lunedì 8 dicembre 2025

Family Influencer

Negli ultimi anni sono cresciuti i cosiddetti “family influencer”, cioè genitori che condividono sui social la loro vita insieme ai figli. Molti lo fanno per guadagnare soldi mostrando prodotti o servizi. Uno studio di Terre des Hommes ha analizzato 20 profili e più di 1.300 post: la maggior parte è su Instagram, mentre una piccola parte su TikTok. I bambini compaiono in metà dei post “normali” e in un quarto di quelli sponsorizzati, cioè in cui si pubblicizzano prodotti come cibo, vestiti, giochi o persino insetticidi.

Essere un “family influencer” può sembrare divertente, ma può essere anche pericoloso. Quando un genitore usa il figlio come parte del lavoro, ricopre due ruoli insieme: quello di genitore e quello di datore di lavoro. Questo può rovinare il rapporto di fiducia con il bambino e farlo sentire insicuro. I più piccoli, fino a 5 anni, sono i più a rischio: l’80% dei post li mostra in momenti intimi come il bagnetto, il cambio del pannolino o mentre piangono o si arrabbiano. In quei casi, i bambini non possono dire se vogliono comparire online, e il loro viso è spesso mostrato senza protezione.

Stare troppo online può confondere i bambini e farli perdere il senso di ciò che è reale e ciò che è finzione. Esporsi sui social può anche renderli vulnerabili ad abusi o perlomeno all’uso improprio delle loro immagini. La privacy è spesso trascurata: solo pochi post cercano di proteggere i bambini coprendo i loro volti.

Per questo ci sono regole che cercano di proteggerli. Il Codice di autodisciplina della pubblicità dice che i messaggi rivolti ai minori non devono danneggiarli fisicamente o psicologicamente. L’Agcom ha creato un codice per gli influencer e un elenco dei più seguiti, per controllare meglio chi pubblica contenuti con bambini. Ma queste misure da sole non bastano: servono genitori consapevoli e attenti.

Gli esperti dicono che i bambini devono crescere in un ambiente sicuro e autentico, senza pressioni per apparire online. I social possono dare visibilità e lavoro ai genitori, ma non devono trasformare i figli in strumenti per guadagnare. La cosa più importante è che i bambini possano vivere la loro infanzia, giocare e crescere sereni, senza diventare protagonisti di contenuti commerciali.




lunedì 1 dicembre 2025

Talenti e passioni, come scoprire la tua strada


Ognuno di noi nasce con un cervello unico, diverso da quello di chiunque altro. Questo significa che abbiamo modi di essere, abilità e interessi differenti che, combinati insieme, danno forma a chi siamo. Alcuni sono ordinati e tranquilli, altri allegri e ingegnosi; c’è chi è bravo in matematica, chi nel disegno, chi nello sport o ad ascoltare gli amici. Proprio questa varietà ci rende speciali e ci rende più adatti ad alcuni lavori piuttosto che ad altri. Non tutti i lavori vanno bene per tutti, e la cosa più importante è scegliere un percorso che si adatti al proprio modo di essere e alle proprie capacità.

Ma i talenti da soli non bastano. Vanno allenati e sviluppati. Dietro ogni sportivo o artista di successo ci sono centinaia di ore di allenamento e sacrifici. Ciò che vediamo “a prima vista” è solo il risultato di anni di lavoro. Accanto ai talenti, è fondamentale scoprire le proprie passioni, cioè ciò che ci entusiasma e ci fa stare bene: le lingue, i bambini, lo sport, la musica, la cucina, i videogiochi, l’arte. Anche chi pensa di non avere passioni può capirle osservando ciò che non riesce a smettere di fare: leggere, cucinare, creare, parlare con gli amici.

Eppure c’è una terza domanda decisiva: cosa puoi apportare al mondo? Non basta essere bravi e appassionati se nessuno ha bisogno di ciò che facciamo. È utile guardare a ciò che gli altri ci chiedono: spiegare matematica, aggiustare un telefono, ascoltare problemi, organizzare feste. Spesso lì si nasconde qualcosa che il mondo apprezza e di cui ha bisogno.

In Giappone questa ricerca si chiama ikigai: il punto in cui si incontrano i talenti, le passioni e ciò di cui il mondo ha bisogno. È una bussola che aiuta a trovare il lavoro e la vita più soddisfacenti. Non significa che senza ikigai non si possa essere felici: si può lavorare in un campo adatto a noi e coltivare le passioni nel tempo libero, oppure impegnarsi nel volontariato.

Le persone più felici sono quelle che scelgono ascoltando le proprie emozioni, senza farsi guidare solo dagli sbocchi professionali o dalle pressioni esterne. Le sensazioni sono i migliori consiglieri per costruire il nostro futuro.


domenica 30 novembre 2025

Chat GPT ha 3 anni

Il 30 novembre di tre anni fa, è arrivato online ChatGPT, un’intelligenza artificiale capace di parlare con le persone quasi come se fosse umana. In pochissimo tempo è diventata uno degli strumenti digitali più usati al mondo, con centinaia di milioni di utenti ogni settimana.

Prima dell’AI, Internet era soprattutto un luogo dove cercare informazioni: se volevi capire qualcosa, dovevi scrivere una parola su Google e leggere pagine, blog o forum. Era utile, ma a volte lento: per riassumere un testo, fare una ricerca o capire un concetto complicato serviva tempo. I social erano il centro della vita online: foto, video, commenti e meme creati da persone reali. L’AI esisteva, ma era dietro le quinte, suggerendo video, pubblicità o contatti, senza interagire direttamente con l’utente.

Oggi, con ChatGPT e altre intelligenze artificiali, Internet è diventato molto più interattivo: non serve più cercare tra decine di siti diversi, basta fare una domanda e ottenere subito una risposta che è il condensato di tantissimi siti. E non solo testi: esistono AI che generano immagini, musica, presentazioni e persino codici di programmazione.

ChatGPT è la più usata tra tutte: milioni di studenti la utilizzano per studiare meglio, farsi spiegare concetti difficili o scrivere in modo più chiaro, mentre gli adulti la impiegano sul lavoro per organizzare idee, controllare documenti o creare contenuti. Internet è passato da essere un grande archivio a un grande assistente: non solo trovi informazioni, ma puoi anche farle creare, rielaborare e adattare a quello che ti serve.

Nei prossimi anni la presenza dell’AI sarà ancora più forte: probabilmente avremo assistenti digitali personalizzati che conoscono i nostri gusti, ci aiutano nello studio, ci danno consigli e ci accompagnano nelle scelte quotidiane, mentre le ricerche online diventeranno sempre più simili a una conversazione piuttosto che a una lista di link. Tutto questo porta anche sfide importanti: capire se una fonte è affidabile, non fidarsi ciecamente dell’AI, proteggere la propria privacy e non sostituire completamente il pensiero umano con quello delle macchine.

ChatGPT, in soli tre anni, ha cambiato profondamente il modo di usare Internet: l’AI non è più qualcosa per esperti, ma uno strumento quotidiano per milioni di persone. Il futuro sarà pieno di nuove possibilità, ma starà a noi usare l’AI in modo intelligente, creativo e responsabile. E ricordate che l'età minima per il suo uso sono i 13 anni.

lunedì 24 novembre 2025

Il Ponte sullo Stretto di Messina

Da decenni si parla del Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera che dovrebbe collegare la Sicilia alla Calabria, unendo l’isola al resto d’Italia con una sola grande infrastruttura. Ma questo progetto divide ancora l’opinione pubblica: c’è chi lo vede come un simbolo di progresso e chi come un rischio enorme, economico e ambientale.

Il ponte progettato sarebbe sospeso, cioè sostenuto da due enormi piloni alti circa 400 metri, collegati da 4 cavi d’acciaio del diametro di oltre un metro. La campata centrale, cioè la parte sospesa tra i piloni, sarebbe lunga oltre 3,2 chilometri: la più lunga del mondo! Su di essa passerebbero auto, camion e treni su due livelli separati.

Per costruirlo servirebbero tecnologie molto avanzate, simili a quelle usate per i grandi ponti in Giappone o in Scandinavia. Gli ingegneri sostengono che il ponte sarà resistente ai forti venti e ai terremoti, visto che la zona dello Stretto è una delle più sismiche d’Italia. Tuttavia, alcuni esperti temono che i calcoli sulla stabilità e sulle correnti marine non siano del tutto sicuri, e chiedono studi più approfonditi.

