giovedì 26 aprile 2018

Auto a guida autonoma

Una data, 18 marzo 2018, purtroppo da ricordare. Nella cittadina di Tempe, in Arizona, si è verificato il primo incidente mortale tra un pedone e un'auto a guida autonoma. La vettura coinvolta è stata una delle Volvo XC90 di Uber, appositamente modificate per la guida autonoma di livello 4. Uber è il servizio di trasporto automobilistico privato che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti tramite un'app. Un incidente che ha sollevato immediatamente (e giustamente) il problema della sicurezza e dell’affidabilità delle auto a guida autonoma. Preoccupazioni sacrosante, ma che rischiano di scatenare un eccessivo allarmismo.
Purtroppo l’opinione pubblica tende a considerare le auto a guida autonoma tutte sullo stesso piano, ma è un settore in cui molti colossi (automobilisti e non) sono scesi in strada, con progetti e livelli di sperimentazione ben diversi. 

È evidente che, nel caso specifico, qualcosa non ha funzionato, ma è altrettanto evidente il fatto che Uber stesse cercando a tutti i costi di bruciare le tappe.
La più famosa tra le self driving car è senza dubbio quella di Google. Ebbene, il loro progetto è operativo su strada dal 2009 e a febbraio ha superato il traguardo degli 8 milioni di km. Non solo tanti chilometri reali, ma anche tantissimi chilometri "virtuali”: nel solo 2017 le Google car hanno ”percorso” sul simulatore oltre 4 miliardi di chilometri. E Uber? È entrata in questo settore solo nel 2015, con il primo prototipo su strada pronto a settembre 2016. Secondo gli ultimi dati disponibili, a fine 2017 le Uber car avevano percorso oltre 3milioni di km, ma era evidente come il progetto avesse ricevuto un'accelerazione brusca, con vere e proprie marce forzate. Uber tentava di colmare la distanza da Google a suon di chilometri, ma la sicurezza era in secondo piano.
Un dato significativo è la frequenza con cui il pilota umano umano deve ”sostituirsi” al computer e bypassare il sistema per evitare un incidente. Oggi le Google car richiedono in media l’intervento dell’uomo una volta ogni 9 mila mm, mentre quelle di Uber ogni 20 km: n 

pratica, sbagliano 400 volte di più. Ma perché allora tutta questa fretta? In gioco ci sarebbe la stessa sopravvivenza di Uber. In un’intervista del 2016 il suo amministratore ha affermato: ”Se non arriviamo tra i primi non esisteremo più”. 

Lo stop della sperimentazione di Uber non solo è necessario per analizzare, nello specifico, cosa non ha funzionato questa volta, ma dovrebbe servire a capire che gli interessi economici non rendono le nostre strade e le nostre città un labirinto per cavie. E se pensate che sia un problema solo americano, sappiate che i prossimi anni ci riguarderà da vicino: il 6 marzo, infatti, anche l'Italia ha dato il via libera alla sperimentazione delle tecnologie di guida autonoma.
Forse lo dimentichiamo, ma, come diceva Umberto Eco “Il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, anzi, è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti". 

mercoledì 18 aprile 2018

Perché si dice che l’acqua sarà l’oro del futuro?

Se abitaste in un Paese del Medio Oriente o in una zona dell’Africa dove bisogna camminare per diversi chilometri per trovarla e riempire qualche secchio, avreste già la risposta. Ma vivete dove si dà per scontata l’acqua aprendo semplicemente il rubinetto, quindi forse non vi rendete conto di quanta ne vada sprecata. 

Solo per bere, lavarsi, cucinare, pulire piatti e pavimenti, usare la lavatrice e annaffiare le piante, ogni italiano ne consuma in media circa 250 litri ogni giorno, più o meno l’equivalente di due vasche da bagno piene. Nella classifica mondiale del consumo d’acqua per usi domestici soltanto statunitensi e canadesi fanno peggio degli italiani. 

Eppure faremmo bene a evitare gli sprechi perché sempre più spesso, durante l’estate e soprattutto nelle regioni meridionali del Paese, qualche comune resta all’asciutto e l’acqua deve essere razionata in alcuni momenti della giornata. Bisogna anche considerare la grande quantità del prezioso liquido che viene persa prima ancora di arrivare al rubinetto. Secondo l’ultimo censimento delle risorse idriche dell’Istituto Nazionale di Statistica i tubi dei nostri acquedotti sono cosi vecchi e fatiscenti che perdono quasi la metà dell’acqua che trasportano. Un incredibile spreco di cui si conosce la portata, ma sul quale non si interviene perché non si trovano mai i modi per migliorare la situazione, anche a causa di politici e amministratori poco sensibili, che pensano all’acqua come a una risorsa inesauribile. Ma si sbagliano. L’utilizzo di grosse quantità per l’agricoltura, l’allevamentoe l'industria, gli sprechi dovuti al nostro stile di vita e agli acquedotti colabrodo, sommati ai cambiamenti climatici, che stanno modificando la quantità di precipitazioni (pioggia e neve) che cade sulle regioni tradizionalmente ricche d’acqua, come quelle alpine, iniziano a causare un impatto negativo sulla disponibilità idrica. 

