Vengono per la stragrande maggioranza prodotti in Oriente, ma utilizzati in prodotti industriali di tutto il mondo. E se non ci sono le fabbriche si fermano. E' proprio vero che un battito d'ali, in questo caso in Oriente, si trasforma in un uragano in tutto il mondo. E' la globalizzazione.
Con il covid la produzione dei chip ha rallentato ma la vendita di prodotti che li contengono no, anzi con didattica a distanza e smartworking alcuni prodotti come i pc e tablet hanno avuto una impennata nelle vendite: le scorte sono state esaurite e adesso non ce ne sono per tutti.
I prezzi salgono, e i grandi produttori di elettronica fanno incetta di componenti. I pregiati “wafer“ (così si chiamano) di silicio, sono per il 70% del mercato nelle mani di due aziende, la coreana Samsung e la taiwanese Tsmc. I microchip o restano in Corea o prendono la via della Cina. In Europa e USA mancano proprio, o sono insufficienti.
Gli esperti dicono che la crisi continuerà ancora fino ai primi mesi del 2022. Gli Usa, ad esempio, hanno proposto di investire 39 miliardi di dollari in cinque anni per sostenere le aziende di microchip nel paese e altre industrie che investono in suolo statunitense. L’Ue invece vorrebbe stanziare 117 miliardi di dollari nell’arco di due o tre anni per la transizione digitale europea, che includerà anche la produzione di semiconduttori.
Un alto funzionario del governo giapponese ha detto: “Oggi, i semiconduttori sono importanti tanto quanto il cibo e l’energia”. Tokyo importa più del 60% dei semiconduttori utilizzati nel paese dalla Cina e da Taiwan, ma la pandemia da Covid-19 ha dimostrato quanto sia sempre più importante avere una produzione nazionale.
Inoltre nelle nuove auto elettriche i componenti "intelligenti" , il computer dell'auto, sono sempre più numerosi, molto più importanti del motore. Motivo in più perché ogni Paese si prepari per il futuro.
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