giovedì 28 luglio 2022

Che cos'è il Greenwashing?

Oggi “essere green” è molto di moda. Alcune aziende pensano infatti che basti far finta di dimostrare un attaccamento all’ambiente e al pianeta per guadagnare punti in reputazione e immagine aziendale. Questo è il fenomeno del greenwashing. Ma perché le aziende dichiarano di essere eco-friendly quando in realtà non lo sono?

Si tratta a tutti gli effetti di una pratica ingannevole, usata come strategia di marketing da alcune aziende per dimostrare un finto impegno nei confronti dell’ambiente con l’obiettivo di catturare l’attenzione dei consumatori attenti alla sostenibilità, che oggi rappresentano una buona fetta di pubblico. Viene fatto attraverso campagne e messaggi pubblicitari o in qualche caso persino iniziative di responsabilità sociale.

L’obiettivo del greenwashing quindi è duplice: valorizzare la reputazione ambientale dell’impresa e ottenere i benefici perché essere green significa anche fare più clienti.

Oggi però i consumatori sono molto più attenti a certi argomenti e le aziende devono prestare molta attenzione perché è aumentata la consapevolezza e la conoscenza da parte del pubblico.

Non si tratta di un fenomeno nuovo e a parlarne per la prima volta fu l’ambientalista statunitense Jay Westerveld che lo utilizzò nel 1986 per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, nascondendo in realtà una motivazione legata al risparmio economico.

Dagli anni Novanta la pratica del greenwashing è andata intensificandosi e grandi aziende, a cominciare dalle chimiche-petrolifere cercano di spacciarsi come eco-friendly allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle pratiche aziendali tutt’altro che responsabili.

Tra i tanti modi in cui si può fare greenwashing sicuramente l’utilizzo di un linguaggio vago e approssimativo è il primo segnale di allarme o, al contrario, così tecnico da essere incomprensibile ai non addetti ai lavori. Allo stesso modo l’utilizzo di immagini suggestive, con prevalenza di tonalità di verde o di soggetti naturali che evocano un certo interesse del brand o del prodotto verso le questioni ambientali, possono trarre in inganno. Oppure di un prodotto descrivere solo pochi aspetti eco-sostenibili tralasciando la maggior parte che amica dell’ambiente non è.

Oggi il greenwashing in Italia viene considerato pubblicità ingannevole ed è controllato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. In passato sono state già emesse diverse sentenze di condanna per alcune aziende che facevano uso del Green Washing, come la Snam che è stata condannata nel 1996 per il suo slogan “Il metano è natura” oppure contro la San Benedetto, la Ferrarelle e la Coca Cola citati prima.

venerdì 22 luglio 2022

Auto elettriche: ansia da autonomia addio

Uno studio condotto dall’Università di Ginevra dimostra che chi guida un’auto elettrica teme sempre meno di restare con le batterie a secco. I motivi sono diversi: le autonomie medie delle vetture a batteria stanno costantemente aumentando e il numero di colonnine pubbliche sta crescendo in modo proporzionale alla quantità di BEV (auto elettriche) in circolazione.


Lo studio su 2.000 automobilisti che guidano auto a zero emissioni negli Usa e in Germania ha rivelato che molti automobilisti avevano inizialmente la tendenza a sottostimare l’autonomia reale delle proprie vetture. Circa il 30% degli intervistati ha affermato che credeva erroneamente che l’autonomia delle loro auto non sarebbe stata sufficiente a coprire i propri spostamenti quotidiani, scoprendo invece di avere ottimi “margini di sicurezza” una volta iniziato a usare concretamente l'auto.

I ricercatori, sempre basandosi sulle risposte raccolte dagli intervistati, hanno inoltre dimostrato che il 90% degli spostamenti in auto avviene entro i 200 km e che queste percorrenze sono ampiamente garantite dalla stragrande maggioranza di auto elettriche in commercio. Il problema della colonnina pubblica da trovare durante un viaggio lungo, dunque, interessa una minima parte degli automobilisti.

Anche nel caso di dover percorrere tanta strada, però, nella maggior parte dei casi, basta programmare il viaggio in anticipo prevedendo delle soste intermedie, per non incappare in brutte sorprese. Certo, la rete pubblica deve crescere ancora, ma le cose stanno generalmente migliorando.

