dalla società inglese Longridge Starbuck e Co. di Newcastle-upon-Tyne. Nei quaranta giorni successivi all’inaugurazione, 85.759 passeggeri viaggiarono sulla linea Napoli-Portici.
Il 1º agosto 1842 la ferrovia venne ampliata raggiungendo Castellammare di Stabia, il 20 dicembre 1843 fu inaugurato il tratto Napoli-Caserta e un anno dopo il treno arrivò a Pompei e Nocera. Nei successivi anni anche negli altri regni italiani venne avviata la costruzione dei primi tratti ferroviari, e al momento dell’Unità d’Italia c’erano circa 2mila chilometri di tracciati ferroviari in tutto il paese.

mercoledì 2 ottobre 2019

Una teleferica Terra-Luna

Se l'ascensore spaziale - da qualcuno ipotizzato - rimane ancora impossibile, una teleferica Luna- Terra potrebbe in futuro essere più facilmente realizzabile e abbasserebbe i costi delle missioni future. 
Costi e difficoltà dei lanci spaziali mettono un freno alle umane capacità di esplorazione del cosmo: abbandonare la morsa della gravità terrestre comporta ancora notevoli rischi economici e tecnologici. Per questo di tanto in tanto ritorna l'idea dell'ascensore spaziale per portare in orbita astronauti e merci. Ma fatta eccezione per alcuni prototipi in miniatura, l'idea rimane al momento irrealizzabile.
Alcuni scienziati delle Università di Cambridge (Regno Unito) e Columbia (New York) hanno pensato a un'alternativa: non un ascensore, ma una teleferica ancorata alla Luna che si estenda fino al pozzo gravitazionale terrestre (la regione di Spazio interessata dal campo gravitazionale del nostro pianeta).
Secondo i due ricercatori, con i materiali e le tecnologie attuali sarebbe possibile far arrivare questa funicolare - la Spaceline - a 42.164 km dalla superficie terrestre. Completerebbe attorno al nostro pianeta soltanto un'orbita al mese (così come fa la Luna), riducendo di molto la trazione dovuta alla forza centrifuga. Se realizzata, la funicolare permetterebbe di tagliare drasticamente i costi della tratta Terra-Luna.
Per la costruzione si potrebbe utilizzare un cavo di zylon, un polimero in carbonio già usato nei sistemi di atterraggio dei rover marziani, lungo oltre 300.000 km.
Lo studio, precisano i suoi autori, è soltanto una dimostrazione di fattibilità: l'impianto potrebbe essere teoricamente progettato con materiali e tecnologie attuali, ma ciò non implica che sarà costruito in un futuro vicino. 

mercoledì 25 settembre 2019

Decreto clima, che cos'è?

In questi giorni si sente molto parlare del decreto Clima. Che cos'è?. Prima di tutto cerchiamo di capire che cos'è un decreto, mentre tutti sappiamo di cosa si parla se diciamo clima. In Italia le leggi le fa il Parlamento. Il decreto è una legge proposta invece dal Governo (formato da Ministri e Presidente del Consiglio dei Ministri) che entro 2 mesi deve essere approvata dal Parlamento.
Il cambiamento climatico, il surriscaldamento del pianeta causato dalle mille attività dell'uomo, in genere l'uso dei combustibili per produrre energia, sono da tempo sotto la lente di osservazione degli scienziati. Prima solo loro ma ora tutti siamo coscienti che occorre un deciso cambio di rotta.
Ecco cosa prevede il decreto clima in discussione al Governo proposto dal Ministro dell'Ambiente Sergio Costa.
Bonus per la rottamazione
Si tratta di uno sconto fiscale di 2000 euro per chi rottama auto euro 4 o più vecchie ancora, utilizzabile per l'acquisto di abbonamenti ai mezzi pubblici o di servizi di car sharing. 
Scuolabus green
Si tratta di incentivi alle famiglie per l'uso di scuolabus a ridotte emissioni nelle città più inquinate.
Taglio dei sussidi inquinanti
Il Governo fino ad oggi ha dato aiuti economici a molte attività anche molto inquinanti legate alla produzione e all'uso di carbone, prodotti petroliferi e gas naturale. Il decreto prevede che tra il 2020 e il 2040 questi aiuti scenderanno ogni anno del 10% e il ricavato andrà a finanziare nuovi aiuti non dannosi per il clima.
Piattaforma per la qualità dell'aria
Si tratta di far lavorare insieme i vari ministeri per tenere sotto controllo le attività più dannose per il clima, ridurre progressivamente il loro impatto e promuovere attività non dannose per l'ambiente.
Sviluppo dei parchi nazionali
Tutti i 24 parchi nazionali che esistono in Italia otterranno dei fondi per le attività produttive ecosostenibili che verranno sviluppate al loro interno.
Sconti per i prodotti plastic free
Infine il Governo vuole incentivare la vendita di prodotti sfusi o a zero imballaggio di plastica.

