Prima di tutto occorre tenere a mente il detto che afferma che
“ogni respiro su due che facciamo lo dobbiamo all'oceano” perché produce il 50%
dell'ossigeno del pianeta. L'oceano funge poi da "deposito di carbonio"
e assorbe il 30% delle emissioni di CO2 rilasciate nell'atmosfera. Ma regola
anche il clima attraverso le correnti, trasportando calore dai tropici verso i
poli, influenzando la temperatura delle regioni costiere e lo spostamento delle
masse d'aria. La corrente del Golfo, ad esempio, rende più mite il clima dei
paesi europei che si affacciano sull'Oceano Atlantico. È poi "casa"
di centinaia di migliaia di specie differenti e, non da ultimo, l'oceano nutre
miliardi di persone: circa il 17% delle proteine animali che ingeriamo viene
infatti dal mare, una media che in alcuni paesi arriva al 60%.
Ma le grandi distese di acqua salata sono oggi in crisi.
Sono minacciate dall'inquinamento, dal sovrasfruttamento delle risorse ittiche,
dalla plastica (si stima un peso complessivo di 2,3 milioni di tonnellate),
dall'eutrofizzazione (causata da eccessivi apporti di sostanze fertilizzanti
usate per l'agricoltura e poi trasportate dai fiumi), ma anche dalle nuove
frontiere del deep sea mining, ovvero le attività di estrazione di minerali dai
fondali marini. La lista di ciò che oggi minaccia gli oceani potrebbe
continuare, ma la domanda da porsi è: qualcosa sta cambiando? O almeno, c'è la
volontà di cambiare? Secondo le Nazioni Unite sì: "the tides are
changing" - la marea sta cambiando - è lo slogan scelto dall'ONU per la
giornata mondiale degli Oceani di quest'anno.
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