Non si vede l’alba da almeno una settimana. Ogni tanto si scorge una sfera incandescente che affonda in un abisso di polvere. È il sole. Il sole di Delhi che soffoca nel peggior smog degli ultimi 20 anni, a livello di allarme «severo»: 1800 scuole pubbliche chiuse per tre giorni, costruzioni e abbattimenti edilizi interrotti per 5 giorni, proibiti i generatori a diesel per 10 giorni, sospesi tutti gli incontri sportivi.
C’è chi si non riesce a dormire perché gli bruciano i polmoni anche dentro stanze con l’aria condizionata, chi trova smog nei corridoi di alberghi e palazzi.
Chi può permetterselo scappa dalla città. Auto e furgoncini carichi di valigie, alla ricerca di una boccata d’aria pulita dopo giorni a tossire dentro le mascherine anti-smog. Molti decidono di andarsene per sempre da Delhi, non riuscendo più a convivere con malattie polmonari, malesseri e insonnia. Fuga da quella Delhi che doveva essere, sì, una seconda Pechino, ma che per il momento dai cinesi ha ereditato solo l’inquinamento record, che ha fatto anche chiudere la centrale a carbone di Badpur.
Parliamo di un livello di polveri salito 15 volte oltre il livello di sicurezza indiano e 70 volte oltre quello dell’Organizzazione mondiale della sanità: 900 microgrammi per metro cubo, visibilità sotto i 400 metri. Cifre paragonabili al Grande Smog di Londra del 1952 che causò la morte di 4 mila persone. E chi non può scappare, sfila per protesta con cartelli che dicono: «Non siamo Hiroshima».
Chi sono i colpevoli? Con il raffreddarsi dell’aria, l’inquinamento peggiora sempre e le cause sono, oltre al traffico, anche i molti fuochi a cielo aperto, le fabbriche e la cementificazione di una città, 18 milioni di abitanti, già sovrappopolata. Il tutto peggiorato dalla siccità. La causa principale sono gli agricoltori del Punjab, Stato confinante dove in questa stagione bruciano la parte del grano che rimane in terra dopo il taglio delle spighe. «Siamo in una camera a gas» ha detto Kejriwal, disperato. Dal satellite si vedono enormi nuvoloni neri che dalle campagne, spinte da venti provenienti da nord, portano veri e propri Godzilla di fumo alti chilometri fin sopra la metropoli.
E poi c’è stato il Diwali, la Festa delle Luci, forse la più importante celebrazione induista annuale, quando moltissime città si trasformano in un orgia di botti, deflagrazioni e fuochi d’artificio, seguiti da dense onde di caligine.
La soluzione migliore al momento pare sia il «cloud seeding», ovvero la pioggia artificiale. Si tratta di spruzzare sale o ioduro d’argento dai jet sulle nuvole per causare condensa e precipitazioni. Probabilità di successo: poche.
Naturalmente, essendo in India, non può mancare l’aspetto religioso e pop. Da giorni è in viaggio verso Delhi il «Baba Ambiente», guru che promette di bruciare legni sacrificali speciali (altro fumo?) per «scacciare il Demone dell’Inquinamento», acquietando così 330 milioni di divinità dell’induismo. Intanto la nuova moda sui social è quella degli «smogfies»: farsi selfie nello smog indossando mascherine che poco possono fare per ridurre l’avvelenamento da polveri sottili.