domenica 22 settembre 2019

Noi siamo inarrestabili

“Noi giovani siamo inarrestabili“. Con queste parole Greta Thunberg ha aperto il Youth Climate Summit (Il summit dei giovani per il clima, che precede di pochi giorni il summit dei capi di governo) all’Onu a New York alla presenza del segretario generale Antonio Guterres. “Ieri milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto ragazzi – continua Greta – hanno marciato e chiesto vere azioni sul clima. Voglio ringraziare le Nazioni Unite e il segretario generale per l’organizzazione di questo evento, per aver invitato così tanti giovani”.
Dopo Greta ha preso la parola il segretario generale Guterres: “Sono entusiasta per la leadership e il dinamismo del movimento dei giovani per l’azione sul clima nel mondo. E pensare che due anni fa, quando ho iniziato, ero molto scoraggiato. A un certo punto però ho capito che, grazie ai giovani, c’era un nuovo slancio”.
Al summit Guterres parla di cambiamento, e non solo di quello climatico: “Tutto questo in gran parte è dovuto al coraggio con cui voi ragazzi state portando avanti questo movimento, arrivando a far sì che milioni di persone nel mondo dicano chiaramente che vogliono questo cambiamento e che i leader siano responsabili”.
Prima di parlare all’Onu Greta aveva parlato, nei giorni scorsi, al Congresso americano, dove aveva incontrato anche i membri della task force sul clima istituita al Senato Usa, per presentarsi qualche ora dopo, alla testa di un gruppo di giovani attivisti come lei, davanti alle commissioni affari esteri e clima della Camera. “Non vogliamo i vostri elogi – aveva detto rivolgendosi ai politici – e non vogliamo essere invitati per sentirci dire quanto siamo bravi e fonte di ispirazione. Risparmiateci tutto questo senza poi fare niente”. E ancora: “Quello che sta succedendo al nostro pianeta non sono mie opinioni, questa è scienza. Voglio che vi uniate al seguito della scienza e poi voglio che cominciate ad agire. So che state provando ma semplicemente non è abbastanza, mi dispiace”.

mercoledì 11 settembre 2019

La Francia sceglie l’ecotassa sui biglietti aerei

Viaggiare in aereo è inquinante. Troppo. Il governo francese corre ai ripari con un'ecotassa sui biglietti aerei, che finanzierà i trasporti ferroviari a partire dal 2020 su tutti i voli in partenza dal territorio nazionale.
A partire dall’anno prossimo, dunque, tutti i passeggeri dovranno pagare un supplemento che varierà da un minimo di 1,50 euro, se il tragitto è all’interno dell’Unione europea, fino a un massimo di 3 euro per i viaggi intercontinentali. Il sovrapprezzo invece sale ancora per la business class.
Il governo di Parigi prevede di incassare all’incirca 180 milioni di euro ogni anno, che saranno reinvestiti in misure a tutela dell’ambiente, in primis il potenziamento dei trasporti ferroviari.
Se ormai è noto che prendere un aereo è una delle azioni più inquinanti in assoluto, è molto meno chiaro cosa si debba fare per contenere le emissioni e rispettare l’Accordo di Parigi sul clima. Fino a oggi, fatte salve alcune eccezioni come la Svezia, in linea generale il trasporto aereo è rimasto pressoché immune alla tassazione ecologica.
Mentre si discute sul modo giusto per arginare le emissioni, il numero di viaggiatori continua a crescere, spinto dal proliferare delle offerte low cost e dal miglioramento del benessere economico di larghe fasce della popolazione. Nel 2017 oltre 1 miliardo di persone hanno volato in Europa, una cifra in continuo aumento.
la metà dei passeggeri si è spostata all'interno della UE,  il 17% con voli nazionali, e il 36 per cento è uscito dai confini europei. Proprio l’aeroporto internazionale di Parigi Charles De Gaulle è al primo posto per i trasporti di merci e al secondo posto per il traffico di persone. A superarlo soltanto lo scalo londinese di Heathrow, che nel 2017 contava 78 milioni di passeggeri.

martedì 3 settembre 2019

Il Motorola Razr pieghevole

Gli smartphone pieghevoli di Huawei e Samsung, annunciati a inizio 2019, ancora non si vedono. Dovevano debuttare a luglio in tutto il mondo, ma i problemi con l’amministrazione USA del gigante cinese e i difetti di produzione riscontrati dai coreani sui primi modelli hanno ritardato di qualche mese il lancio rispettivamente del Mate X e del Galaxy Fold. 
Quando arriveranno effettivamente sul mercato (probabilmente a settembre) i pieghevoli avranno prezzi altissimi (intorno ai 2000 euro).
Nel frattempo però ci sono anche altre aziende che lavorano a dispositivi analoghi. Prima tra tutte Motorola. Non con uno smartphone che si fa tablet con schermo grande, bensì con un vero e proprio telefono a conchiglia che si dispiega per trasformarsi in uno smartphone di grandi dimensioni. 
Costerà anche meno dei concorrenti cinese e coreano. Il prezzo, sempre secondo le indiscrezioni, dovrebbe essere fissato attorno ai 1500 euro. Per ridurre il prezzo, però, Motorola non doterà il dispositivo di caratteristiche da top di gamma, preferendo puntare più che altro sull’effetto “wow” del display che si apre e si chiude trasformando un piccolo telefonino in uno smartphone a tutti gli effetti.
Sarà interessante capire se la proposta innovativa convincerà i consumatori. 