Il costo stimato del ponte è di circa 14 miliardi di euro, ma secondo diversi economisti la spesa reale potrebbe essere molto più alta. A questo si aggiungono i costi di manutenzione, collegamenti ferroviari e stradali da completare su entrambe le sponde. I sostenitori dicono che l’opera porterebbe posti di lavoro, turismo e un trasporto più veloce di persone e merci. Gli oppositori, invece, ritengono che sarebbe meglio usare quei fondi per migliorare i trasporti locali, le ferrovie, autostrade e porti siciliani oggi ancora inadeguati.

Dal punto di vista ambientale, il ponte potrebbe alterare l’ecosistema marino dello Stretto, dove vivono specie rare e si verificano forti correnti. Le associazioni ambientaliste chiedono di proteggere quest’area, considerata unica al mondo.

La decisione finale non riguarda solo l’ingegneria, ma anche la visione del futuro che l’Italia vuole scegliere: investire in un’opera simbolo o puntare su tante infrastrutture più piccole seppur utili nel quotidiano.


venerdì 21 novembre 2025

Giornata internazionale dei diritti dei bambini e degli adolescenti



Oggi celebriamo la Giornata internazionale dei diritti dei bambini e degli adolescenti. È un’occasione importante per ricordare che i diritti dei più giovani – come il diritto all’istruzione, alla salute, al gioco, alla protezione – non sono affatto scontati. Anzi, sono conquiste molto recenti nella lunghissima storia dell’umanità.

Il Novecento è stato definito “il secolo dell’infanzia”, proprio perché per la prima volta nella storia i bambini sono stati riconosciuti come persone a tutti gli effetti, con bisogni specifici e diritti propri. Fino a poco più di cento anni fa, la società vedeva l’infanzia come una fase “di passaggio”, una semplice anticamera della vita adulta. Si pensava che il bambino non avesse un mondo interiore complesso, né esigenze diverse da quelle degli adulti. La sua voce non veniva ascoltata: non c’erano diritti, tutele o leggi che proteggessero davvero i più piccoli.

Ma com’era la situazione prima del Novecento? Per millenni, nella maggior parte delle culture, i bambini erano considerati soprattutto una forza lavoro o una presenza da educare rigidamente. Nelle famiglie contadine lavoravano nei campi fin da piccolissimi; nelle città del primo Ottocento venivano impiegati nelle fabbriche per lunghe ore, in condizioni durissime. La scuola non era un diritto: era un privilegio per pochi. E la violenza verso i minori era spesso accettata come normale metodo educativo.

La svolta iniziò tra fine Ottocento e inizio Novecento, quando alcuni pedagogisti, medici e pensatori – come Maria Montessori, Ellen Key e altri – cominciarono a dire che i bambini non erano “adulti in miniatura”, ma individui unici, con un ritmo di crescita da rispettare. Da queste idee nacquero nuove scuole, nuovi metodi educativi e, soprattutto, un nuovo modo di guardare all’infanzia.

Il passo decisivo arrivò nel 1989, quando l’ONU approvò la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il documento che per la prima volta riconosceva ufficialmente i diritti universali dei minori. Da allora, ogni paese è chiamato a garantire protezione, educazione, partecipazione e benessere a ogni bambino.

Oggi, quindi, celebriamo non solo una ricorrenza, ma un enorme cambiamento culturale: la consapevolezza che i bambini e gli adolescenti non sono il futuro in attesa, ma cittadini del presente, che meritano ascolto, cura e rispetto. Ricordare quanto sia recente questa conquista ci aiuta a capire quanto sia importante difenderla ogni giorno.

I DIRITTI DEI BAMBINI


lunedì 17 novembre 2025

Qualunque sia il tuo sogno

Quando pensiamo ai grandi campioni dello sport, Jannik Sinner per esempio, spesso ci sembra che siano nati per vincere. Li vediamo sollevare trofei, entrare negli stadi pieni, essere acclamati come eroi. Ma c’è una cosa che dovremmo ricordare: il talento aiuta ma da solo non basta. Il talento è come un seme: se non lo annaffi ogni giorno, non cresce. A far diventare forti questi ragazzi non è stato un destino scritto, ma la capacità di allenarsi quando nessuno li vedeva, di riprovare un colpo mille volte, di trasformare la delusione in energia. È questa la parte che non appare nei video su Instagram, ma che costruisce davvero un campione.

Non sono degli eletti, dei "predestinati" a diventare campioni. Guardiamo le loro famiglie: il padre di Sinner era cuoco, la madre cameriera in un rifugio alpino, il padre di Alcaraz gestiva un locale di kebab, mentre i genitori di Jasmine Paolini avevano un piccolo bar. Il padre di Musetti lavorava in una cava di marmo. Persone impiegate in lavori normalissimi, faticosi, come quelli di tantissime famiglie. Eppure i loro figli oggi sono tra i più forti del mondo. E certo, anche ricchi.

Tu che leggi forse sogni di diventare un tennista o una tennista famosa,  o forse vuoi fare l’ingegnere, la fisioterapista, il fotografo, la cuoca, l’insegnante, oppure non lo sai ancora, ed è normalissimo. Ma qualunque sia il tuo sogno ha bisogno di impegno. Non di perfezione: di impegno. La scuola è il primo luogo in cui impari questa cosa, la tua palestra. Non perché ti serva ricordare ogni data o formula, ma perché ti allena al lavoro paziente, alla costanza, alla disciplina di provarci ancora, anche quando non ne hai voglia.

Dietro ogni tennista che alza un trofeo ci sono genitori che lo accompagnavano agli allenamenti, allenatori che credevano in lui, amici che gli dicevano “non mollare”. Nessuno diventa qualcuno senza l’aiuto di qualcun altro. Ma l’energia iniziale, quella che fa partire tutto, deve venire da dentro: da te. Non pensare che il tuo futuro sia deciso da dove sei nato o da che lavoro fanno i tuoi genitori.

Il futuro comincia quando inizi a costruirlo. Un piccolo passo, un tentativo, un esercizio, un gesto che sembra niente. Ma è così che ci si avvicina ai propri sogni: un giorno alla volta, con la testa alta e il cuore acceso.

giovedì 13 novembre 2025

COP30, il mondo si ritrova per salvare il clima

In questi giorni, a Belém, in Brasile, si sta svolgendo la COP30, la trentesima “Conferenza sul Clima” delle Nazioni Unite. Ma che cos’è esattamente la COP?

COP significa Conference of the Parties, cioè “Conferenza delle Parti”. Ogni anno, quasi tutti i Paesi del mondo si incontrano per discutere come affrontare il cambiamento climatico, un problema che ormai tocca tutti: siccità, incendi, uragani, scioglimento dei ghiacciai. Lo scopo è decidere insieme come ridurre le emissioni di gas serra, come proteggere le popolazioni più vulnerabili e come mantenere l’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5 °C.

La prima COP si è tenuta nel 1995 a Berlino. Da allora, ogni anno si è cercato di fare qualche passo avanti. Alcune edizioni sono diventate storiche. Per esempio, la COP21 di Parigi nel 2015 ha segnato un momento fondamentale: quasi tutti i Paesi hanno firmato il famoso Accordo di Parigi, impegnandosi a contenere il riscaldamento globale. Un grande traguardo, almeno sulla carta.

Poi ci sono state altre tappe importanti, come la COP23 (ospitata dalle isole Fiji nel 2017), che ha dato più spazio ai popoli indigeni e ha parlato di come l’agricoltura possa adattarsi al clima che cambia. E la COP29, tenutasi nel 2024 a Baku, dove si è discusso di soldi: i fondi che i Paesi più ricchi dovrebbero versare a quelli più poveri per aiutarli a difendersi dagli effetti del clima.

Ma non tutto è andato come sperato. Negli ultimi 30 anni, nonostante le conferenze, le emissioni globali continuano ad aumentare e il limite di 1,5 °C sembra sempre più difficile da rispettare. Molte promesse fatte nei vertici precedenti non sono state mantenute, e questo ha creato una certa sfiducia.

Per questo, la COP30 è considerata una conferenza decisiva. A dieci anni dall’Accordo di Parigi, il mondo deve dimostrare che non si limita alle parole. I governi devono aggiornare i loro piani di riduzione delle emissioni, trovare nuovi fondi per chi soffre di più gli effetti del clima e spingere la transizione verso energie pulite, come il solare e l’eolico.

Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha detto che “fallire l’obiettivo di 1,5 °C sarebbe un fallimento morale”. E ha ragione: le scelte di oggi decideranno il pianeta in cui vivranno le generazioni future.

lunedì 10 novembre 2025

Come funziona un aspirapolvere?