Lo studio conclude che per superare l’ansia da autonomia basta informare la gente. Spiegando come stanno davvero le cose molti automobilisti capiscono che l'auto elettrica è ormai adatta a rispondere alle loro esigenze. Anche l’esperienza aiuta, perché una volta che si guida un’auto elettrica si scopre che certi problemi che si credevano insormontabili sono di facile soluzione.

lunedì 18 luglio 2022

Quanta Cina c'è nelle nostre auto elettriche?

A giugno il Parlamento europeo ha deciso che dopo il 2035 si potranno vendere solo auto a zero emissioni. Secondo molti esperti si tratta di una data troppo ravvicinata che avrà ripercussioni pesanti sull’industria automobilistica, che non avrà abbastanza tempo per riconvertirsi e non faremo altro che aprire le porte all'invasione cinese del mercato europeo dell'auto, perché le auto elettriche sono realizzate con molte componenti made in Cina, a cominciare dalle batterie.

Ma in molti forse dimenticano che il primo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), dal quale già si intuiva che stavamo andando a sbattere contro un enorme muro di CO2, risale al 1990, cioè 32 anni fa, cioè 45 anni prima del 2035.

La data del 2035 fa paura tuttavia l’industria dell’auto ormai ha accettato di produrre solo elettriche entro un periodo di tempo che, se non è proprio quello indicato dall'Europa, ci si avvicina molto: Volkswagen ha dichiarato che entro il 2030 il 70% delle auto vendute in Europa sarà elettrico , Ford e BMW puntano al 50%, Volvo e Fiat addirittura al 100%.

Per quanto riguarda le batterie per auto, le fasi critiche della produzione sono due: l'estrazione delle materie prime e la produzione di celle. Chi è forte in questi due stadi iniziali domina perché tutti gli altri dovranno rivolgersi a lui per comprare o i materiali o direttamente le celle.

Se guardiamo alla produzione di litio, quasi la metà di questo elemento chimico è oggi estratto da una società cinese. Altri attori importanti di questo mercato sono australiani e americani. Se guardiamo al nichel, altro elemento chimico importante per produrre le batterie, i nomi che contano sono ancora cinesi, australiani, americani, brasiliani, filippini e svizzeri.

Le celle sono il cuore delle batterie, tante celle compongono un modulo, tanti moduli compongono un pacco batteria. I primi tre produttori mondiali di celle per batterie sono CATL (Cina), LG (Corea del Sud) e PANASONIC (Giappone).

Oggi la produzione di batterie per auto non riesce soddisfare tutta la domanda mondiale. Per questo motivo i produttori di auto elettriche oggi fanno poco gli schizzinosi e comprano ben volentieri celle cinesi ma nello stesso tempo si stanno organizzando per prodursele da soli. Negli ultimi anni, infatti, sono stati molti gli annunci di "Gigafactory" in arrivo fatti dalle case automobilistiche.

La sola Volkswagen ne ha annunciate 5 più una in Svezia, Stellantis (Fiat+Jeep+Citroene+Peugeot) ne sta realizzando una a Termoli, in Molise, in collaborazione con Mercedes. Tutti ne stanno costruendo.

Ciò vuol dire che affermare che oggi non si possono fare auto elettriche senza batterie cinesi è vero ma non lo sarà per forza anche domani. Ma vuol dire anche un'altra cosa: se oggi dipendiamo dalle batterie cinesi è perché i cinesi hanno iniziato a lavorare alle batterie vent'anni fa e sempre vent'anni fa la Cina ha iniziato ad accaparrarsi le riserve di litio presenti sul pianeta.

Ma la buona notizia è che le società minerarie sono convinte che una discreta fetta delle riserve globali di litio sia ancora da scoprire o da mettere a produzione, quindi anche per il litio c'è la possibilità di emanciparsi dalla dipendenza che attualmente abbiamo dalla Cina.

