lunedì 27 ottobre 2025

Quanto guadagnano gli artisti su Spotify nel 2025?

Nel 2025, la musica viene ascoltata soprattutto in streaming, e Spotify è la piattaforma più usata. Ma quanto guadagna davvero un artista? La risposta è: dipende. Il sistema di pagamento si basa sulle royalty, cioè compensi per l’uso delle opere artistiche, che si dividono in due categorie: di registrazione (per chi crea e registra la musica) e di pubblicazione (per chi detiene i diritti, spesso le etichette).

Gli artisti guadagnano principalmente tramite gli stream, cioè gli ascolti. Spotify paga in media da 3 a 5 dollari ogni 1000 ascolti: un milione di stream può fruttare tra 3.000 e 5.000 dollari. Il guadagno dipende anche dal tipo di abbonamento degli ascoltatori e dalla loro provenienza geografica.

Oltre agli stream, ci sono altri metodi per monetizzare:

  • Playlist e recensioni: gli artisti possono essere inseriti in playlist curate da utenti o professionisti, spesso tramite piattaforme a pagamento (come PlaylistPush o Submithub), aumentando visibilità e ascolti.
  • Merchandising: Spotify permette di collegare un negozio Shopify per vendere gadget personalizzati. I guadagni variano in base al prezzo dei prodotti e alle commissioni della piattaforma.
  • Podcast: alcuni artisti usano Spotify anche per fare podcast. Si può guadagnare tramite abbonamenti, donazioni, pubblicità e sponsor. I guadagni sono molto variabili.

Infine, è fondamentale il marketing. Avere visibilità sui social (Instagram, TikTok, YouTube) può aumentare del 30% gli ascolti su Spotify. Alcuni scelgono anche di comprare ascolti, per far crescere artificialmente i numeri e attirare l’attenzione degli algoritmi e dei fan.

In sintesi, Spotify può offrire buone opportunità di guadagno, ma è raro vivere solo di streaming. È necessario un mix di visibilità, strategie di promozione, e l’uso di più canali (merchandising, podcast, social media) per costruire un vero business musicale.

lunedì 20 ottobre 2025

Stiamo tornando analfabeti?

Negli ultimi anni molti studiosi e giornalisti hanno iniziato a parlare di “società post-alfabetizzata”, cioè di un mondo in cui leggere e scrivere testi lunghi non è più l’attività principale attraverso cui impariamo, pensiamo e comunichiamo. Secondo questa teoria, staremmo tornando, in un certo senso,  “analfabeti”, non perché non sappiamo più leggere le parole, ma perché non siamo più abituati a leggere con attenzione e a riflettere su ciò che leggiamo.

Fino a pochi decenni fa, la lettura di libri, giornali e riviste era un’abitudine diffusa. Dalla fine del Settecento in poi, l’alfabetizzazione aveva permesso a milioni di persone di accedere a nuove idee, scoperte scientifiche e riflessioni politiche. Era nata una vera e propria “rivoluzione della lettura”, che aveva reso possibile lo sviluppo della democrazia, della scienza e del pensiero critico. Leggere richiede infatti di seguire un filo logico, di fare collegamenti e di costruire ragionamenti complessi: capacità che stanno alla base di una società libera e consapevole.

Oggi però, secondo il giornalista inglese James Marriott, questa abitudine sta scomparendo. La causa principale sarebbe la diffusione degli smartphone e dei video brevi sui social network, che catturano la nostra attenzione in modo continuo ma frammentato. Guardare un video di pochi secondi non richiede lo stesso impegno mentale di leggere un testo o un libro: si reagisce più con le emozioni che con la logica. In questo modo, la nostra mente si abitua a pensare in modo rapido, disordinato ed emotivo, invece che razionale e profondo.

Anche le ricerche dell’OCSE mostrano che in molti paesi, Italia compresa, le competenze in lettura e scrittura sono in calo. E questa tendenza potrebbe avere conseguenze serie: una popolazione che legge poco e male è più facile da manipolare, perché non è abituata ad analizzare i fatti o a distinguere le informazioni vere da quelle false.