Oggi sembra normale premere un pulsante e vedere l’aspirapolvere che “mangia” polvere e briciole dal pavimento. Ma cosa succede dentro questa macchina che ormai è presente in quasi tutte le case? Per capirlo, bisogna pensare a tre elementi fondamentali: il motore, il flusso d’aria e i filtri.

L’aspirapolvere funziona grazie a un motore elettrico che mette in movimento una ventola. Questa ventola gira molto velocemente e crea una differenza di pressione: davanti all’aspirapolvere la pressione diventa più bassa rispetto all’aria esterna. Proprio come quando si beve con una cannuccia, l’aria tende a spostarsi da dove c’è più pressione a dove ce n’è meno, trascinando con sé particelle di polvere, capelli e briciole. In altre parole, l’aspirapolvere non “risucchia” nel senso letterale: sfrutta la pressione dell’aria per spostare sporco e polvere verso l’interno.

Una volta entrato nel tubo, lo sporco non si disperde perché viene trasportato dal flusso d’aria fino a un contenitore. Nei modelli più vecchi si usano sacchetti di carta o tessuto che trattengono lo sporco, mentre nei modelli moderni ci sono contenitori in plastica trasparente, facili da svuotare. Alcuni aspirapolvere, detti ciclonici, sfruttano la forza centrifuga: l’aria viene fatta girare a spirale e le particelle di polvere, più pesanti, si separano cadendo nel contenitore.

Un’altra parte fondamentale sono i filtri. Non tutta la polvere è visibile: esistono particelle microscopiche che potrebbero tornare in circolo nell’aria, rendendo l’ambiente poco salutare. Per evitarlo, gli aspirapolvere montano filtri capaci di trattenere anche granelli piccolissimi, molto utili per chi soffre di allergie.

lunedì 3 novembre 2025

Il Villaggio Olimpico di Porta Romana: un nuovo cuore verde per Milano

A Milano, nell’area dello Scalo di Porta Romana, sta nascendo un progetto davvero speciale: il Villaggio Olimpico. Sarà uno dei luoghi principali delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026, ma non finirà tutto con la chiusura dei Giochi. L’idea, infatti, è quella di creare un quartiere moderno, sostenibile e pieno di vita, che continuerà a servire la città anche dopo le Olimpiadi.

Durante i Giochi, il Villaggio ospiterà circa 1.400 atleti e atlete provenienti da tutto il mondo. Ci saranno palazzine moderne, spazi verdi, una grande piazza e aree comuni dove gli sportivi potranno rilassarsi, allenarsi o incontrarsi. Tutto è pensato per essere accogliente, pratico e rispettoso dell’ambiente.

Una delle cose più interessanti è proprio la sostenibilità. Il progetto prevede che oltre il 30% dell’energia arrivi da pannelli solari, e che l’acqua piovana venga raccolta e riutilizzata per irrigare i giardini e le aree verdi. Anche i materiali scelti per costruire gli edifici saranno ecologici e riciclabili. L’obiettivo è ridurre al minimo l’impatto ambientale e creare un quartiere che possa essere un modello per il futuro.

Ma la parte più bella arriva dopo le Olimpiadi. Quando gli atleti se ne saranno andati, gli edifici del Villaggio verranno trasformati in residenze per studenti di cui Milano ha un enorme bisogno. Così, quella che per qualche mese sarà la “casa degli sportivi” diventerà la “casa dei giovani” che studiano a Milano. Ci saranno spazi per studiare, per incontrarsi, per coltivare orti urbani e vivere in modo sostenibile.

L’intera area dello Scalo di Porta Romana, che un tempo era un luogo industriale e un po’ abbandonato, tornerà a essere un punto vitale della città. Diventerà un quartiere aperto a tutti, con parchi, percorsi ciclabili, spazi pubblici e aree verdi.

Il Villaggio Olimpico è quindi molto più di un progetto sportivo: è un esempio di come un grande evento possa lasciare qualcosa di utile e duraturo. Non solo un ricordo delle Olimpiadi, ma un nuovo modo di vivere la città — più verde, più inclusivo e più attento all’ambiente.



lunedì 27 ottobre 2025

Quanto guadagnano gli artisti su Spotify nel 2025?

Nel 2025, la musica viene ascoltata soprattutto in streaming, e Spotify è la piattaforma più usata. Ma quanto guadagna davvero un artista? La risposta è: dipende. Il sistema di pagamento si basa sulle royalty, cioè compensi per l’uso delle opere artistiche, che si dividono in due categorie: di registrazione (per chi crea e registra la musica) e di pubblicazione (per chi detiene i diritti, spesso le etichette).

Gli artisti guadagnano principalmente tramite gli stream, cioè gli ascolti. Spotify paga in media da 3 a 5 dollari ogni 1000 ascolti: un milione di stream può fruttare tra 3.000 e 5.000 dollari. Il guadagno dipende anche dal tipo di abbonamento degli ascoltatori e dalla loro provenienza geografica.

Oltre agli stream, ci sono altri metodi per monetizzare:

  • Playlist e recensioni: gli artisti possono essere inseriti in playlist curate da utenti o professionisti, spesso tramite piattaforme a pagamento (come PlaylistPush o Submithub), aumentando visibilità e ascolti.
  • Merchandising: Spotify permette di collegare un negozio Shopify per vendere gadget personalizzati. I guadagni variano in base al prezzo dei prodotti e alle commissioni della piattaforma.
  • Podcast: alcuni artisti usano Spotify anche per fare podcast. Si può guadagnare tramite abbonamenti, donazioni, pubblicità e sponsor. I guadagni sono molto variabili.

Infine, è fondamentale il marketing. Avere visibilità sui social (Instagram, TikTok, YouTube) può aumentare del 30% gli ascolti su Spotify. Alcuni scelgono anche di comprare ascolti, per far crescere artificialmente i numeri e attirare l’attenzione degli algoritmi e dei fan.

In sintesi, Spotify può offrire buone opportunità di guadagno, ma è raro vivere solo di streaming. È necessario un mix di visibilità, strategie di promozione, e l’uso di più canali (merchandising, podcast, social media) per costruire un vero business musicale.

lunedì 20 ottobre 2025

Stiamo tornando analfabeti?

Negli ultimi anni molti studiosi e giornalisti hanno iniziato a parlare di “società post-alfabetizzata”, cioè di un mondo in cui leggere e scrivere testi lunghi non è più l’attività principale attraverso cui impariamo, pensiamo e comunichiamo. Secondo questa teoria, staremmo tornando, in un certo senso,  “analfabeti”, non perché non sappiamo più leggere le parole, ma perché non siamo più abituati a leggere con attenzione e a riflettere su ciò che leggiamo.

Fino a pochi decenni fa, la lettura di libri, giornali e riviste era un’abitudine diffusa. Dalla fine del Settecento in poi, l’alfabetizzazione aveva permesso a milioni di persone di accedere a nuove idee, scoperte scientifiche e riflessioni politiche. Era nata una vera e propria “rivoluzione della lettura”, che aveva reso possibile lo sviluppo della democrazia, della scienza e del pensiero critico. Leggere richiede infatti di seguire un filo logico, di fare collegamenti e di costruire ragionamenti complessi: capacità che stanno alla base di una società libera e consapevole.

Oggi però, secondo il giornalista inglese James Marriott, questa abitudine sta scomparendo. La causa principale sarebbe la diffusione degli smartphone e dei video brevi sui social network, che catturano la nostra attenzione in modo continuo ma frammentato. Guardare un video di pochi secondi non richiede lo stesso impegno mentale di leggere un testo o un libro: si reagisce più con le emozioni che con la logica. In questo modo, la nostra mente si abitua a pensare in modo rapido, disordinato ed emotivo, invece che razionale e profondo.

Anche le ricerche dell’OCSE mostrano che in molti paesi, Italia compresa, le competenze in lettura e scrittura sono in calo. E questa tendenza potrebbe avere conseguenze serie: una popolazione che legge poco e male è più facile da manipolare, perché non è abituata ad analizzare i fatti o a distinguere le informazioni vere da quelle false.

Per questo, leggere — un romanzo, un articolo o anche solo un testo complesso — non è un passatempo del passato, ma un esercizio di libertà. In un mondo pieno di immagini e video che scorrono senza sosta, la lettura resta uno dei pochi modi per rallentare, riflettere e capire davvero chi siamo e dove stiamo andando.

lunedì 13 ottobre 2025

Auto elettriche: e le batterie, che fine fanno?