 Dunque prossimi dieci anni i dominatori saranno i cinesi mentre Europa e Usa devono darsi da fare parecchio per recuperare. Ma un'auto elettrica non si fa solo col litio e dentro una batteria non ci sono solo le celle.

mercoledì 13 luglio 2022

Qual è il futuro dei treni ad alta velocità in Italia?

Negli ultimi 30 anni la concorrenza agli aerei è arrivata anche da terra: i treni ad alta velocità sono il mezzo più comodo e sostenibile nelle tratte medie, e in questo settore il nostro Paese è in prima fila.

Da quel 3 ottobre 1839, quando furono inaugurati i 7,25 km a doppio binario della Napoli-Portici, la prima ferrovia costruita nella nostra Penisola, il treno ha percorso una lunga strada in Italia. E per quanto sia uno dei mezzi di trasporto più longevi, resta anche uno tra i più moderni. Così all'avanguardia che, grazie a quegli aerei senza ali che sono i treni ad alta velocità, riesce a mettere in crisi le compagnie aeree nelle tratte medie, offrendo ai viaggiatori un mezzo di trasporto a zero emissioni locali.

Oggi la nostra rete ferroviaria si snoda per oltre 17.000 km, per una lunghezza complessiva dei binari di oltre 24.500 km, di cui oltre 1.000 ad alta velocità. E sebbene ci siano ancora circa 4.500 km difficili da elettrificare, è al tempo stesso una delle più avanzate in Europa. Un laboratorio permanente su cui vengono testate le nuove tecnologie dei treni del futuro.

Negli ultimi trent'anni non abbiamo solo migliorato continuamente la rete con nuove tecnologie, al punto da azzerare gli incidenti dovuti a collisioni, ma abbiamo anche sperimentato e adottato sistemi di guida pensati per l'interoperabilità europea, cioè in grado di far viaggiare i treni in tutto il continente, senza più confini.

I passi principali di questa trasformazione, anche se non gli unici, sono stati la costruzione della rete ad alta velocità e alta capacità, iniziata nel 2005, che ha trasformato il nostro modo di viaggiare per l'Italia, e l'adozione progressiva del sistema Ertms/Etcs, che permette ai treni di diversi Paesi di viaggiare con continuità su tutte le linee che ne sono dotate. I tracciati dell'alta velocità sono caratterizzati da curve molto ampie, tecnologie di posa dei binari specifiche e da speciali linee aeree di alimentazione.

Il sistema Ertms, oggi impiegato su tutta la linea dell'alta velocità, controlla il treno in modo continuo in tutto il suo percorso e non per punti prestabiliti, come invece avviene per l'Scmt, il Sistema Controllo Marcia Treno, utilizzato sul resto della rete italiana. Realizza, inoltre, un dialogo costante tra il sistema a bordo del treno e il posto di controllo a terra attraverso la comunicazione radio GSM-R e l'introduzione dei segnali virtuali, e quindi senza più utilizzare sistemi di segnalamento luminoso. Questo permette di alleggerire moltissimo gli impianti di controllo posizionati sulla rete, che sono quindi meno soggetti a guasti e più facili da gestire.

Il monitoraggio costante dei convogli garantito dall'Ertms, che l'Italia è stata tra i primissimi Paesi europei a utilizzare, potenzia anche la sicurezza e aumenta la capacità della rete, perché consente di far viaggiare i treni più vicini l'uno all'altro. Su questo tema abbiamo avviato il progetto Ertms HD (High Density) per aumentare ulteriormente la capacità delle linee ferroviarie nei grandi nodi urbani, riducendo ulteriormente la distanza tra i convogli.



giovedì 7 luglio 2022

L’Appartamento Segreto di Gustave Eiffel in cima all’omonima Torre

Quando fu inaugurata la Torre Eiffel, in occasione dell’Expo del 1889, il progettista Gustave Eiffel divenne celebre per il proprio lavoro, sia a Parigi sia all’estero. L’ingegnere però non volle rinunciare alla possibilità di costruire uno spazio, al terzo piano della torre di Parigi, che fosse riservato soltanto a se stesso. L’appartamento privato di Eiffel non era grande, ma accogliente ed ambitissimo da parte di tutta l’élite parigina, che sognava di vedere la città da oltre 300 metri di altezza.

