Per quanto strano possa sembrare, a New York, una delle città più ecnologiche del mondo, fino ad ora era proibito portare i cellulari a scuola: non solo accenderli e usarli, ma introdurli, anche se spenti o ben nascosti negli zaini, nell'istituto. I metal detector installati all'ingresso di molte scuole scoraggiavano anche i più temerari. Ma dal prossimo marzo il divieto, stabilito dall'ex sindaco Michael Bloomberg cadrà, grazie a un provvedimento del suo successore, l'italo-americano Bill Di Biasio. Il nuovo sindaco è stato costretto a cambiare le cose perché i genitori non gli davano tregua. Petizioni, raccolte di firme, lettere ai giornali, tutti a ripetere la stesso filastrocca: «Abbiamo il diritto di poter contattare i nostri figli in qualsiasi momento». Così insistenti che il sindaco ha dovuto cedere e revocare il divieto. Strano: gli stessi padri e le stesse madri pronti a sgridare i ragazzi se trascorrono troppo tempo al cellulare, lo ritengono invece assutamente indispensabile nelle ore di scuola. Quando erano loro gli studenti i cellulari non esistevano e non sembrava così importante essere rintracciabili.
Non sarà che il problema non lo creano i figli ma i genitori, mentre i figli sono svelti ad approffittarne?
Meno contenti sono presidi e insegnanti, i quali sanno come quanto potrebbe essere utile lo smartphone a livello educativo ma anche quanto distraente.
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