Le auto elettriche sono sempre più diffuse. Non emettono gas di scarico, riducono l’inquinamento in città e rappresentano una delle soluzioni principali per abbattere le emissioni di CO₂ nel settore dei trasporti. Ma una domanda è fondamentale: che fine fanno le loro batterie quando non sono più utilizzabili?

Le batterie al litio utilizzate nei veicoli elettrici sono complesse: contengono materiali rari e costosi come litio, nichel, cobalto e rame. La loro produzione richiede un grande consumo di energia e spesso comporta impatti ambientali significativi legati all’estrazione mineraria. Per questo motivo, riciclarle è essenziale.

Attualmente esiste già una filiera in crescita dedicata al riciclo delle batterie. Alcune aziende recuperano i materiali attraverso processi meccanici o chimici, per poi riutilizzarli nella produzione di nuove celle. In Europa, è in vigore un regolamento che obbliga i produttori a garantire il riciclo delle batterie e a includere una percentuale minima di materiali riciclati nei nuovi accumulatori entro il 2030.

Prima del riciclo, però, molte batterie vengono destinate a una “seconda vita”: non sono più adatte a far funzionare un’auto, ma possono essere usate per immagazzinare energia in impianti solari, in colonnine di ricarica o come sistemi di backup per edifici e aziende.

Le prime auto elettriche vendute in massa risalgono a circa dieci anni fa, quindi il vero picco di batterie a fine vita è atteso tra il 2025 e il 2035. Nel frattempo, industrie e governi stanno investendo per creare impianti efficienti e sostenibili.

Le auto elettriche rappresentano un cambiamento importante, ma è fondamentale gestire correttamente il ciclo di vita delle batterie, per evitare che una soluzione ecologica si trasformi in un nuovo problema ambientale.

lunedì 6 ottobre 2025

Notebook LM

Google ha creato uno strumento molto utile chiamato Notebook LM, dove "LM" significa Language Model, cioè modello linguistico. A differenza dei chatbot generici come ChatGPT o Gemini, Notebook LM lavora solo sui materiali che gli dai tu: file PDF, pagine web, trascrizioni audio, Google Docs o link di YouTube. Questo è un grande vantaggio, perché l’app cita sempre le fonti, così puoi verificare da dove provengono le informazioni. 
L’app è organizzata in “taccuini”, ognuno costruito su una serie di documenti che carichi tu. Ci sono due sezioni principali: una per aggiungere e gestire le fonti, e un’altra per fare domande o chiedere riassunti, mappe concettuali o spiegazioni in linguaggio naturale. Anche se all’inizio può sembrare un po’ complicata da usare, appena impari a gestirla diventa un valido alleato per studiare, scrivere relazioni o preparare ricerche.
Una delle novità più interessanti è la possibilità di creare un podcast automatico. Notebook LM legge i tuoi documenti, li riassume e li trasforma in una conversazione tra due voci artificiali, che spiegano i concetti in modo chiaro. Puoi ascoltarlo dentro l’app, scaricarlo oppure interagire con esso, ponendo domande con la tua voce e ricevendo risposte subito, come in un talk show.
Notebook LM è perfetto per chi deve studiare molti materiali diversi, preparare un’esposizione o una verifica o fare una ricerca per un progetto. Può anche generare in automatico schede riassuntive, linee del tempo, domande frequenti e sintesi. Google sta migliorando continuamente lo strumento.
La versione per computer ha più funzioni rispetto a quella per smartphone, ma entrambe sono già molto potenti. In futuro arriveranno anche video panoramici e grafici interattivi. Notebook LM è gratuito per la maggior parte delle persone, ma chi paga un abbonamento mensile può usare più fonti e avere funzioni avanzate. In poche parole, Notebook LM è un assistente intelligente che può davvero semplificare lo studio e rendere più interessante il modo in cui impariamo.

lunedì 29 settembre 2025

Lenovo partner di F1

La Formula 1 non è solo auto velocissime e piloti famosi: dietro le gare che vediamo in TV c’è un’enorme macchina tecnologica che lavora senza farsi notare. In ogni Gran Premio milioni di dati hanno viaggiano su server e cavi grazie al lavoro di Lenovo, partner tecnologico ufficiale del campionato.

Ogni gara è un’impresa enorme: vengono gestiti tra i 500 e i 600 terabyte di dati, cioè l’equivalente di 50 anni di video! Queste informazioni arrivano in tempo reale a più di 180 Paesi, permettendo a circa 820 milioni di persone di seguire la Formula 1 in diretta. A rendere possibile tutto ciò ci sono circa 300 tecnici e ingegneri, che lavorano sia in pista che da remoto, e un’infrastruttura composta da server resistenti, computer con intelligenza artificiale e sistemi in grado di funzionare in ogni condizione, dal caldo torrido alla pioggia battente.

Il cuore di questo sistema è l’Event Technology Centre (ETC), una struttura mobile che viene montata ad ogni circuito. Dieci giorni prima della gara si parte da zero: in cinque giorni vengono costruiti i capannoni con monitor e computer, poi vengono stesi 58 chilometri di cavi in fibra ottica e installate telecamere e antenne. Tre giorni prima della partenza, tutto è già pronto per i test finali. Dopo il weekend, l’ETC viene smontato velocemente e spostato altrove.

Ma la vera regia non è in pista: si trova in Inghilterra vicino a Londra. Qui arrivano in meno di un quarto di secondo le immagini e i dati raccolti in giro per il mondo, dall’Australia al Brasile. È in questo centro che vengono montati i filmati, aggiunte le grafiche e gestiti i replay che vediamo in televisione. Grazie alle connessioni super veloci, i tecnici possono anche controllare a distanza le telecamere sulle monoposto, cambiando inquadratura in tempo reale senza alcun ritardo percepibile. L ’intelligenza artificiale sarà sempre più presente: presto potrà riconoscere automaticamente i momenti chiave delle gare, come sorpassi o incidenti, e segnalarli subito alla regia.

Come spesso succede la tecnologia che oggi rende magico lo spettacolo della Formula 1 potrebbe presto arrivare anche nella vita di tutti i giorni, dalla medicina alla realtà aumentata.

lunedì 22 settembre 2025

Chi prova l’auto elettrica non torna più indietro

Negli ultimi anni, l’auto elettrica è passata da curiosità tecnologica a scelta concreta per milioni di automobilisti in tutto il mondo. Se all’inizio poteva sembrare una scommessa o una moda passeggera, oggi chi prova un’auto elettrica difficilmente torna a guidare una tradizionale vettura a benzina o diesel. Ma perché succede questo?

La risposta è semplice: l’esperienza di guida è radicalmente diversa – e in meglio. Le auto elettriche offrono un’accelerazione fluida e immediata, priva di vibrazioni e rumori. Non c’è bisogno di cambiare marcia e il silenzio nell’abitacolo diventa un elemento di comfort a cui ci si abitua subito. Per chi passa molte ore al volante, tutto questo fa una grande differenza.

Anche la manutenzione è ridotta al minimo. Senza motore a combustione, frizione o cambio tradizionale, ci sono molte meno parti soggette a usura. Basta con i cambi d’olio, le cinghie da sostituire o le emissioni da controllare. Tutto si traduce in un risparmio di tempo e denaro.

E poi c’è la questione ambientale. Sempre più persone scelgono l’elettrico per una maggiore consapevolezza ecologica. Guidare un’auto a zero emissioni dirette significa contribuire concretamente alla riduzione dell’inquinamento urbano e delle emissioni di CO₂. In molte città, i veicoli elettrici possono inoltre accedere liberamente alle ZTL, parcheggiare gratuitamente o usufruire di incentivi fiscali.

Naturalmente, ci sono ancora alcune barriere: l’autonomia delle batterie, sebbene in costante aumento, può rappresentare una preoccupazione per chi percorre molti chilometri. Anche l’infrastruttura di ricarica è ancora in fase di sviluppo, soprattutto in alcune zone. Ma questi ostacoli stanno rapidamente diminuendo grazie agli investimenti pubblici e privati nel settore.

Chi ha già fatto il “salto” raramente si pente. Anzi, molti automobilisti descrivono l’auto elettrica come una vera e propria rivelazione. Non è solo un cambiamento tecnico, ma un cambio di mentalità. Si guida diversamente, si vive l’auto in modo nuovo.