Per questo, leggere — un romanzo, un articolo o anche solo un testo complesso — non è un passatempo del passato, ma un esercizio di libertà. In un mondo pieno di immagini e video che scorrono senza sosta, la lettura resta uno dei pochi modi per rallentare, riflettere e capire davvero chi siamo e dove stiamo andando.

lunedì 13 ottobre 2025

Auto elettriche: e le batterie, che fine fanno?

Le auto elettriche sono sempre più diffuse. Non emettono gas di scarico, riducono l’inquinamento in città e rappresentano una delle soluzioni principali per abbattere le emissioni di CO₂ nel settore dei trasporti. Ma una domanda è fondamentale: che fine fanno le loro batterie quando non sono più utilizzabili?

Le batterie al litio utilizzate nei veicoli elettrici sono complesse: contengono materiali rari e costosi come litio, nichel, cobalto e rame. La loro produzione richiede un grande consumo di energia e spesso comporta impatti ambientali significativi legati all’estrazione mineraria. Per questo motivo, riciclarle è essenziale.

Attualmente esiste già una filiera in crescita dedicata al riciclo delle batterie. Alcune aziende recuperano i materiali attraverso processi meccanici o chimici, per poi riutilizzarli nella produzione di nuove celle. In Europa, è in vigore un regolamento che obbliga i produttori a garantire il riciclo delle batterie e a includere una percentuale minima di materiali riciclati nei nuovi accumulatori entro il 2030.

Prima del riciclo, però, molte batterie vengono destinate a una “seconda vita”: non sono più adatte a far funzionare un’auto, ma possono essere usate per immagazzinare energia in impianti solari, in colonnine di ricarica o come sistemi di backup per edifici e aziende.

Le prime auto elettriche vendute in massa risalgono a circa dieci anni fa, quindi il vero picco di batterie a fine vita è atteso tra il 2025 e il 2035. Nel frattempo, industrie e governi stanno investendo per creare impianti efficienti e sostenibili.

Le auto elettriche rappresentano un cambiamento importante, ma è fondamentale gestire correttamente il ciclo di vita delle batterie, per evitare che una soluzione ecologica si trasformi in un nuovo problema ambientale.

lunedì 6 ottobre 2025

Notebook LM

Google ha creato uno strumento molto utile chiamato Notebook LM, dove "LM" significa Language Model, cioè modello linguistico. A differenza dei chatbot generici come ChatGPT o Gemini, Notebook LM lavora solo sui materiali che gli dai tu: file PDF, pagine web, trascrizioni audio, Google Docs o link di YouTube. Questo è un grande vantaggio, perché l’app cita sempre le fonti, così puoi verificare da dove provengono le informazioni. 
L’app è organizzata in “taccuini”, ognuno costruito su una serie di documenti che carichi tu. Ci sono due sezioni principali: una per aggiungere e gestire le fonti, e un’altra per fare domande o chiedere riassunti, mappe concettuali o spiegazioni in linguaggio naturale. Anche se all’inizio può sembrare un po’ complicata da usare, appena impari a gestirla diventa un valido alleato per studiare, scrivere relazioni o preparare ricerche.
Una delle novità più interessanti è la possibilità di creare un podcast automatico. Notebook LM legge i tuoi documenti, li riassume e li trasforma in una conversazione tra due voci artificiali, che spiegano i concetti in modo chiaro. Puoi ascoltarlo dentro l’app, scaricarlo oppure interagire con esso, ponendo domande con la tua voce e ricevendo risposte subito, come in un talk show.
Notebook LM è perfetto per chi deve studiare molti materiali diversi, preparare un’esposizione o una verifica o fare una ricerca per un progetto. Può anche generare in automatico schede riassuntive, linee del tempo, domande frequenti e sintesi. Google sta migliorando continuamente lo strumento.
La versione per computer ha più funzioni rispetto a quella per smartphone, ma entrambe sono già molto potenti. In futuro arriveranno anche video panoramici e grafici interattivi. Notebook LM è gratuito per la maggior parte delle persone, ma chi paga un abbonamento mensile può usare più fonti e avere funzioni avanzate. In poche parole, Notebook LM è un assistente intelligente che può davvero semplificare lo studio e rendere più interessante il modo in cui impariamo.