sabato 31 agosto 2019

Aria pesante in India


Secondo i più recenti dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’India detiene il poco invidiabile primato di essere il Paese con le 10 città più inquinate dell’intero Pianeta.
Delhi è avvolta in una perenne caligine che ha più a che fare con la chimica che con il meteo. Respirarne l'aria è come fumare 50 sigarette al giorno, dicono. Non a caso conducenti e passanti sempre più spesso indossano mascherine o la loro versione più spartana, una sciarpa avvolta attorno alla bocca e al naso.
Al record contribuisce un mix micidiale di veleni vecchi e nuovi. Dall'onnipresente carbonella usata per alimentare fornelli e stufe agli scarichi delle auto, dei pullman, dei camion e degli Ape modificati per trasportare passeggeri. Per non parlare dei fumi tossici provenienti dalle campagne, dove è tradizione bruciare i campi per prepararli alle nuove colture. O delle emissioni delle industrie, o di quelle delle centrali a carbone. C’è poi l'abitudine diffusa di bruciare la spazzatura e i rifiuti in plastica per tentare di ridurne la presenza di lagante, e la polvere alzata dall'intensa attività di costruzione di strade ed edifici.
Anche secondo il rapporto elaborato da Greenpeace l'India domina come paese più inquinato del mondo, superando la sua diretta concorrente, la Cina, che si sta attrezzando meglio per affrontare il problema.
In India il numero delle vittime dell'inquinamento è aumentato costantemente, passando dai 737.400 decessi del 1990 ai 1,09 milioni del 2015, rendendolo la quarta causa di morte nel Paese. Per il 2019 le stime più pessimistiche parlano di 7 milioni di morti premature. Anche il ricorso alle fonti rinnovabili, come l'energia da pannelli solari, è vanificato dalla coltre di smog, con un minor rendimento stimato in un miliardo di dollari l'anno.
Insufficienti, per ora, le contromisure. Anche se proprio quest'anno è iniziato il primo Programma nazionale per l'aria pulita. Un ambizioso piano d’azione quinquennale che prevede un investimento di 45 milioni di dollari in 2 anni per affrontare l’inquinamento atmosferico di 102 città indiane.

mercoledì 28 agosto 2019

Abbiamo 10 cifre perché abbiamo 10 dita?


A dire il vero di dita ne abbiamo venti, molte popolazioni africane contano in base 20. La ragione è semplice: popolazioni abituate a girare scalze vedono più spesso le proprie dita dei piedi e quindi le usano per contarci sopra. Anche fra chi conta in base 10 ci sono delle differenze, piccole ma importanti. In Sudamerica si conta a partire dal mignolo, mentre in Europa di solito si comincia con il pollice.
Non tutti i popoli del mondo usano la stessa base per contare. Nella storia l’uomo ha scelto spesso basi legate al numero delle dita, come 10, 20 e 5. Ha usato e continua a usare la base 60, scelta probabilmente per via di un calcolo astronomico errato basato sul numero 360. E usa anche basi che a noi oggi sembrano alquanto improbabili, come la base 12. È più difficile ma ha anche un grande vantaggio: il 12 è divisibile per 2, 3, 4 e 6. Per noi che contiamo in base 10 spesso dividere per tre è difficile. Molti numeri pari non si possono dividere per tre e così anche le migliaia e le centinaia. Se la nonna ti dà 10 euro da dividere con altri due cugini, come fai? In questo caso contare in base 12 farebbe proprio comodo.
Durante la Rivoluzione Francese unificarono i sistemi di misura e, nel farlo, imposero l’uso della base 10. Da allora questo sistema, detto “metrico decimale”, si è diffuso in tutto il mondo: ma non per quanto riguarda le unità di tempo, che sono rimaste con le vecchie basi da 60 (60 minuti per fare 1 ora, 60 secondi per fare un minuto).
Ma che cos’è in pratica una base? La parola chiave per capire bene le basi è “raggruppare”. Facciamo finta che tu abbia 25 sassolini e devi farne dei gruppi uguali. Come li dividi? Per dieci? O per dodici? Scegliendo come dividerli stai scegliendo la base del tuo sistema numerico. Ad esempio, se raccogli i sassolini a gruppi di 10, ottieni due gruppi e ti avanzano cinque sassolini. Scrivi quindi “2” nella colonna delle decine (a sinistra) e “5” nella colonna delle unità (a destra): hai contato “25” sassolini in base 10. Fin qui mi sembra tutto troppo semplice. Se invece raccogli i sassolini a gruppi di 12, ottieni due gruppi con il resto di un sassolino. In questo caso scrivi “2” nella colonna delle dozzine e “1” nella colonna delle unità a destra: hai contato “21” sassolini in base 12.
Raggruppando a coppie i sassolini si conta in base 2, molto importante perché dà origine ai famosi “numeri binari”. I numeri binari sono la base dell’informatica. La base 2 che li utilizza è una delle più intuitive che esistono, ed è infatti usata da popoli con aritmetiche semplici, ma anche per programmare computer e apparecchi elettronici.

martedì 13 agosto 2019

Qual è il mezzo di trasporto più ecologico?