L’auto elettrica non è più una novità: è il futuro, e per molti è già il presente.

lunedì 15 settembre 2025

DeepSeek, l’Intelligenza Artificiale cinese che sfida i giganti tech USA

DeepSeek è un'intelligenza artificiale creata in Cina che ha fatto molto parlare di sé. Simile a ChatGPT, è stata sviluppata con un sistema open source e ha costi molto più bassi, il che l’ha resa subito popolare in tutto il mondo. In pochi mesi, è diventata una delle app più scaricate grazie alla sua facilità d’uso e ai prezzi competitivi: mentre ChatGPT, nella versione più avanzata, richiede abbonamenti costosi, DeepSeek offre molte funzioni gratuitamente o a prezzi molto bassi. Questo ha messo in difficoltà aziende come OpenAI e Microsoft, che l’hanno accusata di plagio, sostenendo che abbia copiato il loro software senza permesso.

A gennaio 2025, le tensioni sono aumentate e DeepSeek è stata rimossa dagli store digitali italiani. Inoltre, negli Stati Uniti è stata vietata sui dispositivi governativi per motivi di sicurezza, perché si teme che il governo cinese possa usarla per raccogliere informazioni. Un altro aspetto discusso riguarda la censura: DeepSeek evita argomenti politici delicati e non graditi al governo cinese. Questo ha creato polemiche tra gli utenti occidentali.

Nonostante le critiche, DeepSeek continua a far parlare di sé e potrebbe cambiare il corso

dell’intelligenza artificiale, sfidando il dominio delle grandi aziende americane come OpenAI. Tuttavia, il suo futuro rimane incerto a causa delle accuse di plagio e delle tensioni tra Cina e Stati Uniti.

lunedì 8 settembre 2025

Non bisogna voler essere chi non si è

Nell'adolescenza è normale guardarsi intorno e confrontarsi con gli altri. Capita spesso di pensare che i compagni siano più bravi, più belli, più simpatici o più fortunati di noi. Una ragazza può provare invidia per un’amica che vince gare sportive e colleziona medaglie, un ragazzo può ammirare il compagno che prende sempre voti altissimi o che è molto popolare. È umano: quando vediamo negli altri delle qualità che ci mancano, ci viene spontaneo desiderare di essere come loro. Ma la verità è che inseguire di continuo un modello che non ci appartiene non ci rende più felici, anzi rischia di farci sentire sempre in difetto.

Il problema del confronto è che dimentichiamo una cosa fondamentale: ciascuno di noi è unico. Non esistono due persone identiche per carattere, esperienze, passioni e sogni. Questo significa che non ha senso misurare il nostro valore con il metro degli altri. Forse non saremo i migliori nello sport o in matematica, ma potremmo avere talento nella musica, nella scrittura, nel disegno, nella comunicazione o semplicemente nel far stare bene le persone intorno a noi. Spesso queste qualità non sono immediatamente visibili o riconosciute da un premio, ma hanno un valore enorme nella vita reale.

Imparare a non voler essere qualcun altro è un passo fondamentale per crescere. Non significa smettere di migliorarsi, al contrario: significa imparare a riconoscere e coltivare i propri punti di forza, invece di inseguire continuamente traguardi che appartengono a un’altra persona. L’invidia, se non la lasciamo dominare, può trasformarsi in motivazione: posso ammirare chi corre veloce, ma piuttosto che sentirmi inferiore, posso chiedermi cosa mi piacerebbe davvero allenare in me stesso.

Anche i social network complicano le cose: vediamo solo i momenti migliori della vita degli altri e ci sembra che siano sempre felici, belli e vincenti. Ma quella non è la realtà completa, è solo una vetrina. Tutti hanno fragilità, paure e giornate storte, anche se non le mostrano. Ricordarselo aiuta a ridurre la pressione del confronto.

In fondo, ciò che rende davvero speciale una persona è la sua autenticità. Non saremo mai la copia perfetta di qualcun altro, ma possiamo diventare la versione migliore di noi stessi. Essere fedeli a ciò che siamo, coltivare le nostre passioni e imparare a valorizzarci è il modo migliore per vivere una vita piena e soddisfacente. E, alla fine, è molto più bello che rincorrere un ideale che non ci appartiene.

Impariamo da Jannik Sinner che, a dispetto dei suoi soli 24 anni, a volte sfodera una saggezza incredibile. Dopo la sconfitta di New York ha dichiarato: "Non sarò mai come Carlos, ma posso provare ad essere una versione migliore di me stesso". 

Agenda ONU 2030 - A che punto siamo?


L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite è un grande piano globale che punta a rendere il mondo più giusto, sostenibile e vivibile per tutti entro il 2030. Comprende 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), che spaziano dall’eliminazione della povertà alla lotta ai cambiamenti climatici, dal diritto all’istruzione al lavoro dignitoso. Ma a che punto siamo oggi?

I dati più recenti dicono che la strada è in salita: solo il 17% dei target è davvero “sulla buona strada” per essere raggiunto, mentre la maggior parte avanza troppo lentamente e diversi obiettivi stanno addirittura peggiorando. Questo significa che il mondo, al momento, è in ritardo rispetto agli impegni presi.

Tra gli obiettivi più critici troviamo:

SDG 2 – Fame zero: dopo la pandemia, il numero di persone che soffrono la fame è tornato a crescere, arrivando a oltre 700 milioni. Anche la malnutrizione infantile rimane un problema enorme.

SDG 4 – Istruzione di qualità: sebbene più ragazzi riescano a completare la scuola, il livello di competenze in lettura e matematica sta calando, complice la pandemia ma anche problemi strutturali, come la mancanza di insegnanti qualificati in molte aree del mondo.

SDG 8 – Lavoro dignitoso e crescita economica: il mercato del lavoro è fragile, la disoccupazione giovanile resta alta e milioni di persone lavorano ancora in condizioni precarie o informali.

SDG 12 – Consumo e produzione responsabili: i Paesi ricchi sprecano enormi quantità di cibo ed energia, contribuendo a inquinamento, perdita di biodiversità e cambiamenti climatici.

Non mancano però anche notizie positive. Alcuni progressi significativi ci sono stati: la mortalità infantile è diminuita, sempre più persone hanno accesso ad acqua pulita e servizi igienici, le energie rinnovabili stanno crescendo e in diversi Paesi gli investimenti in ricerca e innovazione stanno aumentando.

Guardando alle classifiche internazionali, i Paesi del Nord Europa – come Finlandia, Svezia e Danimarca – sono tra i più avanzati nel raggiungere gli SDG, grazie a sistemi sociali solidi, politiche ambientali coraggiose e un alto livello di benessere diffuso. Al contrario, molti Paesi dell’Africa sub-sahariana, ma anche Stati segnati da guerre e crisi come Afghanistan e Yemen, faticano a garantire diritti fondamentali come il cibo, la salute e l’istruzione.

Il quadro generale, dunque, è fatto di luci e ombre. Se da un lato ci sono esempi positivi e progressi incoraggianti, dall’altro il tempo stringe e il 2030 si avvicina. Per recuperare il ritardo serviranno scelte coraggiose: trasformare i sistemi alimentari ed energetici, ridurre gli sprechi, investire in istruzione e lavoro dignitoso, e rafforzare la cooperazione tra Paesi.

L’Agenda 2030 non è solo un obiettivo dei governi, ma riguarda tutti noi: ciascuno, nel proprio piccolo, può contribuire a un futuro più sostenibile e giusto.

lunedì 1 settembre 2025

Consapevolezza: la chiave per costruire il tuo futuro

Quando si è giovani il mondo é ancora tutto da scoprire. Hai sogni, dubbi, paure, desideri. A volte ti senti invincibile, altre volte perso. È normale. Ma c’è una parola che può aiutarti a trovare la tua strada, a fare scelte più vere e a vivere con più forza e autenticità: consapevolezza.

Essere consapevoli significa sapere chi sei, riconoscere le tue emozioni, capire cosa ti fa stare bene e cosa no. È guardarti dentro senza paura, anche quando non ti piace tutto quello che vedi. Significa prendere coscienza dei tuoi punti di forza ma anche dei tuoi limiti, per poterli affrontare o trasformare.

E questo vale anche nello studio. Studiare con consapevolezza vuol dire capire perché lo fai: non solo per un voto, ma per costruire il tuo futuro. Significa scoprire quali materie ti appassionano davvero, ma anche impegnarti in quelle più difficili, perché sai che ogni sforzo ti fa crescere. Vuol dire riconoscere quando hai bisogno di aiuto, organizzare meglio il tuo tempo, imparare dai tuoi errori senza giudicarti.

Viviamo in un mondo pieno di distrazioni, in cui è facile seguire la massa, copiare, reagire di impulso, o cercare approvazione a ogni costo. Ma chi è consapevole sceglie con la propria testa. Sa dire sì, ma anche no. Sa quando è il momento di parlare e quando è il momento di ascoltare. Essere consapevoli ti rende più libero. Ti aiuta a capire cosa vuoi davvero, e ti dà la forza per raggiungerlo.

