lunedì 27 gennaio 2025

Perché è così difficile passare dalle auto a motore termico, a benzina o diesel, alle auto elettriche?

La domanda non è banale, perché mette in luce quello che ancora oggi è un grosso limite delle elettriche, cioè la densità energetica per Kg di batteria. Un valore che, sebbene sia molto migliorato negli ultimi anni, obbliga ancora ad avere batterie molto grandi e pesanti.

Negli ultimi anni è aumentata la capacità di immagazzinare energia nelle batterie è cresciuta, è così anche l’autonomia delle vetture elettriche ma la densità energetica delle batterie rimane di  0,2 kWh per kg di peso, rispetto ai 13 kWh di un chilo di gasolio o di benzina. Si può quindi dire che l'energia in batteria pesa 50 volte di pù anche se in circa 10 anni le batterie hanno fatto enormi passi avanti e l loro densità è migliorata di 10 volte. Di contro, però, il motore elettrico è molto più efficiente di un motore termico. 

Diesel e benzina hanno un’alta densità energetica e consentono di immagazzinare molta energia in uno spazio piccolo e leggero. Per questo hanno avuto molto successo come fonte di energia per veicoli.

Un altro vantaggio del carburante è che si tratta di un liquido, che necessita solo di un contenitore adattato alle sue caratteristiche per essere immagazzinato. Accumulare elettricità richiede un processo molto più complesso, con una batteria in grado di ricevere elettricità e  immagazzinarla.

Un’auto elettrica può immagazzinare molta meno energia, però ha bisogno di molta meno energia per muoversi, perché la trasforma in modo molto più efficiente. I motori a benzina più efficienti al mondo hanno un’efficienza energetica di circa il 40%, che aumenta al 45% sul Diesel. In altre parole, trasformano in movimento solo il 40-45% dell’energia che ricevono, mentre il resto viene perso in calore. Un motore elettrico, invece, ha un’efficienza superiore al 90%.

lunedì 20 gennaio 2025

Ma quanto è costata la pandemia da Covid 19 ?

La pandemia di COVID-19 ha avuto un impatto enorme a livello globale, sia in termini economici che di vite umane. Si stima che il costo economico complessivo superi i 30-40 trilioni di dollari, includendo perdite di produzione, spese sanitarie e interruzioni economiche. Nel 2020, il PIL globale è diminuito di circa il 3,5%, segnando una delle peggiori recessioni dal secondo dopoguerra. Settori chiave come turismo, commercio e produzione sono stati gravemente colpiti, con perdite significative: solo il turismo ha subito un calo di circa 4,5 trilioni di dollari. Oltre alle perdite finanziarie, circa 100 milioni di persone sono cadute in estrema povertà, aumentando le disuguaglianze globali.

Dal punto di vista umano, la pandemia ha causato almeno 7 milioni di decessi ufficiali, ma le stime basate sulla mortalità in eccesso suggeriscono che il numero reale potrebbe essere compreso tra 14 e 20 milioni. Gli anziani sono stati particolarmente vulnerabili, con tassi di mortalità molto più elevati, soprattutto nei paesi con un'età media alta. Tuttavia, il bilancio delle vittime è stato influenzato anche dalla qualità dei sistemi sanitari e dall'accesso ai vaccini. I paesi con sistemi sanitari più fragili e una distribuzione ineguale delle risorse hanno sofferto un impatto maggiore.

I vaccini contro il COVID-19 hanno avuto un ruolo fondamentale nella mitigazione della crisi. Secondo studi pubblicati su The Lancet, nel primo anno di vaccinazione (2021), i vaccini hanno prevenuto circa 20 milioni di decessi a livello globale, riducendo drasticamente le forme gravi della malattia, le ospedalizzazioni e i decessi. Il loro impatto è stato particolarmente evidente nei paesi con alti tassi di vaccinazione, mentre in quelli con copertura vaccinale limitata l'efficacia è stata ridotta.

