lunedì 21 dicembre 2015

I risultati della Conferenza sul clima di Parigi

L’accordo raggiunto a Parigi lo scorso 12 dicembre, al termine della COP21 è il primo passo di una presa di coscienza globale sui cambiamenti climatici, non certo la riparazione dei danni fatti in due secoli e mezzo di sviluppo industriale. Questa soglia, come hanno sottolineato in molti, mette le risorse fossili “dalla parte sbagliata della storia” e obbliga gli aderenti a optare per soluzioni energetiche smart, rinnovabili e pulite.
Dall’obiettivo dei 2°C, i leader hanno deciso di abbassare l’asticella di mezzo grado centigrado in meno a un + 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali che è, comunque, un obiettivo che non mette al sicuro le comunità più vulnerabili. Diciamo che si tratta di una soglia minima di sopravvivenza per le popolazioni costiere e per le isole che rischiano di scomparire per l’innalzamento del mare conseguente allo scioglimento dei ghiacci polari.
Dopo la conferenza le legislazioni dei singoli Paesi dovranno favorire gli investimenti tesi a rendere le nostre case, i nostri autoveicoli e i nostri luoghi di lavoro maggiormente efficienti. Ogni due anni le singole nazioni saranno chiamate a compiere una valutazione dei progressi.
Uno dei nodi principali della COP21 erano i diversi livelli di sviluppo dei Paesi chiamati a intervenire per rallentare i cambiamenti climatici. Come si è risolta questa discrepanza? Con una diversa richiesta di impegno: ai Paesi sviluppati vengono richiesti “obiettivi di riduzione”, ai paesi in via di sviluppo “sforzi di mitigazione”.
Inoltre l’accordo prevede un fondo di investimento misto (pubblico e privato) di 100 miliardi di dollari l’anno, a partire dal 2020, che supporti i Paesi a basso reddito a proteggersi dalle minacce legate al cambiamento climatico globale.
Secondo il presidente di Legambiente gli impegni presi sono sufficienti a ridurre soltanto di un grado il trend attuale di crescita delle emissioni di gas-serra, con una tendenza verso i 3°C. Non consentono, quindi, di contenere il riscaldamento del pianeta ben al di sotto della soglia critica dei 2°C, e ancor meno rispetto al limite di 1.5°C. Per molti esperti un forte limite è l’assenza di sanzioni e obblighi per i Paesi che non rimangono nei parametri fissati.
Per entrare in vigore dovrà essere oggetto di una ratificazione, accettazione e approvazione di almeno 55 Paesi rappresentanti almeno il 55% delle emissioni mondiali.

Gli impegni dei singoli Paesi in merito alla riduzione delle emissioni non hanno valore vincolante essendo volontari ma ogni entità nazionale ha l’obbligo di stabilirne uno e valutarne l’eventuale aggiustamento ogni cinque anni. Anche senza sanzioni, i Paesi trasgressori dovranno comunque rispondere del mancato raggiungimento degli obiettivi alla comunità internazionale e all’opinione pubblica.

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