Si parla tanto di CO2, inquinamento atmosferico, cambiamento climatico, ma come possiamo porre rimedio a questa urgenza planetaria? Quali sono, ad esempio, i mezzi che inquinano meno?
Tutti noi possiamo contribuire alla riduzione di CO2, come? Per esempio, scegliendo i mezzi di trasporti più ecologici, vale a dire quei mezzi che, per emissioni serra, hanno un impatto decisamente inferiore sull’ambiente. Se sei curioso di sapere quali sono scorri la classifica, partendo dal peggiore. 

Aereo, il più inquinante 
È sicuramente nella lista nera come mezzo di trasporto decisamente inquinante. L’aereo produce circa 140 grammi di CO2 per chilometro, quindi considerando le tratte piuttosto lunghe che compiono gli aerei, possiamo affermare che sia in assoluto uno dei mezzi di trasporto più inquinanti. Un esempio? Per il tragitto Milano – Roma un aereo produce in media 70 chilogrammi di anidride carbonica. Certo, è comodo, veloce e spesso anche conveniente, ma avvelena l’aria che tutti noi respiriamo. 

Navi 
Vere e proprie città galleggianti, le navi da crociera possono raggiungere fino a 230 mila tonnellate, quindi hanno bisogno di motori incredibilmente potenti, ergo molto inquinanti. Non a caso la maggior parte dei delle città portuali italiane violano i limiti stabiliti per gli inquinanti dell’aria.

Trasporto su gomma 
Per la numerosità e il tempo di utilizzo le automobili sono mezzi di trasporto inquinanti, insieme a autocarri, autobus, furgoni e camion. In particolare i mezzi a diesel emettono grandi quantità di ossidi di azoto e polveri sottili.

Qual è il mezzo di trasporto più ecologico? 
Il treno si conferma come mezzo di trasporto più ecologico. Con solo 44 grammi di CO2 prodotta per chilometro, il treno sale sul posto più prestigioso del podio battendo di gran lunga gli avversari” che producono quantità ben superiori (fino al 91% in più): 
auto: 118 grammi di CO2 per chilometro 
aereo: 140 grammi per CO2 per chilometro 
camion: 158 grammi per CO2 per chilometro 
Tornando quindi alla domanda: come possiamo contribuire alla riduzione di CO2? La risposta è: viaggiare in treno. 

Vantaggi del viaggiare in treno 
La scelta di viaggiare su rotaia, anche per brevi spostamenti in ambito locale, fa decisamente bene all’ambiente e alla qualità della nostra vita. Innanzitutto perché rappresenta un buon modo per limitare sensibilmente le emissioni di CO2, ma ci sono altri motivi che impattano anche sul nostro stile di vita da non sottovalutare: 
sicurezza stradale: un utilizzo maggiore del treno ha impatti forti sulla sicurezza stradale in termini di riduzione dei rischi di incidenti 
traffico: l’utilizzo del treno contribuisce a ridurre il traffico sulle nostre strade 
tempo a disposizione: il treno ti concede un vero e proprio lusso, quello di avere del tempo a disposizione per fare ciò che preferisci, leggere, studiare, sonnecchiare o semplicemente guardare fuori dal finestrino e godersi il panorama. 

Una sensibilità maggiore all’ambiente non può prescindere da un ripensamento completo della mobilità. Alcuni segnali sono già attivi, soprattutto nelle grandi città, dove è in continuo incremento l’utilizzo del car sharing. Anche le auto ibride ed elettriche stanno, piano piano, diventando un’alternativa alle auto tradizionali, ma la strada è ancora lunga e necessità dell’impegno di tutti noi.
Ma per i piccoli spostamenti non dimentichiamo la bicicletta. Noi italiani abbiamo tanto da imparare dai paesi europei che stanno più a nord di noi e hanno un clima meno favorevole. Ebbeno usano moltissimo la bicicletta, incuranti del freddo e anche della pioggia.
Riempiamo le strade di biciclette e saranno costretti a costruirci le piste ciclabili.

martedì 6 agosto 2019

Zapata eroe dell'aria

Domenica 4 agosto il pilota e inventore 40enne di Marsiglia Franky Zapata  è riuscito ad attraversare il canale della manica con il suo Flyboard. Dieci giorni dopo il primo tentativo fallito entra nella storia con un volo di 20 minuti.

Aveva già stupito il 14 luglio durante la parata militare di Parigi in ricordo della Presa della Bastiglia, davanti al presidente francese Emmanuel Macron e a una dozzina di politici europei; compresa Angela Merkel che gli aveva fatto pervenire i complimenti.

Ma l'impresa di sorvolare la Manica era rimasta un sogno fino al primo tentativo fallito. Il motivo? La poca durata del carburante. La benzina per tenerlo in volo è infatti sufficiente solo per 10 minuti. A circa metà tragitto, ieri Zapata è dunque atterrato su una piccola imbarcazione, ha fatto rifornimento ed è ripartito. Il passaggio più delicato, definito «difficile» dallo stesso pilota. «A un certo punto hanno iniziato a bruciarmi le gambe, ma quando ho visto la Gran Bretagna avvicinarsi ho tentato di godermela senza pensare al dolore». Un punto debole, l'autonomia, che aveva determinato il fallimento della prima tentata traversata il 25 luglio: mentre tentava di planare per rifornire, Zapata cadde in acqua.

