sabato 28 dicembre 2019

Thomas Alva Edison, l'uomo che illuminò il mondo

Thomas Alva Edison è stato uno dei più grandi inventori della storia. Non solo ha introdotto numerose tecnologie fondamentali, come la lampada a incandescenza e la registrazione del suono, ma ha introdotto quella che oggi nelle aziende si chiama Ricerca e Sviluppo, ossia lo sforzo continuo di innovazione e sperimentazione per immettere sul mercato nuovi prodotti.
Nato nel 1847 nella cittadina di Milan, nello Stato americano dell'Ohio, Thomas Alva Edison è stato uno dei più attivi inventori della storia. Da bambino andò a scuola solo per pochi mesi (pare facesse molta fatica a concentrarsi sui programmi scolastici perché curioso di qualunque cosa gli capitasse a tiro), poi continuò a studiare da autodidatta, così come avrebbe fatto per tutta la vita. Il suo interesse principale erano letture di scienza e tecnologia, e si interessò fin da giovanissimo al telegrafo, che in quel periodo stava rivoluzionando il mondo della comunicazione. A 16 anni iniziò così a lavorare come telegrafista, attività che gli permise tra l'altro di viaggiare in lungo e in largo per gli Stati Uniti.
A 21 anni Edison decise di fare della progettazione di nuove macchine il suo mestiere, e nel 1868 depositò il suo primo brevetto: un sistema per la registrazione automatica del voto, che però non ebbe successo. Dopo quell'esperienza sfortunata, scelse di dedicarsi a sviluppare invenzioni legate al telegrafo, che contribuissero a rendere più veloce ed efficiente questa tecnologia. Il suo primo progetto di grande successo fu lo stock ticke, una macchina, che vediamo ancora nei fumetti o in certi vecchi film, in grado di ricevere le quotazioni di borsa attraverso la linea telegrafica e di stamparle su una lunga striscia di carta. I guadagni derivanti da questa invenzione permisero a Edison di creare un proprio laboratorio di ricerca, sorto nel 1876 a Menlo Park, nello Stato del New Jersey. Si trattava della prima struttura di Ricerca e Sviluppo moderna: uno stabilimento il cui scopo non era produrre un prodotto specifico, ma sviluppare e brevettare nuove invenzioni che poi qualcun altro avrebbe prodotto. In altre parole: una fabbrica di brevetti.
La prima grande invenzione nata a Menlo Park fu il fonografo, il primo sistema di registrazione del suono della storia. L'antenato del giradischi memorizzava il suono segnando un solco su una superficie morbida (prima un foglio di carta stagnola, poi cera) di forma cilindrica. Il suono da registrare metteva in movimento una membrana, che trasmetteva le vibrazioni a una puntina metallica, la quale a sua volta incideva i solchi sulla base delle vibrazioni originali. Poi fu il turno della lampada a incandescenza, quella che sarebbe diventata la comune 'lampadina'. L'idea di sfruttare la corrente elettrica per l'illuminazione non era nuova, ma nessuno aveva realizzato un dispositivo abbastanza pratico da poter essere usato in tutte le case. Il problema era soprattutto trovare un materiale che diventasse incandescente senza bruciare quando era percorso dalla corrente elettrica. Edison ci riuscì nell'ottobre del 1879, servendosi di un filo di cotone bruciato. Successivamente, perfezionò la lampadina utilizzando un filamento di carbone. In seguito, Edison dedicò tutte le sue energie a sviluppare la rete elettrica. Fondò diverse società per la fornitura dell'elettricità, che furono riunite nel 1889 nella Edison General Electric. Un altro grande contributo di Edison alla tecnologia è relativo al cinema: anche se di solito ricordiamo i fratelli Lumière come inventori del cinema, nel 1891 Edison aveva depositato la richiesta di brevetto per il cinetoscopio, un apparecchio grazie al quale uno spettatore poteva vedere immagini in movimento. Anche in seguito, l'inventore statunitense diede un contributo decisivo allo sviluppo della moderna cinepresa e del proiettore cinematografico. Edison morì il 18 ottobre del 1931, dopo avere registrato a proprio nome oltre mille brevetti.

mercoledì 18 dicembre 2019

Il Supercomputer più veloce al monda è made in USA, ma per quanto? La Cina incalza.