Fermati un momento, chiediti: chi sono davvero? Dove voglio andare? È da lì che comincia tutto.

lunedì 25 agosto 2025

Attendere

Viviamo in un mondo dove tutto accade velocemente. Basta un clic su WhatsApp per ottenere risposte immediate, un tap per guardare una serie TV senza pause, e pochi secondi per comprare qualsiasi cosa online. Ma cosa stiamo perdendo? L'arte di aspettare.

Aspettare non è solo "perdere tempo", è una parte fondamentale della vita. Pensateci: crescere, studiare, imparare a suonare uno strumento, innamorarsi o persino guarire richiedono tempo. Eppure, oggi l'attesa è spesso vista come un fastidio, un momento da riempire compulsivamente guardando il telefono.

Imparare a gestire l’attesa ci aiuta a vivere meglio. Non si tratta solo di fermarsi, ma di trasformare quel momento in un’opportunità per pensare, creare o semplicemente respirare. Imparare ad aspettare significa riscoprire un ritmo più umano, lontano dalla frenesia digitale, il tempo “lungo” necessario per fare le cose per bene, non di corsa.

Ragazzi, provateci: spegnete il telefono, lasciatevi il tempo di riflettere o di osservare ciò che vi circonda. L’attesa non è un ostacolo, ma un’occasione per crescere e vivere più pienamente. Magari non sarà facile all'inizio, ma potrebbe diventare una delle scelte più importanti per il vostro futuro.

Magari riscoprendo la lentezza necessaria per leggere un bel libro.

lunedì 18 agosto 2025

Auto a guida autonoma: record di velocità

Il team PoliMOVE del Politecnico di Milano ha recentemente stabilito un nuovo record mondiale per veicoli a guida autonoma, raggiungendo una velocità di 318 km/h con una Maserati MC20 modificata. 

Questo risultato è stato ottenuto presso il Kennedy Space Center in Florida, utilizzando la pista di atterraggio degli Space Shuttle, lunga 4,6 km. La Maserati MC20 utilizzata per il record è stata equipaggiata con sensori avanzati, tra cui telecamere e tecnologia Lidar, per garantire una navigazione autonoma precisa anche a velocità elevate.  Questo traguardo rappresenta un passo significativo nello sviluppo delle tecnologie di guida autonoma, dimostrando la capacità dei veicoli senza conducente di operare in sicurezza a velocità elevate. Le competenze acquisite attraverso queste sperimentazioni potranno contribuire a migliorare la sicurezza e l'efficienza dei sistemi di mobilità autonoma nelle applicazioni quotidiane. 

La Maserati MC20  era completamente autonoma e non aveva un pilota a bordo durante il test. Il veicolo è stato controllato esclusivamente dagli algoritmi di guida autonoma sviluppati dal team, utilizzando sensori avanzati come Lidar, telecamere e GPS ad alta precisione. Questa impresa dimostra il livello avanzato della tecnologia di guida autonoma, capace di gestire la velocità estrema senza intervento umano.

Il Politecnico di Milano, attraverso il team PoliMOVE, continua a essere all'avanguardia nella ricerca sulla guida autonoma, contribuendo in modo significativo all'evoluzione del settore automobilistico e della mobilità intelligente.

lunedì 11 agosto 2025

Nvidia: il colosso dei chip per l'IA

L'Intelligenza Artificiale sta trasformando società e tecnologia e questi cambiamenti probabilmente sono altrettanto significativi per il mondo quanto le rivoluzioni agricole e industriali avvenute in passato, le quali ebbero entrambe drastiche conseguenze economiche per il mondo civilizzato dell'epoca. Sebbene i tempi di questi cambiamenti siano imprevedibili, una cosa è chiara: la corsa dell'intelligenza artificiale non è possibile senza progressi e senza una “fornitura stabile” di hardware e software.

Tra le società al centro dello sviluppo dell’intelligenza artificiale Nvidia spicca principalmente per la crescita della domanda di applicazioni di intelligenza artificiale (AI) iniziata alla fine del 2022 e i giganti dell’industria digitale fanno la fila per ottenere le unità di elaborazione grafica (GPU).

I client di Nvidia sono Meta (Facebook, Istagram, Whatsapp), Amazon e Microsoft, Google e altri produttori di chip “storici” del calibro di Intel e AMD (“concittadine” di Nvidia, ossia aventi sede a Santa Clara in California) si “accontentano delle briciole” , dato che Nvidia controlla ben il 95% del mercato dei chip per l 'Intelligenza Artificiale . Di conseguenza, i guadagni e le entrate di Nvidia si stanno moltiplicando rapidamente. 

Il prezzo elevato e la sua scarsa disponibilità sul mercato dei chip sta spingendo alcuni dei principali clienti di Nvidia ad avviare la progettazione e la produzione in proprio di chip per Intelligenza Artificiale per ridurre la loro dipendenza dal colosso.

Le GPU hanno i loro limiti, in particolare quando si tratta della velocità con cui i dati possono essere trasferiti su e fuori di esse. I modelli di intelligenza artificiale moderna funzionano su un gran numero di GPU e chip di memoria interconnessi. Spostare rapidamente i dati tra di loro è fondamentale per le prestazioni. Alcune startup stanno cercando di superare questi limiti progettando GPU di grandi dimensioni in modo tutto il lavoro possa essere svolto tutto al loro interno migliorando di centinaia di volte la velocità e dimezzando i consumi di energia.

Ma se è vero che i “grandi clienti” di Nvidia stanno cercando di ridurre la loro dipendenza dal colosso californiano, resta il fatto che si prevede che continueranno ad acquistare le sue potenti GPU. E questo non è una sorpresa, poiché le prossime GPU di Nvidia saranno molto più potenti di quelle attuali. 



sabato 9 agosto 2025

Tsutomu Yamaguchi: l’uomo che sopravvisse a due bombe atomiche

Può sembrare incredibile, ma esiste una persona che è riuscita a sopravvivere a due bombe atomiche: quella di Hiroshima e quella di Nagasaki, sganciate dagli Stati Uniti nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di Tsutomu Yamaguchi, un ingegnere giapponese nato nel 1916 e morto nel 2010 all'età di 93 anni.

Il 6 agosto 1945, Yamaguchi si trovava a Hiroshima per lavoro. Alle 8:14 del mattino, la città fu colpita dalla prima bomba atomica mai usata contro dei civili, chiamata "Little Boy". Al momento dell’esplosione, si trovava a circa 3 chilometri dal punto d’impatto. L’onda d’urto lo scaraventò fuori dal tram su cui viaggiava, causandogli gravi ustioni e ferite, ma ebbe la prontezza di rifugiarsi in un canale, riuscendo a salvarsi.

Il giorno dopo, ferito ma vivo, decise di tornare a casa, ignaro che la sua città natale fosse Nagasaki. Il 9 agosto, si trovava in ufficio a raccontare al suo capo la tragedia di Hiroshima. In quel momento, alle 11:02, un’altra bomba atomica – questa volta chiamata "Fat Man" – colpì proprio Nagasaki. Ancora una volta, Yamaguchi era a circa 3 km dall'esplosione e, ancora una volta, sopravvisse.

Dopo la guerra, tornò a lavorare come ingegnere e per anni non raccontò quasi nulla della sua incredibile esperienza. Solo nel 2005, dopo la morte di suo figlio a causa di un cancro, decise di condividere la sua storia per lanciare un messaggio di pace e spiegare quanto siano devastanti le armi nucleari.

Yamaguchi è l’unico ad essere stato ufficialmente riconosciuto dal governo giapponese come sopravvissuto a entrambe le esplosioni. In Giappone, i sopravvissuti alle bombe atomiche sono chiamati hibakusha, mentre chi è sopravvissuto a entrambe viene definito nijū hibakusha.

La sua vita è diventata un simbolo della resistenza umana, ma anche un monito contro l’uso delle armi nucleari. Come disse lui stesso: “Pensavo che la nuvola a fungo mi avesse seguito da Hiroshima. Non capisco perché il mondo continui a costruire queste armi.”

martedì 5 agosto 2025

Hiroshima, 80 anni dopo: ricordare per non ripetere

Il 6 agosto 1945, alle 8:15 del mattino, una bomba atomica chiamata Little Boy fu sganciata su Hiroshima. In pochi secondi, una città viva fu trasformata in un deserto di fuoco. Morirono circa 140.000 persone entro la fine dell’anno. Oggi, 80 anni dopo, ricordiamo non solo la tragedia, ma anche le storie di chi è sopravvissuto.