Decollato da Sangatte alle 6.17 (costa francese vicino Calais), ieri è invece atterrato 20 minuti dopo a St. Margaret's Bay, a Dover, completando i 35 chilometri a una velocità media di 140 km l'ora e a un'altezza di circa 15-20 metri sull'acqua. Blériot, superata la scogliera, scese da 20 metri e atterrò pesantemente. Il carrello motore si sfasciò e ruppe l'elica. Ma entrò comunque nella storia. Impiegò 36 minuti ad attraversare la Manica a una media di 64 chilometri orari. Zapata l'ha battuto, percorrendo il tragitto in 20 minuti.

«Il canale è stato sorvolato! L'Inghilterra non è più isolata». Così titolavano i quotidiani britannici 110 anni fa, anche se in realtà la traversata aerea della Manica era già stata compiuta da un aerostato, il 7 gennaio 1785, per merito del pilota francese Jean Pierre Blanchard accompagnato dallo statunitense John Jeffries. Il Flyboard di Zapata è invece un ibrido che diventa tutt'uno con l'uomo. Una pedana mossa da 5 propulsori, ognuno dei quali in grado di sprigionare una potenza pari a 250 cavalli, che può arrivare a toccare i 190 chilometri orari. La gestione della «tavola» è delegata a un controller impugnato dal pilota, il quale indossa uno speciale zaino con all'interno il carburante.

Secondo Zapata, solo per imparare a stare in equilibrio sul Flyboard servono dalle 50 alle 100 ore di pratica. Ma l'inventore-pilota è già pronto a una nuova sfida: «Ho la mia macchina volante da finire, deve uscire prima della fine dell'anno, quindi torneremo a casa, faremo una piccola vacanza e poi, con tutta la squadra, torneremo in pista affinché sia pronta in tempo».

Se quella di Blériot fu un'impresa temeraria, la tecnica di Zapata è all'avanguardia, al pari delle ultime invenzioni militari. «L'uomo volante» sembra infatti uscito da un film della saga Marvel. Se non un Avenger, Zapata con il suo Flyboard è comunque qualcosa di straordinario.

Blériot era su un monoplano rudimentale, progettato dal francese Raymond Saulnier che rivoluzionò le regole dell'aeronautica compiendo il 25 luglio 1909 la prima traversata. Suscitò una certa invidia anche nel Belpaese, con Gabriele D'annunzio che volle provare il suo monoplano in una rassegna in Italia qualche settimana dopo. Nel '29, a vent'anni della sua impresa, Blériot sorvolò nuovamente La Manica con lo stesso apparecchio. Ormai un pezzo da museo di fronte all'idea di «uomo volante». Che punta ora «a 2 mila metri sopra le nuvole».


lunedì 22 luglio 2019

Anniversario dello sbarco dell'uomo sulla Luna.

Siamo in piena guerra fredda e i russi sembravano aver preso il sopravvento nella conquista dello spazio. C'era stato lo Sputnik 1, nel 1957, il primo satellite artificiale, e il primo uomo nello spazio nel 1961: era Jurij Gagarin, che divenne così la prima persona nello spazio e il primo a orbitare intorno alla Terra. 
Il presidente Kennedy, preoccupato per queste "sconfitte", espresse chiaramente la volontà e l'impegno affinché l'America riuscisse a tagliare un traguardo veramente spettacolare e, rivolgendosi al Congresso degli Stati Uniti, nel 25 maggio 1961, dichiarò: "Credo che questa nazione si debba impegnare a raggiungere l'obiettivo, prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e di farlo tornare sano e salvo sulla Terra". 
Gli Stati Uniti si stanno rimboccando le maniche. Il Programma Apollo inizia male con l'incendio e la morte dei suoi astronauti nell'Apollo 1 (1967) e l'incidente che impedì l'allunaggio e mise a repentaglio le vite dell'equipaggio dell'Apollo 13 (1970) – ma con risultati senza precedenti come lo storico primo sbarco dell'uomo sulla Luna dell'Apollo 11.
Il primo allunaggio è avvenuto il 20 luglio del 1969 grazie alla missione Apollo 11. I membri dell'equipaggio erano Neil Armstrong, comandante, Buzz Aldrin, pilota del modulo lunare, e Michael Collins, pilota del modulo di comando. L'obiettivo principale della missione era il raggiungimento del suolo lunare da parte dell'equipaggio e il ritorno sulla Terra. Vi erano poi altri compiti da svolgere quali la trasmissione di immagini televisive e fotografiche dal satellite, una serie di esperimenti scientifici da condurre e la raccolta da parte dei due astronauti sbarcati, Armstrong e Aldrin, di campioni di superficie lunare.
Il lancio avvenne il 16 luglio 1969 da Cape Canaveral (John F. Kennedy Space Center), in Florida, e il 20 luglio dopo una serie di complesse manovre e di "contrattempi" da gestire, finalmente ci fu lo sbarco e la prima passeggiata lunare che fu trasmessa in diretta televisiva. Il primo a scendere e a mettere piede sul nostro satellite fu Neil Armstrong, che pronunciò la frase: "Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l'umanità". Lui e Aldrin si occuparono degli esperimenti e della raccolta di campioni mentre Collins rimase nel modulo di comando. Circa 650 milioni di telespettatori furono testimoni di quell'impresa memorabile che si concluse con il ritorno sano e salvo dell'equipaggio recuperato nell'Oceano Pacifico il 24 luglio.
Nel Programma Apollo ci fu anche un po' di Italia. Rocco Petrone, figlio di emigrati dalla Basilicata agli Stati Uniti, è stato un pioniere dei programmi spaziali: fu direttore delle operazioni di lancio del Kennedy Space Center della NASA dal 1966 al 1969 e dopo divenne direttore del Programma Apollo.
Un altro italiano che "mise le mani sulla Luna" fu il chimico Giovanni De Maria: anche lui di origini lucane, svolse per conto della NASA ricerche sui campioni lunari delle missioni Apollo 11, 12, 14, 15, 16 e 17, in cerca di informazioni sulla storia più antica del nostro sistema solare.