Stati Uniti e Cina sono impegnati in una durissima guerra commerciale, ma c’è anche un altro livello di questo scontro tra superpotenze: l’ambito tecnologico. Non solo smartphone o intelligenza artificiale, ma anche i supercomputer, vasti agglomerati di computer che condividono le risorse (processori, chip grafici, memoria e archiviazione) per assicurare una potenza di calcolo difficile anche solo da immaginare.
I supercomputer sono fondamentali per un paese, perché permettono di fare simulazioni in diversi settori, dal meteo (che sappiamo quanto possa incidere sull’economia) alla ricerca di nuovi giacimenti di petrolio e gas, fino ad arrivare allo studio di nuovi materiali. Le applicazioni sono sterminate, il limite è solo l’immaginazione dei ricercatori.
Per questo è interessante guardare la TOP500, una classifica che mette in fila i supercomputer per capire qual è il più veloce e come si muove la potenza di calcolo nel mondo. Dopo anni di dominio cinese, gli Stati Uniti sono tornati al vertice, con il Summit installato presso l’Oak Ridge National Laboratory (ORNL). Questo supercomputer ha una potenza massima di 143,5 petaflop (un milione di miliardi di operazioni al secondo) grazie a migliaia di processori e chip grafici, ottimi per processare informazioni in parallelo, che lavorano insieme per risolvere i compiti assegnati.
In seconda posizione c’è Sierra, situato al Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL), che si ferma a 94,6 petaflop. In terza posizione ecco il Sunway TaihuLight, il primo supercomputer cinese, installato presso il National Supercomputing Center di Wuxi, con 93 petaflop, seguito dal Tianhe-2A (Milky Way-2A) con 61,4 petaflops. Il primo supercomputer europeo è il Piz Daint dello Swiss National Supercomputing Centre (CSCS) di Lugano con 21,2 petaflop.
Gli Stati Uniti possono quindi vantarsi di avere il supercomputer più potente, ma la Cina ha colmato il gap in questi anni e conta ben 277 sistemi nella classifica TOP500, il 45% del totale. Un altro segnale del fermento che pervade in lungo e in largo il grande paese asiatico, che a questo riguardo fa mangiare la polvere agli States, fermi a 109 sistemi (il 22%). I supercomputer statunitensi però sono mediamente più veloci.
Tra l’altro, il paese asiatico sta cercando di colmare il gap con la Silicon Valley e sta costruendo una florida industria tecnologica con aziende che progettano microprocessori e acceleratori di calcolo che seppur non ai livelli di Intel, Nvidia o altre realtà USA, stanno rapidamente evolvendo. Un giorno, non è da escluderlo, nel vostro computer potrebbe esserci un processore cinese progettato dai cinesi.

lunedì 16 dicembre 2019

Il Politecnico di Torino all'avanguardia nell'internet delle cose applicato alla viticoltura.

Dalla Sardegna alla Catalogna il segnale wi-fi ha viaggiato per 700 chilometri stabilendo il record. Merito degli iXem Labs del Politecnico di Torino che da cinque anni stanno lavorando su delle piccole antenne di due centimetri capaci di funzionare per anni grazie a un paio di semplici pile stilo. E che ora hanno anche dimostrato la loro portata massima. Non è un sistema per portare connettività alle persone ma per una agricoltura sempre più tecnologica, raccogliendo dati di temperatura, umidità e altro.
Il segnale telefonico manca in tante aree lontane dalle città. Sulle colline del Monferrato ad esempio non c'è ed è lì che è nato, in ambito della viticultura, l'idea di una rete indipendente libera, capillare e aperta. Capace di operare ovunque e che funzioni con antenne piccole che non abbiano bisogno di una ricarica continua".
Serviva quindi un sistema per connettere i sensori ambientali capaci di aiutare i produttori di vino a gestire le vigne in maniera molto precisa, evitando il più possibile prodotti chimici grazie ad una analisi precisa delle necessità delle piante. Dati su umidità, precipitazioni, vento, sole, così da capire in anticipo i rischi e intervenire chirurgicamente. Internet of things (internet delle cose) applicato all'agricoltura.
Al Politecnico di Torino sono partiti nel 2013 con i primi esperimenti, ma le prime antenne avevano una portata bassa. Durante tutto il 2018 è stata fatta una sperimentazione diffusa fra i vigneti di Friuli, Veneto e Toscana e lì agli iXem Labs sono riusciti a capire che potevano raggiungere anche a 70 chilometri di distanza fra un'antenna e l'altra. Antenne che in otto mesi hanno consumano appena il 10 per cento di due batterie stilo.  

