Negli ultimi anni, la questione è diventata particolarmente critica negli Stati Uniti occidentali, dove la siccità ha acceso il dibattito sull’uso dell’acqua da parte dei data center. Nel 2021, il centro elaborazione dati di Google a The Dalles, in Oregon, è finito sotto i riflettori per aver assorbito oltre un quarto del consumo idrico della città. Altri casi simili si sono verificati in Arizona e Nevada, portando alcune amministrazioni locali a imporre regolamenti più stringenti.
Il raffreddamento dei server è fondamentale per il loro funzionamento, e l'acqua è il mezzo più efficiente per dissipare il calore. Tuttavia, non sempre efficienza idrica ed efficienza energetica vanno di pari passo: la scelta della tecnologia più adatta dipende da numerosi fattori, tra cui il clima locale. Nel 2021, i data center di Google negli USA hanno consumato circa 16 miliardi di litri d’acqua, una quantità paragonabile a quella necessaria per irrigare 29 campi da golf nel sud-ovest del paese.
L’aumento della domanda di potenza di calcolo, accelerato dall’intelligenza artificiale, renderà il problema ancora più pressante. Per affrontarlo, molte aziende si stanno impegnando a diventare "water positive", ovvero a reintegrare in falda tanta acqua quanta ne consumano. Microsoft e Google puntano a raggiungere questo obiettivo entro il 2030. Tuttavia, secondo gli esperti, il vero nodo resta la trasparenza sull’intero ciclo di vita dei data center, che ancora oggi manca.
L’unica soluzione sembra essere l’efficienza su larga scala e la distribuzione strategica delle infrastrutture in aree con minore stress idrico.
Nessun commento:
Posta un commento