lunedì 14 agosto 2023

Quanto valgono i nostri dati personali?

Li chiamiamo dati personali ma non sono più nostri. Né, qualora dovesse accaderci qualcosa di brutto, dei nostri familiari. Esemplare è la storia di quel papà che scrisse ad Apple per chiedere di poter accedere al dispositivo del figlio, morto, perché lì c’erano gli ultimi ricordi insieme. Non si può fare, gli risposero, una questione di privacy.

Non è più una esclusiva di istituzioni e governi democratici ma delle aziende tecnologiche. Difendere la privacy degli utenti vuol dire non rompere la fiducia che si instaura tra impresa tecnologica e compratori. Io fornisco a te un oggetto che diventa sempre più “personale”, raccolgo molti dati - che uso per costruire un tuo profilo aa scopo di marketing - ma della tua vita solo io, la tua azienda, so tutto. Un po’ come il segreto bancario o quello medico. Questi dati non verranno mai consegnati all’esterno, ci promettono. 

Ma non è questo il punto. Io posso scegliere consapevolmente di far custodire i miei dati a qualcuno, così come faccio con i miei risparmi e gli oggetti di valore. Scelgo io se tenere la cassaforte in casa oppure depositare tutto in banca. Il fatto è che non abbiamo ancora capito quanto valore hanno i nostri dati.

La tecnologia è una cosa bellissima. Ci aiuta a vivere meglio, a organizzare le nostre relazioni, ci fa risparmiare tempo e soldi, ci guida da un punto A a un punto B. Eccoci qui, quarant’anni dopo la promessa di Bill Gates, con Windows, di portare “un pc in ogni famiglia”, e dieci da quando Steve Jobs, con l’iPhone, è riuscito a portare “Internet in ogni tasca”.

Il nostro smartphone sa più cose di noi del nostro migliore amico, sa più cose di noi dei nostri genitori, fratelli, sorelle, del nostro capo, del medico, del salumiere di fiducia, del direttore di banca. Sa quanti soldi abbiamo sul conto, conosce le nostre abitudini, i nostri dati biometrici, sa se, quando e quanto ci muoviamo, dove andiamo, se siamo delle schiappe a correre, quali video guardiamo, cosa compriamo. Persino cosa stiamo per comprare e poi non compriamo. Grazie ai Social poi sa chi sono i nostri amici, cosa ci diciamo e scriviamo, cosa ci piace o non ci piace.

Una nota azienda di software antivirus, ha condotto una ricerca sulle abitudini degli utenti su internet ed è emerso che il valore medio dei dati personali registrati su Internet è di circa 40 euro, mentre il valore medio dei dati salvati sui computer e sui dispositivi mobili degli utenti è di oltre 600 euro.

Ci iscriviamo a Facebook gratuitamente, così come gratuitamente utilizziamo Google. Se ci facessero pagare un abbonamento, in cambio della promessa di non raccogliere i nostri dati, quanti di noi, sinceramente, sarebbero disposti davvero a sottoscriverlo?

Il vero business model dei social network siamo noi, le tracce che lasciamo quando navighiamo, consumiamo, visualizziamo o clicchiamo inserzioni. Senza questi dati crollerebbe tutto, verrebbero meno i motivi economici. Tant’è che è possibile dare anche un valore economico ad ogni iscritto: stando ai bilanci di Facebook, il valore medio di un utente, sul social, si aggira intorno ai 16 dollari.


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