In sintesi, la pandemia di COVID-19 ha rappresentato una delle crisi più devastanti della storia moderna, con costi economici e umani senza precedenti. Tuttavia, grazie alla cooperazione internazionale e alla rapida introduzione dei vaccini, è stato possibile salvare milioni di vite e contenere, almeno parzialmente, gli effetti più gravi della crisi. Nonostante ciò, le sfide a lungo termine, come la povertà crescente, i danni economici e le disuguaglianze globali, rimangono significative.

lunedì 13 gennaio 2025

Il Canale di Panama

Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti e nei giorni scorsi ha lanciato alcune delle sue frasi ad effetto: annettere il Canada Agli Stati Uniti, impossessarsi della Groenlandia e, perché no, del Canale di Panama. Effettivamente il Canale è stato costruito dagli Stati Uniti a inizio ‘900, ma oggi, a chi appartiene? Negli anni Settanta il presidente Usa Jimmy Carter, deceduto in questi giorni,  firmò un accordo per restituire il Canale allo Stato di Panama, ma il trattato diverrà effettivo solo nel 1999.

Nel 1500 Ferdinando Magellano aveva appena circumnavigato per la prima volta il globo dall'Atlantico al Pacifico, che già, alla corte di Carlo V di Spagna, nel 1523, circolava un'idea: realizzare un canale in America Centrale per collegare i due oceani, tracciando una via più breve e sicura verso le ricche Isole delle Spezie e le Indie. Ma solo più di tre secoli dopo, nel 1881, Ferdinand de Lesseps, costruttore del Canale di Suez, iniziò gli scavi su incarico della Francia. Ad inizio ‘900 fu il presidente Usa Theodore Roosevelt a rispolverare il progetto, attratto dai notevolissimi vantaggi economici derivanti da canale.

Ma come funziona? Il canale artificiale corre ad una quota di 26 metri più elevata rispetto al livello dei due oceani. La zona attraversata raggiungeva i 160 m di altitudine: per ridurre il dislivello prima a 50 m e poi a 26, vennero asportati quasi 80 milioni di metri cubi di roccia (circa 8 milioni di camion). Dopo il fallimento dei francesi nel 1904 entrarono gli Stati Uniti. Un sistema di tre chiuse fanno salire le navi fino al canale; altre tre le fanno ridiscendere al livello del mare.

GEOPOP: IL CANALE DI PANAMA

lunedì 6 gennaio 2025

L'IA consuma molta energia

L’intelligenza artificiale (IA) sta rapidamente crescendo e questo progresso comporta un alto consumo energetico. I grandi datacenter, richiedono enormi quantità di energia. Dal 2012, il fabbisogno energetico dell’IA è raddoppiato ogni 3 anni, raggiungendo consumi annuali equivalenti a quelli di quaranta centrali nucleari.

Secondo un professore Olandese entro il 2027 i datacenter che supportano l'IA potrebbero avere un consumo pari a nazioni come l’Argentina o i Paesi Bassi. Questo elevato consumo è dovuto alla potenza dei server necessari per alimentare l’IA. Attualmente, l'industria dell'IA è principalmente autoregolamentata, non ci sono limiti di consumo stabiliti dalle autorità,  ma esistono incentivi per ridurre i costi energetici tramite l'innovazione.

Un ulteriore problema è il consumo di acqua per raffreddare i datacenter: Microsoft, ad esempio, ha aumentato il consumo di acqua del 34% tra il 2021 e il 2022. Questi problemi di consumo di risorse energetiche e idriche dell'IA sono destinati a crescere.

Intanto qualche proposta per ridurre i consumi sta venendo fuori. Per esempio l’uso di hardware che limiti la potenza oppure strumenti che nei momenti critici di maggiore consumo interrompano l’addestramento dei sistemi di IA, senza comprometterne le prestazioni. Oppure ridurre la velocità di risposta dell’AI in cambio di un minore consumo.