venerdì 13 dicembre 2019

E se un giorno l'umanità scomparisse?

Possiamo fare cose che nessun'altra specie vivente ha mai nemmeno immaginato, viaggiamo nello spazio e abbiamo colonizzato quasi ogni terra emersa. Eppure, tutti le nostre opere sono effimere e potrebbero essere distrutte con disarmante facilità. Perché la Natura è più forte dell'uomo e, in un tempo relativamente breve, potrebbe cancellare ogni sua traccia. Sono le amare conclusioni di uno studio pubblicato dalla rivista New Scientist, che si è posta una semplice domanda: cosa accadrebbe se all'improvviso l'umanità scomparisse?
Lasciata da sola, dicono gli autori della ricerca, la Natura reclamerebbe immediatamente gli spazi che le erano stati sottratti dall'uomo. E mentre i campi ritornerebbero boschi e praterie, l'inquinamento calerebbe e la biodiversità tornerebbe a crescere. Già nelle prime 24 ore senza esseri umani, il volto della Terra cambierebbe profondamente, soprattutto di notte. Senza manutenzione e rifornimenti nelle centrali elettriche, inizierebbero a verificarsi dei black out. Gli impianti di illuminazione rimarrebbero spenti e tutti i macchinari si fermerebbero. Il cambiamento sarebbe visibile anche dallo spazio, con la scomparsa delle luci delle città.
Nel giro qualche anno, avrebbe inizio la distruzione degli edifici e delle infrastrutture. Le prime a cedere sarebbero le costruzioni di legno, seguite dai tetti di quelle in muratura. Gradualmente il processo si estenderebbe e, in pochi millenni, delle nostre città non rimarrebbe che polvere. Un buon esempio è fornito dalla città ucraina di Pripyat, nei pressi di Chernobyl. Abbandonata venti anni fa dopo l'incidente nella vicina centrale nucleare, si sta rapidamente riducendo a un ammasso di rovine. A fare più danni sono le piante, che insinuano le loro radici nei muri e indeboliscono le strutture.
Il ritmo della distruzione varierebbe ovviamente in base alle caratteristiche dell'ambiente. Nelle aree più calde e umide, dove i processi dell'ecosistema sono più veloci, le tracce della civiltà scomparirebbero prima rispetto a quelle più fresche e aride. Molte specie in via di estinzione, in difficoltà per la riduzione del loro habitat naturale, si gioverebbero della nostra assenza e tornerebbero a crescere. 
Senza gli inquinanti prodotti dalle attività umane, lo stato di salute del pianeta migliorerebbe gradualmente. Alcune sostanze, come gli ossidi di azoto, di zolfo e l'ozono, tornerebbero a livelli normali nel giro di poche settimane. Altri avrebbero bisogno di più tempo: il biossido di carbonio, ad esempio, potrebbe continuare a influenzare il clima per più di 1000 anni.

