Prima dell’Unità ci si esprimeva in dialetto e la nostra bella lingua era nota solo alla minoranza che studiava.
All’inizio dell’Ottocento, prima dell’Unità, gli italiani si conoscevano poco fra loro. E per di più, quando s’incontravano, facevano fatica a capirsi: perché non parlavano la stessa lingua. L’italiano esisteva già da un pezzo, naturalmente, ma a saperlo erano in pochi: soltanto quelli che erano andati a scuola, una piccola minoranza. La gran parte degli italiani parlava soltanto in dialetto. E questo era un problema: non solo perché un dialetto è diffuso soltanto in una zona molto piccola, e quindi costringe a parlare solo con poche persone, ma anche perché tutti i libri e i giornali erano stampati in italiano. Senza conoscerlo, non si poteva sapere nulla di quello che capitava lontano dal proprio paese o dalla propria città.
Le cose sono cominciate a cambiare soltanto dopo l’Unità, quando il nuovo Stato italiano ha deciso che tutti i bambini dovevano andare a scuola, almeno alle elementari. E alla diffusione dell’italiano ha contribuito molto l’esercito: tutti i maschi erano obbligati a fare il soldato per qualche anno, e per questo venivano mandati in caserme lontane dalle loro case. Così, più o meno a vent’anni, per un certo periodo vivevano mescolati ai loro coetanei che arrivavano da tutti gli angoli d’Italia. Per capirsi, erano costretti a imparare un po’ d’italiano. Ma perché le cose cambiassero davvero si è dovuto aspettare un secolo intero: fino a quando, dalla metà del Novecento, in tutte le case sono arrivate le radio e i televisori, che «parlavano» soltanto in italiano. Così alla fine questa è diventata la lingua di tutti.
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