sabato 20 luglio 2019

L’aria che tira nelle nostre case

Trascorriamo fino al 90% del nostro tempo al chiuso per lavorare, studiare, mangiare, fare sport, dormire, giocare. Siamo la cosiddetta “generazione indoor” e proprio per questo respiriamo più inquinanti presenti negli ambienti interni. Ogni giorno respiriamo fino a 9.000 litri d’aria, e la qualità dell’aria indoor può essere peggiore rispetto a quella outdoor.

Secondo una recente ricerca  su un campione di abitanti del Nord Italia, 1 persona su 2 ritiene la qualità dell’aria in casa migliore di quella esterna e solo il 14% del campione mostra di comprendere gli effetti dell’inquinamento domestico sul benessere.

Funghi, muffe e odori non sono percepiti come particolarmente rilevanti, mentre fumo di sigaretta e polveri sottili – considerati come pericolosi soprattutto nelle grandi città – non sono ritenuti diffusi all’interno degli spazi indoor.
Eppure l’inquinamento può anche essere prodotto internamente dalle nostre attività quotidiane e dagli oggetti domestici – fumi, odori e particelle inquinanti emessi da fornelli a gas e processi di cottura del cibo; benzene e COV (Composti Organici Volatili) rilasciati da prodotti per la pulizia e la cura personale, profumi o candele profumate; formaldeide e polimeri emessi da mobili, materiali edili e isolanti, vernici, finiture per pavimenti; muffa e spore di muffa provenienti da zone umide. Agenti inquinanti che si accumulano nelle nostre case e spesso rimangono invisibili. Insomma, l’inquinamento non è più solo un problema dell’ambiente esterno, serve prendere coscienza dell’importanza dell’aria che “tira in casa”.

La stanza della casa considerata più inquinata è la cucina, seguita a distanza da camera da letto, bagno e soggiorno.

Tra le strategie adottate per limitare l’inquinamento interno prevalgono le norme dettate dal buon senso: areare spesso l’ambiente domestico, evitare di fumare in casa, cambiare spesso biancheria e lenzuola, utilizzare un aspirapolvere di buona qualità per le pulizie.

mercoledì 10 luglio 2019

Potremmo ricoprire di alberi un'area estesa quanto gli Stati Uniti


Secondo un recente studio - il primo a prevedere quanti nuovi alberi la Terra potrebbe ospitare, dove potrebbero essere piantati, e con quali effetti - l'area disponibile alla riforestazione è più estesa di quanto si pensasse, e le nuove piante potrebbero arrivare a tagliare i livelli di CO2 in atmosfera del 25%, riportandoli a concentrazioni che non si vedevano da più di un secolo.
Per i ricercatori del Politecnico  di Zurigo, l'attuale estensione delle foreste potrebbe aumentare di 1/3 senza togliere spazio alle città o ai campi coltivati, fino a riforestare un'area grande come gli USA, o più estesa del Brasile.  Si tratterebbe di destinare a nuove foreste terreni oggi degradati, attualmente poco utili dal punto di vista ecologico.
Una volta mature, le nuove foreste potrebbero catturare 205 miliardi di tonnellate di carbonio, i due terzi delle 300 miliardi di tonnellate "extra" immesse in atmosfera dalle attività umane dalla Rivoluzione Industriale in poi.
I ricercatori hanno calcolato la percentuale naturale di copertura forestale nel mondo (dalla tundra alle foreste pluviali equatoriali) analizzando 80 mila foto satellitari ad alta risoluzione di distese di alberi ancora "sane", non devastate dall'attività umana.
Sono quindi riusciti a prevedere dove le condizioni ambientali e la lontananza dall'uomo potrebbero consentire di piantare nuovi alberi. Senza toccare le aree urbane, le zone agricole e gli alberi già esistenti, il nostro pianeta potrebbe avere nuove foreste per 0,9 miliardi di ettari.  Se invece destinassimo a questo scopo anche parte dei territori delle città e degli attuali terreni agricoli, si potrebbero aggiungere  ancora 0,7 miliardi di ettari.
Se vogliamo rimanere entro quel grado e mezzo di riscaldamento dall'era pre-industriale auspicato dagli Accordi di Parigi, anche tagliando le emissioni di trasporti e produzione energetica, servirebbe un miliardo di ettari extra di foreste per assorbire parte delle emissioni che già respiriamo. Il nuovo studio ci dice che, volendo, è possibile.