E se queste informazioni non fossero sufficienti a spiegare perché l’acqua e l’oro del futuro, potrebbero aiutate i dati delle Nazioni Unite: nel mondo quasi un miliardo di persone non ha in casa l’acqua potabile e oltre due miliardi e mezzo non hanno servizi igienici adeguati, condizioni che provocano la diffusione di infezioni pericolose. D’altro canto la popolazione mondiale aumenta a un ritmo vertiginoso e i bisogni, soprattutto di cibo, stanno esplodendo. Ogni dieci litri consumati sul Pianeta sette sono utilizzati per irrigare i campi. Oggi serve così tanta acqua per fare crescere i vegetali, per mantenere gli allevamenti intensivi di animali, ma anche per produrre energia idroelettrica, che è prassi comune prelevarla in modo indiscriminato dai fiumi e dai laghi… 

Ne sanno qualcosa dalle parti del lago d’Aral, in Asia centrale, che è diventato uno degli esempi più eclatanti di come l’uomo possa provocare disastri ambientali. Nel 1950 era il quarto lago più grande del mondo e uno dei principali centri per la produzione di caviale, poi i sovietici cominciarono a deviare l'acqua dei suoi fiumi immissari per irrigare immensi campi di cotone e in breve il lago cominciò a prosciugarsi. In sessant’anni la linea di costa è arretrata di centinaia di chilometri e oggi la superficie del lago è ridotta a un fazzoletto grande un decimo rispetto al passato. Ma non basta. Sono scomparsi quasi tutti i pesci e, di conseguenza, decine di migliaia di pescatori hanno perso il lavoro e sono stati costretti a emigrare. Una sorte peggiore è toccata alla fauna che abitava il lago. Per finire, i sali e i pesticidi che erano stati riversati nelle sue acque si sono depositati sul , fondo, ormai asciutto, creando un ambiente malsano e invivibile. Questo del lago d’Aral è un esempio-limite, ma è importante perché fa capire come l’uomo non possa permettersi di considerare l’acqua un bene scontato.

martedì 10 aprile 2018

In Giappone più colonnine di ricarica che stazioni di servizio

Questa si che è una grande notizia per la mobilità elettrica: in  Giappone il numero dei punti di ricarica a disposizione per «fare il pieno» di energia per le vettura elettriche ha superato il numero dei tradizionali distributori di benzina: oltre 40 mila punti di ricarica elettrica contro 31.000 pompe di carburante «fossile». 
Ovviamente queste stime statistiche sono criticabili: alcuni esperti obiettano che il confronto dovrebbe essere fatto con il numero effettivo delle pompe di benzina o gasolio, che ovviamente è maggiore, e non con il numero dei distributori. Ma poco cambia: nel giro di pochissimo tempo in Giappone è stata costruita un’infrastruttura diffusissima ed efficientissima in grado di permettere a tutti gli automobilisti elettrici di viaggiare in sicurezza in tutto il Paese.
Dopo una lunga fase di scetticismo e cautela, le grandi case automobilistiche giapponesi sembrano aver abbracciato con decisione la causa della mobilità elettrica: la Nissan che produce sin dal 2010 il fortunato modello «Leaf», ha annunciato che entro il 2022 lancerà 12 nuovi modelli totalmente elettrici per raggiungere - sempre entro il 2022 - l’obiettivo di un milione di elettriche vendute.
Anche il governo giapponese ha fatto una scelta decisa a favore dell’elettrico, favorendo attraverso una politica nazionale la costruzione di una fitta rete di punti di ricarica veloci - in grado di fare un «pieno» al massimo in mezz’ora - lungo tutte le principali strade del Paese. Sono già oltre 3 mila e consentono a una vettura elettrica di viaggiare serenamente anche per lunghi tragitti. 
E per accelerare dall’anno prossimo anche i tradizionali distributori di benzina potranno installare punti di ricarica elettrici. Un affare gli automobilisti, ma anche per i benzinai.

martedì 3 aprile 2018

La prima telefonata da cellulare


Il 3 aprile del 1973 a New York, da un telefono grande quando una scatola di scarpe, viene fatta la prima chiamata da cellulare. Protagonista di questo momento storico, che 45 anni fa ha cambiato le nostre vite, è stato l'ingegnere americano Martin Cooper, l'apparecchio usato è un DynaTac, che sta per Dynamic Adaptive Total Area Coverage. Il dispositivo era pesante oltre un chilo, senza display, con un tempo di ricarica di 10 ore e appena 35 minuti di autonomia operativa. Diverso dagli smartphone sottili e super leggeri di adesso ma col problema della durata della batteria, rimasto di fatto ancora irrisolto nei telefoni di oggi.
    "Noi alla Motorola ce l'abbiamo fatta, la telefonia cellulare e' una realtà", dice Martin Cooper, nella prima telefonata 'senza fili'. Ma è solo 17 anni dopo quella prima telefonata, nel 1980, che l'invenzione riesce ad avere una platea più ampia grazie all'assegnazione delle prime frequenze.
    Il successore del prototipo di Cooper è il DynaTac 8000X, venduto a 3.995 dollari di allora, ovvero 9322 dollari attuali.
    Cifre che fanno apparire un iPhone un dispositivo super low cost. Dagli anni Ottanta in poi il cellulare ha iniziato una cavalcata verso il successo, dapprima contenuta - ci vollero sette anni per raggiungere il milione di utenti - poi sempre più celere fino ai numeri imponenti di oggi che danno i primi segnali di saturazione del mercato.