giovedì 28 marzo 2019

Il disgelo del permafrost siberiano accelera il riscaldamento globale

Lo scioglimento del permafrost, ovvero la parte di suolo perennemente ghiacciato, che ricopre il 24% della superficie dell'emisfero settentrionale, potrebbe comportare un rilascio di migliaia di giga tonnellate di carbonio, con notevoli conseguenze sull'ambiente. Conseguenze che avrebbero un effetto non di poco conto anche sui cambiamenti climatici, nonché implicazioni enormi per gli ecosistemi della regione e per l'ambiente umano: dagli impianti di gas naturale nella regione alle linee elettriche, strade, ferrovie ed edifici che sono costruiti sul permafrost e sono quindi vulnerabili allo scongelamento. Tale disgelo potrebbe danneggiare le infrastrutture, causando danni economici irreversibili.
Secondo un recente studio ci sarebbero 1.400 miliardi di tonnellate di materiale organico congelate nel freezer del mondo. La loro decomposizione – proprio come succede nei frigoriferi quando manca l’elettricità – potrebbe rilasciare enormi quantità di gas-serra: c’è chi stima l’equivalente di un miliardo e mezzo di tonnellate di anidride carbonica all’anno, più o meno quanto le attuali emissioni degli interi Stati Uniti.
Gli scienziati peraltro ritengono che circa il cinquanta per cento di questo processo di decomposizione potrebbe svolgersi in assenza di aria e liberare quindi metano invece di CO2. Il metano purtroppo produce un effetto serra 20 volte superiore a quello della CO2. La quantità totale di metano che potrebbe essere rilasciata nell'atmosfera da questo processo è stimata in alcuni milioni di tonnellate.
Non c’è dubbio che Il rilascio anche solo di una frazione del metano conservato sotto quei fondali potrebbe innescare un immediato riscaldamento dell’atmosfera. Il Mare Artico a Nord Est della Siberia è un’area ricca di metano che riveste più di 2 milioni di chilometri quadrati di Mare del Nord, quindi una superficie tre volte più grande della vicina tundra siberiana, che era stata considerata, prima di questo studio, come la principale sorgente di metano nell’Emisfero Nord del pianeta.

martedì 19 marzo 2019

Cambiamenti climatici e alimentazione

Durante il processo digestivo i bovini emettono metano e ossido di azoto, gas che contribuiscono all'effetto serra anche decine o centinaia di volte più che la CO2.
Per produrre 1 kg di carne occorre coltivare 15 kg di vegetali (cereali e leguminose) per nutrire l'animale, in tutto questo c'è un grande spreco di risorse: di suolo, di acqua, di energia, di sostanzhe chimiche. Tutto questo lavoro contribuisce in maniera determinate all'effetto serra. Una grande porzione delle coltivazioni non serve per alimentare l'uomo ma gli animali da allevamento.
Quindi tutti vegetariani. Non necessariamente, tenuto conto che gran parte della popolazione del nostro mondo più ricco soffre di malattie legate alla sovra-alimentazione e in particolare proprio all'uso eccessivo di carne. Una dieta che riduce il consumo di carne del 50% è possibile.
Spesso si insiste, a ragione, sull'importanza di consumare prodotti locali "a km zero". Un recente studio dimostra che consumare più vegetali e meno carne ha un effetto molto più efficace sull'ambiente, anche di 8 volte. In una famiglia media, scegliendo di comprare solo prodotti locali per un anno intero, si "risparmiano" 1600 km (i cosiddetti "chilometri-cibo"). Scegliendo invece di mangiare cibi non locali ma esclusivamente vegetali per un solo giorno la settimana, per un anno, si risparmia già di più, 1860 km. Scegliendo di mangiare cibi esclusivamente vegetali per tutto l'anno, si risparmia molto di più,13.000 km.
Forse fino ad ora ci siamo focalizzati su altre buone pratiche a difesa dell'ambiente ma oggi cresce una nuova consapevolezza: anche il nostro modo di alimentarci ha un peso non indifferente.
Il grafico mostra come si ripartiscono i gas serra emessi per la produzione dei vari tipi di alimenti. Carne, pesce, uova e latticini sono responsabili di oltre la metà delle emissioni di gas serra (58%), quasi il triplo di quelle derivanti dalla produzione di cereali, frutta, verdura (22%).