martedì 25 giugno 2019

Malati di Internet

Nasce a Milano un ambulatorio specializzato per disintossicarsi dalla dipendenza da computer e smartphone. Malati di videogiochi, youtuber, chattatori incalliti: quale che sia la dipendenza digitale, da oggi c’è un pronto soccorso per i dipendenti del web.
Vivi attaccato al telefonino e non riesce più a staccarti? Non hai altro dio all’infuori di Fortnite, Call of Duty e Grand Theft Auto? Faresti bene a preoccuparti. Sì, perché potresti essere affetto dalla dipendenza da Internet. Presenta sintomi simili a quelli che hanno i malati dal gioco d’azzardo. È un fenomeno più diffuso di quanto si pensi e colpisce indifferentemente bambini, adolescenti e adulti. In Italia si conta che siano 300 mila i ragazzi tra i 12 e i 15 anni con un disturbo legato all’Internet-dipendenza. Secondo l’ultimo rapporto Agi-Censis, la gran parte dei malati del web è in rete anche prima di dormire (il 77.7%) e subito dopo la sveglia (63%). Il 61.7% utilizza tablet e cellulari anche a letto (tra i più giovani si sfiora l’80%) e il 34% a tavola
Chi ha un problema collegato con l’abuso della rete o vuole chiedere consiglio per un proprio familiare, nel nuovo centro potrà parlare con personale qualificato e fare un primo esame di valutazione con gli psicologi, sulla base del quale poi costruire un percorso personalizzato. In futuro il servizio potrebbe essere esteso nelle scuole e nelle aziende.
L’abuso dei device digitali comporta tutta una serie di sintomi: ansia, stress, insonnia, irritabilità, disturbi dell’umore e dell’attenzione, nei casi più gravi anche depressione e attacchi di panico. Le conseguenze coinvolgono la salute psichica ma anche quella fisica. Nei dipendenti dal web si riscontra un cambiamento strutturale del cervello: il volume dell’ippocampo diminuisce, cresce invece il rilascio di neurotrasmettitori della dopamina. Un meccanismo simile a quello che si osserva nei tossicodipendenti e nei giocatori d’azzardo patologici. Per non parlare dei problemi di vista dovuti allo sforzo continuato degli occhi fissi sullo schermo, e le disfunzioni di postura: rigidità del collo, dolori cervicali e articolari.
Ragazzi, diamoci una regolata, fuori c'è vita, quella vera.