Uno dei volti di Hiroshima è Setsuko Thurlow, che aveva solo 13 anni. Era in classe quando vide un lampo accecante. L’edificio crollò su di lei e rimase sepolta tra le macerie. Qualcuno riuscì a tirarla fuori, e Setsuko vide “una processione di fantasmi”: persone coperte di ustioni, con la pelle che pendeva come stracci. Da allora, ha dedicato la vita a raccontare cosa ha vissuto, per impedire che succeda di nuovo.

Un altro sopravvissuto, Shigeaki Mori, era un bambino di otto anni. Rimase ferito, ma sopravvisse. Crescendo, scoprì che molti soldati americani prigionieri di guerra erano morti anche loro a Hiroshima. Ha passato decenni a cercare le famiglie di quei ragazzi per dire loro: “Anche loro sono vittime”.

Queste storie ci parlano di coraggio, ma anche di memoria. Hiroshima oggi è una città di pace, piena di studenti, fiori e cicatrici invisibili. Ogni anno, il 6 agosto, migliaia di lanterne vengono lasciate galleggiare sul fiume per ricordare le anime perdute.

Perché parlarne oggi, a 80 anni di distanza? Perché viviamo in un mondo dove le armi nucleari esistono ancora. Ricordare Hiroshima non è solo storia: è un impegno. È scegliere il dialogo invece della violenza. È dare valore alla vita.

Setsuko una volta ha detto:

"Come sopravvissuta, ho il dovere morale di raccontare. Ma anche voi, giovani, avete il potere di cambiare il futuro."

Non dimentichiamo. E non smettiamo di costruire la pace.

lunedì 4 agosto 2025

L'impronta ecologica della produzione di microchip

Siamo soliti pensare che la transizione ecologica sia favorita dalla digitalizzazione ma l'impronta ecologica della produzione di microchip è significativa e complessa, coinvolgendo sia un consumo elevato di risorse naturali, come l'acqua e l'energia, sia l'emissione di sostanze chimiche e rifiuti pericolosi.

La produzione di microchip richiede grandi quantità di acqua ultra pura, necessaria per la pulizia e il raffreddamento durante i vari processi di fabbricazione. Una singola fabbrica di semiconduttori consuma milioni di litri d'acqua al giorno. Ad esempio, il Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), il più grande produttore mondiale di chip, consuma circa 150.000 tonnellate di acqua al giorno. Questo dato diventa particolarmente critico in regioni soggette a siccità o scarsità idrica, come Taiwan, che sta già affrontando problemi legati alla gestione delle sue risorse idriche.

Taiwan, che rappresenta circa il 60% della produzione globale di semiconduttori, sta cercando soluzioni per migliorare l'efficienza nell'uso dell'acqua e ha investito in sistemi di riciclo. Tuttavia, l’isola è altamente vulnerabile a periodi di siccità, che potrebbero mettere a rischio la produzione. Le risorse idriche non sono infinite.
La domanda di microchip è in crescita esponenziale e comporta una pressione crescente sull'industria per incrementare la produzione e, di conseguenza, sui sistemi ambientali coinvolti.





lunedì 28 luglio 2025

Trojena, città sportiva del futuro

Quando nel 2029 l’Arabia Saudita ospiterà i giochi invernali asiatici, gli atleti rimarranno a bocca aperta. L’Arabia saudita, nel nome della ‘rinascita’ portata avanti dal principe Bin Salman, porterà la neve nel deserto. È il progetto di Trojena per il quale i lavori per la costruzione proseguono senza costa. Di cosa si tratta? Di una città vera e propria, con laghi, hotel, ed edifici futuristici, impianti sportivi tra cui, appunto, le piste da sci. Situata nel nord dell’Arabia Saudita, Trojena avrà le sue piste da sci tra 1.500 a 2.600 metri di altitudine, per un totale di 36km di percorsi. L’intera area è grande quasi 60 chilometri quadrati. La zona, secondo quanto scritto nel progetto, ha temperature invernali che arrivano sotto zero.

È uno dei pezzi del progetto Neom, una città del futuro.  Trojena sarà la ‘zona montuosa’ di Neom, città alimentata a energia rinnovabile. Del complesso faranno parte strutture idonee per ben 100 attività sportive, non solo per la neve, ma anche acquatiche e di mountain bike. 

Anche un’azienda italiana, la Webuild sta partecipa al progetto. Ha firmato un contratto da 4,7 miliardi di dollari che prevede la realizzazione del un lago lungo 2,7 km, e l’edificio “The Bow”, un’eccellenza dell’architettura mondiale. Tre dighe alimenteranno il lago che finisce a strapiombo sulla vallata sottostante dove ci sarà un hotel di lusso, un’area residenziale e varie strutture ricettive. 

Guarda il video








lunedì 21 luglio 2025

Automobilisti contro Ciclisti


Le piste ciclabili rappresentano uno degli argomenti su cui facilmente ci si scontra in modo violento nei dibattiti pubblici fra sostenitori della bicicletta e automobilisti. Sotto la superficie di una discussione apparentemente tecnica si nascondono aspetti profondi della società come i cambiamenti climatici, la nostra identità, le nostre abitudini più radicate. Le ciclabili dividono perché rappresentano un cambiamento che molte persone faticano ad accettare. Usare meno l’auto riduce l’inquinamento, ma la pubblicità spinge a considerare le auto un simbolo di successo, rendendo difficile adottare alternative come la bici.

Le persone tendono a resistere ai cambiamenti, anche quando sono necessari. Questa resistenza si manifesta in conflitti tra ciclisti e automobilisti, distratti dalle vere cause, come la dipendenza dall’auto. In Italia ci sono quasi 40 milioni di auto, e gli incidenti stradali causano ogni anno migliaia di morti e feriti. Tuttavia, il dibattito spesso minimizza le responsabilità degli automobilisti e punta il dito contro i ciclisti.

Un altro problema è il linguaggio: espressioni come “auto investe ciclista” deresponsabilizzano chi guida, mentre la narrazione mediatica tende a colpevolizzare i ciclisti. Per cambiare, servono non solo piste ciclabili, ma una nuova mentalità che metta al centro le persone, non i mezzi che usano. Londra, per esempio, ha iniziato a parlare di “persone che usano la bici” o “persone che guidano”, evitando di creare conflitti tra categorie.

Le abitudini possono cambiare, come dimostra Amsterdam, che negli anni ’70 era piena di traffico, ma oggi è una città a misura di bicicletta. Il cambiamento richiede nuove infrastrutture, scelte politiche coraggiose e un diverso modo di comunicare, per costruire città più vivibili e sostenibili per tutti.

lunedì 14 luglio 2025

Le emissioni di CO₂ continuano a crescere

Purtroppo le emissioni di CO₂ globali continuano a crescere. Il ritmo di aumento varia in base a fattori economici, politici e tecnologici. Nonostante gli sforzi di molti paesi per ridurre le emissioni attraverso accordi internazionali come l'Accordo di Parigi (nel 2015) e l'adozione di energie rinnovabili, le emissioni globali di anidride carbonica sono rimaste elevate per vari motivi.

L'economia mondiale continua a crescere, specialmente nei paesi in via di sviluppo e quindi aumenta la domanda di energia spesso soddisfatta con combustibili fossili, che sono ancora largamente utilizzati. Nonostante la crescita delle energie rinnovabili, il carbone, il petrolio e il gas naturale rappresentano ancora la maggior parte dell'approvvigionamento energetico globale. Gli impegni dei paesi per ridurre le emissioni non sono sempre rispettati o risultano insufficienti per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C o 2°C rispetto ai livelli preindustriali come stabilito a Parigi. Inoltre l'espansione urbana e il miglioramento delle condizioni economiche in molte aree del mondo aumentano il consumo di energia.

Dati recenti indicano che le emissioni globali di CO₂ provenienti dalla combustione di combustibili fossili sono cresciute anche nel 2023, sebbene con un ritmo più lento rispetto al passato, grazie alla maggiore diffusione di energie rinnovabili e all'efficienza energetica specie nei paesi più sviluppati.

