lunedì 17 luglio 2023

Gerd, la diga della discordia

L’acqua sta incendiando i rapporti tra popoli, governi e industrie. L’immensa diga voluta dall’Etiopia a sbarramento del corso del Nilo Azzurro al confine con il Sudan negli ultimi mesi ha fatto alzare ad un livello altissimo gli attriti non solo tra Etiopia e Sudan, ma anche con l’Egitto, che vede messe pericolo le vitali inondazioni del fiume che da millenni coprono di fertile limo il suo suolo.

Contrasti analoghi generati sono causati dall’altra possente diga intitolata la cosiddetta ‘JNHPP’, che in Tanzania sommergerà entro poche stagioni vaste porzioni dello straordinario Parco nazionale del Selous (e che per questo l’Unesco ha cancellato dall’elenco dei siti protetti classificati come ‘Patrimoni dell’umanità’, e nei mesi scorsi preoccupazioni sono nate inoltre attorno agli stravolgimenti naturali causati dal completamento di un’altra diga, questa volta la ‘Gibe III’, opera italiana, che sbarra in Kenya il celeberrimo lago Turkana. La JNHPP è alimentata da un lago artificiale lungo 100 chilometri e  la Gibe III è simile con un  lago lungo 151 Km.

Poi ci sono le dispute sulle sempre più scarse acque del lago Ciad, fondamentali per le economie di quattro Stati del centro Africa, Niger, Nigeria, Camerun e Ciad. Il gigantesco lago ha perso in neanche mezzo secolo il 90 per cento delle sue risorse idriche, un po’ per la siccità e un po’ per il continuo prelievo di acqua per l’irrigazione, mettendo in bilico la sopravvivenza di pescatori e allevatori e generando vasti conflitti sociali che coinvolgono anche gli stessi agricoltori.

Tornando in Etiopia, tutto si gioca nel voler fornire adeguata energia alle industrie di cui si sta cercando a tutti i costi di ampliare la capacità produttiva, giudicata l’unica possibilità di sviluppo economico del Paese, mettendo in secondo piano altre esigenze.

La Gerd, acronimo di Grand Ethiopian Renaissance Dam, un nome che la dice lunga a tal proposito, è in fase di completamento ed è arrivata già al suo terzo riempimento. Si tratta della più grande diga mai realizzata in Africa, oltre il triplo della sua collega JNHPP e della Gibe III. I lavori iniziarono più di decennio fa affidati alla Webuild, impresa italiana conosciuta fino al 2020 con il nome di Salini Impregilo. E’ alta 155 metri, lunga 1,79 chilometri e affiancata da una diga secondaria alta 50 metri e lunga 5,2 chilometri con due centrali elettriche dotate di16 turbine in totale.

Quale significato abbia avuto il Nilo nella plurimillenaria storia egiziana non è il caso di ricordarlo qui, se non per dire che le periodiche alluvioni del fiume da sempre hanno permesso la vita con il loro apporto di limo, con il conseguente straordinario sviluppo di una civiltà in un luogo altrimenti totalmente desertico, e inospitale, privo di altri approvvigionamenti idrici.

Questo significa che è assolutamente doveroso trovare un accordo fra i Paesi per la gestione dell’acqua, ma il fatto che se ne discuta da 15 anni senza essere ancora arrivati ad una soluzione condivisa tra Etiopia, Sudan ed Egitto è un problema molto serio. C’è persino chi pensa che se non si troverà un accordo a tavolino tra i tre Paesi, il conflitto potrebbe trasferirsi sul piano delle armi, scatenando una vera e propria guerra per impossessarsi delle risorse idriche. 


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