venerdì 21 giugno 2019

Il Caso Majorana

La fine del grande scienziato che lavorò con Enrico Fermi e "i ragazzi di via Panisperna" alle prime ricerche sull'atomo torna di attualità. Misteriosamente scomparso nel 1938, secondo la Procura di Roma era vivo e vegeto in Venezuela dal 1955 al 1959. Ma chi era Majorana? E che cosa sappiamo della sua scomparsa?
Le ultime notizie sul giovane scienziato erano datate 26 marzo 1938, quando da un hotel di Palermo aveva annunciato a un suo collega l’intenzione di imbarcarsi sul primo traghetto per Napoli. Poi non se ne seppe più nulla, e sulle varie ipotesi che seguirono gravò costantemente l’incertezza dell’avverbio “forse”: forse Majorana si suicidò gettandosi in mare; forse fu assassinato; forse scese dalla nave (o non vi mise affatto piede) e si ritirò in un convento; forse rimase in Sicilia, sua terra d’origine; forse si rifugiò in Sud America...
L'ultimo tassello di questa misteriosa vicenda è recente. Majorana fuggì segretamente in Sud America. Lo afferma la Procura di Roma che dal 2008 sta indagando sulla vivenda. La tesi dei giudici si basa sull'analisi di una foto scattata in Venezuela nel 1955, in cui appare un signore, conosciuto con il cognome Bini. L'uomo ritratto risulta compatibile con i tratti somatici del fisico catanese. Dove sta la verità? Per tentare di capirne di più proviamo a ricostruire lo svolgersi degli eventi.
La biografia di Majorana è sintetizzata in una manciata di parole scritte da lui stesso nel 1932: “Sono nato a Catania il 5 agosto 1906 […] e nel 1929 mi sono laureato in Fisica teorica sotto la direzione di Enrico Fermi. Ho frequentato […] l’Istituto di Fisica attendendo a ricerche di varia indole”. Per la cronaca, l’istituto di cui si parla era in via Panisperna, a Roma, e si occupava di sperimentazione nucleare. Figlio di un ingegnere e nipote dell’insigne fisico Quirino Majorana, fin da bambino Ettore brillò per le sue doti di matematico, che nella capitale mise al sevizio di un ensemble di giovani fisici coordinati dal docente Enrico Fermi e passati alla storia come “i ragazzi di via Panisperna”. Tra loro, Ettore si distingueva per il carattere riservato e la genialità.
La sua abilità nel calcolo era ammirata da tutti, ma ogni volta che i suoi studi sfioravano l’impresa scientifica, si rifiutava di pubblicarli e in alcuni casi arrivò persino a stracciare gli appunti di lavoro. “Aveva l’aria di chi in una serata tra amici si improvvisa giocoliere, prestigiatore, ma se ne ritrae appena scoppia l’applauso. […] Non uno di coloro che lo conobbero lo ricorda altrimenti che strano. E lo era veramente” scriverà il romanziere siciliano Leonardo Sciascia nel libro La scomparsa di Majorana (1975).
All’inizio del 1933 lo “strano” Ettore partì per un viaggio di studi nella Germania nazista, a Lipsia, dove lavorò con entusiasmo con il grande fisico teorico Heisenberg. Ma quando, ai primi di agosto, tornò a Roma mostrò ulteriori sintomi di stramberia. “Per quattro anni raramente esce di casa e ancor più raramente si fa vedere all’istituto” riassume Sciascia. La sentenza dei medici fu esplicita: “Esaurimento nervoso”. In tale contesto, nel 1937 gli venne assegnata per “chiara fama” una cattedra all’Università di Napoli.
Giunto nella città partenopea, Ettore strinse subito amicizia con il collega Antonio Carrelli, ma in generale condusse anche qui una vita appartata» riferisce. Poi, il 25 marzo 1938, si imbarcò per Palermo in cerca di riposo nella sua Sicilia e, prima di partire, scrisse al Carrelli una missiva che recitava: “Ho preso una decisione […] mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare […] ti prego di perdonarmi”. Indirizzò quindi un messaggio dello stesso tenore ai suoi famigliari: “Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero […] perdonatemi”. Le intenzioni suicide parevano però essere svanite quando – giunto a Palermo – inviò un telegramma al solito Carrelli in cui diceva di non preoccuparsi per la lettera precedente.

Il giorno dopo scrisse la sua ultima missiva: “Caro Carrelli, spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento”. Questi documenti furono gli ultimi “segnali” inviati dallo scienziato. Che all’improvviso svanì.
Le ricerche, volute nientemeno che da Mussolini, fecero i conti con la scarsità di elementi in mano agli inquirenti, tra cui spiccava un biglietto navale intestato a Majorana in cui era stranamente registrato, oltre al suo imbarco sul traghetto di ritorno, anche lo sbarco. Non fece chiarezza la testimonianza di un altro passeggero, Vittorio Strazzeri, che forse aveva visto Majorana sul ponte della nave all’alba del 27 marzo.
La tesi del suicidio in mare iniziò così a complicarsi, ma la cosa più strana era che, prima di sparire, Majorana aveva prelevato una grande somma di denaro (cinque stipendi arretrati) e fatto sparire il passaporto» osserva Di Trocchio. Le ricognizioni in mare non diedero alcun esito, e iniziò a farsi strada l’ipotesi di un Majorana “in fuga” dalla società. Vivo, ma nascosto chissà dove. E chissà perché.
Nel 1934 i ragazzi di via Panisperna avevano “bombardato” alcuni nuclei di uranio con dei neutroni, convincendosi alla fine dell’esperimento di aver creato nuovi elementi chimici. In realtà avevano praticato per la prima volta la “fissione nucleare” (primo passo verso la bomba atomica) e, secondo alcuni, il giovane talento, intuendone le possibili ricadute militari, si sentì talmente turbato da voler sparire dalla circolazione.
Così come non è da escludere che sia uscito di scena per la sua asocialità; alcuni hanno persino ipotizzato che sia stato ucciso con il placet dei servizi segreti Usa per impedirgli di svolgere ricerche per conto del fascismo o del nazismo.
Nel caso fosse invece fuggito per cambiare vita, dove si sarebbe nascosto? Una terza ipotesi sostenne che il fisico fosse riparato in Argentina, e ad attestarlo erano le segnalazioni di un suo passaggio a Buenos Aires tra gli Anni ’60 e ’70. La pista argentina guadagna ulteriore credibilità se messa in relazione con una quarta ipotesi secondo la quale Majorana andò in Germania (consenziente o obbligato) per servire il Terzo Reich, emigrando a Buenos Aires dopo il crollo nazista.
Tale ricostruzione è emersa dallo studio di una foto del 1950 in cui è ritratto il criminale nazista Adolf Eichmann (organizzatore del trasporto degli ebrei nei campi di concentramento) sul ponte di un battello diretto in Argentina. La cosa interessante è che al suo fianco c’è un passeggero che assomiglia proprio a Majorana.
Resta il fatto che dopo l’intervista fatta dal programma di Rai Tre Chi l’ha visto? a un immigrato italiano in Sudamerica che sostiene di aver conosciuto un cinquantenne di nome Bini somigliante a Majorana, nel 2008 la Procura di Roma ha riaperto il caso.