Un team di trenta persone tra geologi, geofisici, piloti di
elicotteri, meccanici e pure cuochi si sono accampati nella zona delle colline
e delle valli dell’isola di Disko e della penisola di Nuussuaq convinti che
l’energia green dei Paesi occidentali passi proprio da lì: l’obiettivo sono i
giacimenti di minerali rari, indispensabili per alimentare centinaia di milioni
di veicoli elettrici e batterie massicce che immagazzinano potenza.
Gli interessi geopolitici in gioco sono altissimi. I governi
occidentali che vanno verso la transizione all’energia verde e rinnovabile sono
da tempo in allarme per il crescente controllo della Cina sull’approvvigionamento
di litio e cobalto. La Repubblica popolare cinese detiene il 70% delle riserve
del cobalto, minerale raro usato prevalentemente nelle apparecchiature
elettroniche e nella produzione di batterie per le autovetture elettriche.
Un monopolio che si basa sulla sostanziale proprietà di
buona parte delle miniere in Congo (produttore fino al 60% del fabbisogno
mondiale), attraverso un raffinato sistema che mette insieme finanziamenti
apparentemente a fondo perduto per il Paese africano, diritti di sfruttamento
dei giacimenti, presenza di tecnici e operai cinesi, controllo delle
esportazioni e dei trasporti marittimi.
Ma Pechino non si è fermata all’Africa: sta studiando un
percorso di diversificazione della catena di rifornimento del prezioso minerale
guardando anche in direzione dell’Indonesia. Gli Stati Uniti dal canto loro
sanno di non poter restare indietro in questa corsa assolutamente centrale nell’economia
di oggi e ancor di più del futuro.
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