venerdì 21 giugno 2019

Il Caso Majorana

La fine del grande scienziato che lavorò con Enrico Fermi e "i ragazzi di via Panisperna" alle prime ricerche sull'atomo torna di attualità. Misteriosamente scomparso nel 1938, secondo la Procura di Roma era vivo e vegeto in Venezuela dal 1955 al 1959. Ma chi era Majorana? E che cosa sappiamo della sua scomparsa?
Le ultime notizie sul giovane scienziato erano datate 26 marzo 1938, quando da un hotel di Palermo aveva annunciato a un suo collega l’intenzione di imbarcarsi sul primo traghetto per Napoli. Poi non se ne seppe più nulla, e sulle varie ipotesi che seguirono gravò costantemente l’incertezza dell’avverbio “forse”: forse Majorana si suicidò gettandosi in mare; forse fu assassinato; forse scese dalla nave (o non vi mise affatto piede) e si ritirò in un convento; forse rimase in Sicilia, sua terra d’origine; forse si rifugiò in Sud America...
L'ultimo tassello di questa misteriosa vicenda è recente. Majorana fuggì segretamente in Sud America. Lo afferma la Procura di Roma che dal 2008 sta indagando sulla vivenda. La tesi dei giudici si basa sull'analisi di una foto scattata in Venezuela nel 1955, in cui appare un signore, conosciuto con il cognome Bini. L'uomo ritratto risulta compatibile con i tratti somatici del fisico catanese. Dove sta la verità? Per tentare di capirne di più proviamo a ricostruire lo svolgersi degli eventi.
La biografia di Majorana è sintetizzata in una manciata di parole scritte da lui stesso nel 1932: “Sono nato a Catania il 5 agosto 1906 […] e nel 1929 mi sono laureato in Fisica teorica sotto la direzione di Enrico Fermi. Ho frequentato […] l’Istituto di Fisica attendendo a ricerche di varia indole”. Per la cronaca, l’istituto di cui si parla era in via Panisperna, a Roma, e si occupava di sperimentazione nucleare. Figlio di un ingegnere e nipote dell’insigne fisico Quirino Majorana, fin da bambino Ettore brillò per le sue doti di matematico, che nella capitale mise al sevizio di un ensemble di giovani fisici coordinati dal docente Enrico Fermi e passati alla storia come “i ragazzi di via Panisperna”. Tra loro, Ettore si distingueva per il carattere riservato e la genialità.
La sua abilità nel calcolo era ammirata da tutti, ma ogni volta che i suoi studi sfioravano l’impresa scientifica, si rifiutava di pubblicarli e in alcuni casi arrivò persino a stracciare gli appunti di lavoro. “Aveva l’aria di chi in una serata tra amici si improvvisa giocoliere, prestigiatore, ma se ne ritrae appena scoppia l’applauso. […] Non uno di coloro che lo conobbero lo ricorda altrimenti che strano. E lo era veramente” scriverà il romanziere siciliano Leonardo Sciascia nel libro La scomparsa di Majorana (1975).
All’inizio del 1933 lo “strano” Ettore partì per un viaggio di studi nella Germania nazista, a Lipsia, dove lavorò con entusiasmo con il grande fisico teorico Heisenberg. Ma quando, ai primi di agosto, tornò a Roma mostrò ulteriori sintomi di stramberia. “Per quattro anni raramente esce di casa e ancor più raramente si fa vedere all’istituto” riassume Sciascia. La sentenza dei medici fu esplicita: “Esaurimento nervoso”. In tale contesto, nel 1937 gli venne assegnata per “chiara fama” una cattedra all’Università di Napoli.
Giunto nella città partenopea, Ettore strinse subito amicizia con il collega Antonio Carrelli, ma in generale condusse anche qui una vita appartata» riferisce. Poi, il 25 marzo 1938, si imbarcò per Palermo in cerca di riposo nella sua Sicilia e, prima di partire, scrisse al Carrelli una missiva che recitava: “Ho preso una decisione […] mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare […] ti prego di perdonarmi”. Indirizzò quindi un messaggio dello stesso tenore ai suoi famigliari: “Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero […] perdonatemi”. Le intenzioni suicide parevano però essere svanite quando – giunto a Palermo – inviò un telegramma al solito Carrelli in cui diceva di non preoccuparsi per la lettera precedente.

Il giorno dopo scrisse la sua ultima missiva: “Caro Carrelli, spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento”. Questi documenti furono gli ultimi “segnali” inviati dallo scienziato. Che all’improvviso svanì.
Le ricerche, volute nientemeno che da Mussolini, fecero i conti con la scarsità di elementi in mano agli inquirenti, tra cui spiccava un biglietto navale intestato a Majorana in cui era stranamente registrato, oltre al suo imbarco sul traghetto di ritorno, anche lo sbarco. Non fece chiarezza la testimonianza di un altro passeggero, Vittorio Strazzeri, che forse aveva visto Majorana sul ponte della nave all’alba del 27 marzo.
La tesi del suicidio in mare iniziò così a complicarsi, ma la cosa più strana era che, prima di sparire, Majorana aveva prelevato una grande somma di denaro (cinque stipendi arretrati) e fatto sparire il passaporto» osserva Di Trocchio. Le ricognizioni in mare non diedero alcun esito, e iniziò a farsi strada l’ipotesi di un Majorana “in fuga” dalla società. Vivo, ma nascosto chissà dove. E chissà perché.
Nel 1934 i ragazzi di via Panisperna avevano “bombardato” alcuni nuclei di uranio con dei neutroni, convincendosi alla fine dell’esperimento di aver creato nuovi elementi chimici. In realtà avevano praticato per la prima volta la “fissione nucleare” (primo passo verso la bomba atomica) e, secondo alcuni, il giovane talento, intuendone le possibili ricadute militari, si sentì talmente turbato da voler sparire dalla circolazione.
Così come non è da escludere che sia uscito di scena per la sua asocialità; alcuni hanno persino ipotizzato che sia stato ucciso con il placet dei servizi segreti Usa per impedirgli di svolgere ricerche per conto del fascismo o del nazismo.
Nel caso fosse invece fuggito per cambiare vita, dove si sarebbe nascosto? Una terza ipotesi sostenne che il fisico fosse riparato in Argentina, e ad attestarlo erano le segnalazioni di un suo passaggio a Buenos Aires tra gli Anni ’60 e ’70. La pista argentina guadagna ulteriore credibilità se messa in relazione con una quarta ipotesi secondo la quale Majorana andò in Germania (consenziente o obbligato) per servire il Terzo Reich, emigrando a Buenos Aires dopo il crollo nazista.
Tale ricostruzione è emersa dallo studio di una foto del 1950 in cui è ritratto il criminale nazista Adolf Eichmann (organizzatore del trasporto degli ebrei nei campi di concentramento) sul ponte di un battello diretto in Argentina. La cosa interessante è che al suo fianco c’è un passeggero che assomiglia proprio a Majorana.
Resta il fatto che dopo l’intervista fatta dal programma di Rai Tre Chi l’ha visto? a un immigrato italiano in Sudamerica che sostiene di aver conosciuto un cinquantenne di nome Bini somigliante a Majorana, nel 2008 la Procura di Roma ha riaperto il caso.

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