domenica 17 marzo 2019

Il rischio innalzamento dei mari

Una delle conseguenze più importanti dell'aumento di  temperatura è l'innalzamento del livello dei mari, causato solo in parte dalla fusione dei ghiacci della Groenlandia e dell'Antartide. Bisogna considerare che l'acqua calda occupa più volume di quella fredda, e quindi l'espansione della massa liquida ne aumenta inevitabilmente il livello. 
In ogni caso, i due limiti di innalzamento indicati dall'Ipcc (il gruppo di lavoro intergovernativo sui cambiamenti climatici) avrebbero conseguenze molto diverse: se la temperatura si alzerà di 1,5 °C, il livello dei mari aumenterà tra 26 a 77 centimetri; se invece la temperatura arriverà fino a 2 °C, si  metterebbero in pericolo dieci milioni di persone in più rispetto a quelle già a rischio inondazione. Intere nazioni insulari (Stati costituiti da piccole isole, come Maldive e Kiribati) e città molto vicine alle coste, come Venezia, New Orleans e New York, potrebbero scomparire sott'acqua. 
L'anidride carbonica nell'aria ha raggiunto le 406 parti per milione nello scorso ottobre. E ciò causa l'acidificazione degli oceani. Un mare leggermente più acido è nocivo i polipi del corallo o moltissime specie di crostacei che costruiscono attorno a sé una "casa" di carbonato di calcio. Se la temperatura si alzasse di 1,5 °C le barriere coralline si ridurrebbero del 70-90%. E praticamente tutte andrebbero perse con 2 °C di aumento. La loro scomparsa colpirebbe milioni di persone che abitano sulle coste nella fascia tropicale e che vivono di pesca e turismo. Oltre a colpire i coralli, il riscaldamento provocherà lo spostamento di molte specie marine, che si porteranno più a nord, e di 
conseguenza parecchi ecosistemi cambieranno struttura. Anche questo diminuirà la produttività delle zone di pesca e di acquacoltura, con un grosso impatto sulle popolazioni locali. 

venerdì 15 marzo 2019

Riscaldamento globale

Il riscaldamento climatico con le conseguenze ormai non può più essere considerato una minaccia futura, ma è una presenza nella nostra vita. E' adesso. Il nostro compito non è scongiurarlo ma limitarne gli effetti affinchè non portino ad un drammatico sconvolgimento del pianeta e delle nostre vite.
L'influenza sull'area del  Mediterraneo che noi abitiamo è tale che si parla di tropicalizzazione, con temperature elevate nell'intero corso dell'anno e precipitazioni violente e abbondanti concentrate in alcuni periodi. A questo fenomeno climatico si aggiunge anche l'innalzamento del livello del mare, le cui conseguenze, almeno in quest'area, sono difficili da stimare. Non è solo l'innalzamento del livello del mare, ma tutte le dinamiche, da quelle tettoniche alla struttura dei fondali, che influiscono 
sulla situazione presente dei nostri mari. Il Mediterraneo è un mare chiuso, quasi un grande lago, staccato dal resto delle acque marine, collegato agli oceani solo dallo Stretto di Gibilterra da qui passa un milione di metri cubi d'acqua al secondo.
Le temperature più alte colpiscono anche gli ecosistemi marini, e in conseguenza di ciò le specie animali e vegetali tendono a spostarsi verso nord. A questo si aggiungono anche le specie tropicali (provenienti dal Canale di Suez) che trovano nelle acque del nostro mare una temperatura adatta e un ambiente più ospitale. 
Da questo corridoio, creato nel 1869, sono entrate molte specie: alcune di queste sono innocue, altre invece possono avere un grande impatto sugli ecosistemi, nutrendosi per esempio di specie pescate dall'uomo.

mercoledì 13 marzo 2019

Global Warming

Il riscaldamento globale non è una minaccia lontana che riguarderà soltanto le future generazioni.  Il cambiamento cli matico mostra i suoi effetti più estremi già oggi e ogni aumento della temperatura, anche di mezzo grado, è importante. Lo conferma un documento epocale, lo Special IPCC Report: Global Warming of 1.5 °C, pubblicato a ottobre dal Gruppo IPCC. II lavoro, frutto dell'analisi di oltre 6.000 lavori scientifici da parte di 91 ricercatori. Molte ricerche confermano che i nostri anni sono un "punto di svolta" (la temperatura è già aumenta-ta di circa 1 grado dal livello di riferimento del 1880): oggi infatti dal permafrost artico proviene più metano del previsto, che accelera il riscaldamento: il metano ha un potente effetto serra, dieci volte maggiore dell'anidride carbonica.
Uragani, tifoni, scioglimento dei ghiacci polari e innalzamento delle acque, riscaldamento e tropicalizzazione dei mari, sono le conseguenze più evidenti.
Un aspetto su cui l'Ipcc insiste è la differenza tra un aumento di temperatura di 1,5 °C e uno di 2 °C, sempre rispetto alla "linea di base" del 1880. Poiché i numeri sono così piccoli tendiamo a banalizzare le differenze tra un grado e due. Invece mezzo grado in più, stimano i climatologi, farebbe una notevole differenza. Non solo per la vita delle persone, ma anche per quella di molti ecosistemi e specie animali e vegetali. Con un aumento di 2 °C quasi tutte le barriere coralline si estinguerebbero, gli incendi e le ondate di 
calore spazzerebbero il pianeta ogni anno, e l'interazione tra siccità, inondazioni e temperature renderebbe meno sicura l'agricoltura e la distribuzione dell'acqua a livello mondiale. 
II quadro dipinto dall'Ipcc è drammatico. Ma c'è una via d'uscita: le emissioni di CO2 causate dall'uomo entro il 2030 devono diminuire di circa il 45% rispetto ai livelli del 2010 e raggiungere Io zero intorno al 2050. Questo comperterà cambiamenti radicali, ma indispensabili, del modo in cui viviamo: nella produzione di energia, nella produzione industriale, nei trasporti, nella gestione della casa.