Il processo di riscaldamento globale, che è causato da moltissimi fattori legati tra loro, potrebbe continuare a lungo ed è difficile stimare quando la temperatura globale potrebbe tornare a scendere. Probabilmente  gli effetti dell'attività umana potrebbero farsi sentire ancora per qualche migliaio di anni.

lunedì 9 dicembre 2019

Madrid - Cop 25, conferenza sul clima


Iniziata lunedì 2 dicembre, la conferenza sul clima Cop25 organizzata dalle Nazioni Unite, ha visto un’evoluzione lenta dal punto di vista dei negoziati e molto proteste dei giovani attivisti.
È un momento importante per la riduzione delle emissioni, dopo l’accordo di Parigi del 2015, con buoni propositi ma finora disattesi.
I lavori entreranno nel vivo soltanto nei prossimi giorni con l’arrivo dei ministri: per ora i tecnici di ogni Paese hanno parlato molto del mercato delle quote di carbonio. Cosa significa? I Paesi virtuosi, che riducono le emissioni possono vendere le quote di carbonio in eccesso, mentre chi è meno virtuoso e non riesce a raggiungere i suoi obiettivi, può acquistare le quote. Come dire: il professore ci assegna un certo numero di esercizi. Chi è veloce può farne di più e venderli a chi è più lento. Vi sembra una buon sistema?
I favorevoli sostengono che questo sistema ha il vantaggio di coinvolgere anche il settore privato, che ha interesse a mettere in vendita quote di carbonio. I contrari sostengono che possa danneggiare la riduzione delle emissioni perché è sempre possibile acquistare le quote da altri. La discussione su questo tema va avanti dalla conferenza di Parigi 2015 , quindi quattro anni senza trovare un accordo, un po’ troppo.
C’è un aspetto che è molto discusso: i Paesi più sviluppati, che oggi possiedono le migliori tecnologie, sono anche quelli in grado di ridurre le emissioni, ma nel passato proprio loro le hanno portate a livelli altissimi. Tuttavia oggi soprattutto i Paesi in via di sviluppo, meno attrezzati e meno ricchi, pagano le conseguenze più gravi delle alterazioni climatiche, soprattutto con l’innalzamento dei livelli dei mari, siccità, desertificazione.

giovedì 5 dicembre 2019

Esagono, geniale

Quanto studiamo noi esseri umani per diventare architetti e quanta fatica fanno le braccia e la schiena del muratore per erigere case per tutti noi?
Tanta fatica e tanto studio e poi bisogna reperire tutti i materiali per la costruzione.
Le api non solo costruiscono da sé i favi che ospiteranno le scorte di cibo e le nuove generazioni di api, ma sono loro stesse una vera e propria fucina di materia prima per costruzione: pura cera d’api.
Le api si distinguono sempre per le loro innate doti; madre natura con loro è stata così generosa che non solo le ha rese degli abili architetti, ma le ha addirittura rese indipendenti nella fabbricazione della materia prima con cui costruire il proprio nido.
Le api secernono piccole scaglie di cera dal proprio addome. Solo le api giovani, tra il 10 e il 16 giorno di vita sono infatti provviste di specifiche ghiandole, dette ceripare e vengono classificate come api ceraiole.
Ma la perfezione e l’efficienza delle loro cattedrali non è proprio tutta farina del loro sacco; ecco quand’è che interviene madre natura. E' una semplice questione di geometria. Se si vogliono unire insieme tutte le celle che sono identiche per forma e dimensione in modo che riempiano completamente un piano piatto, solo tre forme regolari (con tutti i lati e angoli uguali) funzioneranno: triangoli equilateri, quadrati ed esagoni. Di questi l’esagono richiede la produzione di meno cera poiché ogni lato è in comune con la cella vicina e produrre la cera costa alle api energia, quindi usando l’esagono risparmierebbero tempo e fatica,  proprio come un muratore potrebbe desiderare di risparmiare sul costo dei mattoni.
Osservando la natura possiamo vedere come la forma esagonale salti fuori in maniera “spontanea”. Osserviamo per esempio le bolle di un liquido.  Soffiando con una cannuccia e producendo sulla superficie delle bolle che sappiamo tutti essere delle semisfere, quindi senza lati, osserviamo un curioso fenomeno: quando esse si avvicinano l’una all’altra e si toccano le pareti formano dei lati squadrati uniti a dei vertici, dando vita proprio a forme esagonali. Certo, non saranno tutte perfette ma è ben visibile come la forma più presente sia l'esagono.