E’ necessario continuare a sviluppare le energie rinnovabili: solare, eolico, idroelettrico e nucleare possono sostituire i combustibili fossili. Migliorare l’efficienza energetica e riducendo il consumo energetico nei settori industriali, dei trasporti e delle abitazioni. Provvedere al rimboschimento, gli alberi catturano CO₂ dall'atmosfera, sviluppare tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio.


lunedì 7 luglio 2025

L'orbita geostazionaria

L'orbita geostazionaria è un'orbita circolare attorno alla Terra in cui un satellite orbita a una velocità tale da restare sempre sopra la stessa posizione della superficie terrestre. In altre parole, il satellite sembra essere "fermo" rispetto a un punto specifico sulla Terra.

Questa orbita si trova a una distanza di circa 35.786 chilometri dalla superficie terrestre, lungo l'equatore. A questa altitudine, la velocità di rotazione del satellite è tale da farlo muovere in sincronia con la rotazione della Terra, completando un'orbita in 24 ore, esattamente come la Terra impiega per compiere una rotazione completa sul suo asse.

L'orbita geostazionaria è utilizzata principalmente per le comunicazioni satellitari, la televisione via satellite, la meteorologia e altre applicazioni che richiedono che un satellite sia in una posizione fissa rispetto alla Terra. Poiché il satellite mantiene la stessa posizione nel cielo, le antenne a terra possono essere orientate verso un punto fisso, semplificando le operazioni di comunicazione.

Dato il valore strategico e commerciale, fin dal 1976 con la Dichiarazione di Bogotà, otto stati a cavallo dell’equatore, Brasile, Equador, Colombi, Indonesia, ecc., rivendicano la proprietà di tale orbita ma fino ad oggi, nessun altro stato ha riconosciuto tale supremazia. Anche perché un altro trattato del 1967 dichiara patrimonio dell'umanità tutte le risorse poste nello spazio.

Ad oggi in satelliti in orbita geostazionaria sono circa 900.



lunedì 30 giugno 2025

Casa e Natura

A Torino , nel cuore della città, c’è un condominio strutturato come una vera e propria “casa bosco“. Non è l’unico progetto recente che vede uniti architettura e natura: l’esempio più famoso di questo genere di esperimenti urbani è il Bosco Verticale di Milano.

Le città in estate creano le cosiddette “isole di calore”: l’aumento vertiginoso della temperatura all’interno dell’area urbana è dovuto al fatto che i materiali tradizionali da costruzione (cemento, pietra, murature, superficie asfaltate) sono dei grandi accumulatori di calore. Contrastare questa tendenza in realtà non è molto difficile: è sufficiente aumentare le superfici verdi, non asfaltate ma soprattutto piantare molti alberi. Perché non lo facciamo volentieri? Principalmente perché occorre spazio, e nelle città non ce n’è mai a sufficienza e poi perché il verde necessita di manutenzione, di cura. Ma di sicuro ne vale veramente la pena.

Nel capoluogo piemontese si trova questo delicatissimo esempio di riforestazione urbana, ultimato nel 2012, oggi dà alloggio a diverse famiglie, tutte distribuite tra cinque rigogliosi piani e l’architetto Luciano Pia, ha realizzato il progetto con il fine di sensibilizzare le persone alle tematiche oggi importanti come la deforestazione e la salvaguardia del patrimonio naturale e inoltre riavvicinare gli abitanti ad un rapporto con la natura più intimo.


lunedì 23 giugno 2025

Cybersicurezza e IA

Gli hacker sfruttano le recenti tecnologie di IA per ampliare il raggio d'azione dei loro attacchi: le previsioni degli esperti parlano di malware adattivi e campagne di phishing altamente personalizzate, capaci di ingannare anche i navigatori più attenti. I ransomware, che bloccano i sistemi richiedendo riscatti per il ripristino, diventeranno più sofisticati e automatizzati.

L'uso improprio di strumenti di intelligenza artificiale, come ChatGpt potrebbe inoltre portare all'esposizione accidentale di dati sensibili, mentre l'informatica quantistica minaccerà i metodi di crittografia attuali, considerati i migliori per proteggere informazioni e sistemi. Non mancheranno le problematiche ai social media, dove i contenuti fasulli generati dall'IA, i deepfake, saranno sfruttati per attacchi mirati e truffe. I criminali aumenteranno la diffusione di foto, video e file audio artefatti per alzare il livello delle loro attività.

Per contrastare queste minacce anche i centri operativi di cybersicurezza useranno strumenti di IA per migliorare l'efficienza del rilevamento e delle risposte agli attacchi.

martedì 17 giugno 2025

17 Giugno – Giornata Mondiale per la Lotta alla Desertificazione e alla Siccità

Forse non è una delle giornate mondiali più famose, ma dovrebbe esserlo. Oggi parliamo di qualcosa che ci tocca molto più da vicino di quanto pensiamo: la terra che si secca, si impoverisce e smette di darci ciò di cui abbiamo bisogno per vivere. Parliamo di desertificazione e siccità.

Desertificazione non significa che all’improvviso si forma un deserto come il Sahara, ma che un terreno fertile, dove prima crescevano piante, c’erano raccolti o pascoli, si trasforma lentamente in un suolo arido, polveroso, inutilizzabile. A volte succede per colpa dell’uomo, per l’uso eccessivo del suolo, per la deforestazione o per l’agricoltura intensiva. Altre volte è il clima che cambia, che diventa più estremo, con piogge sempre più rare e violente.

E poi c’è la siccità: quando manca l’acqua per troppo tempo. Non solo nei paesi lontani, ma anche in Italia. Negli ultimi anni abbiamo visto fiumi prosciugarsi, campi bruciati dal sole e comuni costretti a razionare l’acqua. Questo non è futuro, è presente.

Ma perché dovrebbe interessare proprio noi? Perché il suolo è una delle risorse più preziose che abbiamo. È da lì che arriva il nostro cibo, è lì che crescono le piante, che vivono milioni di microrganismi essenziali per l’equilibrio della natura. Se lo perdiamo, perdiamo molto di più di un paesaggio verde: perdiamo sicurezza, salute, possibilità.

Il tema di quest’anno è “Uniti per la terra”, e ha un significato importante. Nessuno può risolvere da solo un problema così grande, ma tutti possiamo fare qualcosa. Anche solo informarsi, parlarne, cambiare qualche abitudine: ridurre gli sprechi, scegliere prodotti locali, difendere gli alberi e il verde intorno a noi. Sono piccoli gesti, ma se fatti da tanti, possono davvero fare la differenza.

Questa giornata non è solo un’occasione per “ricordare” un problema. È un invito a svegliarsi, a guardare il mondo con occhi più attenti e a capire che anche la nostra voce, le nostre scelte, contano. La terra non è infinita, ma possiamo ancora prendercene cura.

lunedì 16 giugno 2025

Il progetto Erasmus


Il progetto Erasmus, è un programma dell'Unione Europea nato nel 1987 con l'obiettivo di promuovere la mobilità, lo scambio culturale e la cooperazione nell'istruzione per gli studenti universitari. Il programma è pensato per favorire gli scambi internazionali e permette agli studenti di trascorrere un periodo di studio in un'università straniera che varia da tre a dodici mesi sostenendo esami riconosciuti anche dall’università del proprio Paese. Un altro obiettivo importante è promuovere l'inclusione sociale, offrendo opportunità anche a chi ha minori possibilità economiche o disabilità. L'Erasmus non solo consente di sviluppare competenze linguistiche e confrontarsi con culture diverse, ma aiuta anche a creare un profilo personale e professionale internazionale.

Gli studenti interessati possono candidarsi attraverso la propria università, che seleziona i partecipanti in base al merito accademico. Durante il periodo all'estero, i partecipanti ricevono una borsa di studio per coprire parzialmente le spese di viaggio e soggiorno. Esiste inoltre la possibilità di svolgere tirocini in aziende o organizzazioni, un’opportunità preziosa per acquisire esperienza lavorativa.

Il progetto Erasmus è stato ideato e proposto da Sofia Corradi, spesso soprannominata "Mamma Erasmus" che negli anni '60 , rientrata dagli studi all’estero, si rese conto delle difficoltà di riconoscimento da parte dell’università. Questa esperienza la spinse a promuovere l'idea di un sistema che permettesse agli studenti di studiare all'estero senza ostacoli burocratici.

Nel 2014, il progetto Erasmus è stato ampliato e trasformato in Erasmus+, includendo una gamma ancora più ampia di attività, anche per le scuole di grado inferiore all’università e per gli insegnanti.

Erasmus è considerato uno dei programmi europei più riusciti e amati, avendo coinvolto milioni di giovani e creato forti legami personali e professionali in tutta Europa. Si parla spesso delle "generazioni Erasmus", accomunate da una mentalità aperta e un forte senso di appartenenza all’Europa.