Situato al terzo piano della torre, l’appartamento privato di Eiffel non era grande, ma assai accogliente. In contrapposizione con le travi d’acciaio del resto della torre, l’appartamento era arredato con uno stile semplice, le pareti ricoperte di carta da parati e i mobili scelti in stile tradizionale dell’artigianato francese. All’interno era presente anche un pianoforte a coda, che contribuiva a creare un ambiente che, nel suo complesso, trasmetteva un senso di tradizionalità e comfort. Adiacenti al piccolo appartamento si trovano alcune stanze adibite a laboratorio scientifico.

Una volta che la voce dell’appartamento di Eiffel si sparse, l’élite parigina diventò verde per l’invidia, arrivando a offrire allo scienziato cifre folli per affittare, anche solo per una notte, il piccolo rifugio. Eiffel rifiutò qualsiasi offerta, utilizzando lo spazio come luogo di riflessione e intrattenendo ospiti del calibro di Thomas Edison, che gli regalò un fonografo, la sua maggiore invenzione presentata durante la stessa Expo del 1889.

Oggi, dopo essere stato chiuso per decenni, l’appartamento è messo in mostra per i visitatori che raggiungono la vetta della Torre. Gran parte degli arredi sono originali, e all’interno ci sono due manichini con le sembianze di Eiffel ed Edison impegnati in un dibattito scientifico.

lunedì 4 luglio 2022

Giornalisti robot?

Non si può certo dire che il mondo del giornalismo goda di ottima salute: i licenziamenti continuano a susseguirsi in ogni parte del mondo ad iniziare dagli Stati Uniti. Anche in Italia la situazione non è delle migliori. I dati sulle vendite dei quotidiani sono impietosi: negli ultimi cinque anni, le copie vendute si sono dimezzate.

Di chi è la colpa di tutto ciò? In primis, dell’incapacità dei giornali di adattarsi all’epoca digitale, ma anche dello strapotere di Google e Facebook, che si mangiano il 75% della pubblicità e quindi toglie risorse ai giornali. L’automazione del lavoro – che fa temere un futuro di disoccupazione di massa, in cui gli esseri umani saranno gradualmente sostituiti da robot e intelligenze artificiali – colpisce anche il giornalismo.

I software di intelligenza artificiale sono ormai in grado di scrivere autonomamente articoli di giornale, 24 ore su 24, senza richiedere uno stipendio, senza mai stancarsi e senza nemmeno fare un errore di battitura. Secondo quanto riporta il New York Times, circa un terzo del contenuto pubblicato da Bloomberg News viene prodotto da un software. Il sistema usato dalla società si chiama Cyborg ed è in grado di sfornare migliaia di articoli.

Cos’hanno in comune i contenuti prodotti da algoritmi? Terremoti, risultati sportivi, report economici, finanziamenti: tutti questi articoli si basano su cifre, dati e percentuali; caratteristiche che consentono alle intelligenze artificiali di lavorare al loro meglio. Gli articoli non sono prodotti integralmente dai software; ma si basano spesso su scheletri di articoli predisposti da giornalisti umani, che possono essere riutilizzati più e più volte e che gli algoritmi si limitano a riempire coerentemente con nomi e numeri.

Il lavoro giornalistico è creativo, riguarda la curiosità, la narrazione, la ricerca delle informazioni e l’indagine politica: e fino a questo punto l’aiuto degli algoritmi può essere giudicato positivo. Ma le intelligenze artificiali si occupano anche di altro, trovano correlazioni e anomalie, che il  giornalista si occuperà poi di comprendere e approfondire.

Le macchine non sostituiranno l’uomo, ma lo affiancheranno. Ma è proprio così? In verità, è facile immaginare che i software che si occupano di sfornare centinaia di brevi articoli renderanno più complesso l’ingresso in redazione dei giovani, perchè le mansioni più semplici su cui si esercitavo sono svolte dalle intelligenze artificiali. Naturalmente qualsiasi articolo che richieda un minimo di indagine, approfondimento, interviste, riflessioni ed elaborazione può essere svolto solo ed esclusivamente da un essere umano; e sarà così ancora per moltissimo tempo.