Sono le 8 e dieci del mattino dell'8 agosto 1956, sessant'anni fa. Una colonna di fumo nero si leva dalla miniera di carbone di Marcinelle, a Charleroi, in Belgio. A 975 metri di profondità si scatena l'inferno. Dei minatori scesi nel pozzo per il primo turno 262 muoiono, di cui 136 italiani.
Gli uomini si erano appena calati e l'estrazione era cominciata quando sulla piattaforma del piano 975, per un malinteso, la gabbia si avvia prima del tempo mentre un vagone mal inserito oltrepassa uno degli scomparti filando via verso la superficie, guadagnando velocità e danneggiando due cavi elettrici ad alta tensione. Un lampo e poi l'inferno: le fiamme avvolgono travi e strutture in legno e solo sette operai riescono a risalire in superficie accompagnati dalle prime volute di fumo nero e annunciando la tragedia che si sta compiendo.
I soccorritori tentano l'impossibile e sfidano la temperatura infernale causata dall'incendio. Il giorno dopo gli uomini sono ancora prigionieri: l'incendio non ha toccato chi lavora ai livelli più bassi della miniera e per giorni si spera di poterli trovare ancora in vita. Ma all'alba del 23 agosto i soccorritori tornano in superficie e le parole pronunciate da uno di loro suonano come un macigno: "Tutti morti". Li hanno trovati a 1.035 metri di profondità, avvinghiati gli uni agli altri in un'ultima disperata ricerca di aiuto e di solidarietà.
Quel giorno tante povere donne chiamano invano nomi italiani. Le grida, i pianti, le maledizioni formano un coro tragico finché le donne non hanno più voce e lacrime per piangere. Solo la pietà e l'intuito dell'amore permetteranno, in alcuni casi, di riconoscere i corpi arsi dalle fiamme. Bandiera nera per l'Italia e per i 406 orfani che sempre malediranno Marcinelle. E' in lutto il Paese dei poveri, degli emigranti, "merce di scambio" tra i governi italiano e belga che nel '46 firmarono l'accordo "minatori-carbone": l'Italia forniva manodopera (47mila uomini nel '56) in cambio di carbone.
Partiti da casa con un fiasco di Chianti e tre pacchetti di sigarette, sono inchiodati sotto un cielo perennemente grigio di fumi bassi, un lavoro che abbrutisce e a stento sfama, il grisou (pericoloso gas sotterraneo) in agguato, i mucchi di scorie come nere sentinelle, umide baracche come case con appiccicate le cartoline illustrate di paesi col campanile in mezzo e la campagna attorno, un bicchiere di vino cattivo e una voglia disperata del sole di casa. In Belgio si muore di grisou, di fuoco, di mancanza di sicurezza nei pozzi, ma si muore anche più lentamente, senza accorgersene, di carbone che entra nei polmoni, di birra, di fatica, di nebbia, di muffa, di nostalgia. Vite vendute per un sacco di carbone.
Ancora oggi purtroppo succedono gravi incidenti sul lavoro dovuti alla scarsa sicurezza. Spesso questi incidenti capitano agli immigrati (che accettano di fare lavori con sicurezza al minimo), proprio come è successo l'8 agosto 1956 agli italiani morti a Marcinelle, all'epoca "immigrati" in Belgio.
RispondiEliminaMarianna M.
anche io la penso come te marianna
RispondiEliminaluca i.
Anchio...
RispondiEliminaAlberto