sabato 30 ottobre 2021

La guida assistita riduce l'attenzione dei conducenti

 

Il sospetto lo avevano già in tanti: i sistemi di guida assistita particolarmente evoluti, come l'autopilot di Tesla, spingono i conducenti a essere meno attenti a ciò che succede sulla strada, e in qualche caso li inducono a delegare totalmente alla tecnologia la gestione del veicolo e a dedicarsi a tutt'altro durante il viaggio. Quello che fino a oggi era solo un dubbio è stato confermato da uno studio scientifico recentemente condotto dai ricercatori del MIT (il celebre Istituto di Tecnologia made in USA): quando il conducente inserisce il pilota automatico, smette di guardare la strada e concentra lo sguardo su zone della vettura che poco o nulla hanno a che fare con la guida.

Le case automobilistiche sono molto chiare a riguardo: il sistema di guida assistita è un ausilio in grado di aiutare il conducente nella maggior parte delle situazioni, non è (per ora) un sistema di guida autonoma in grado di funzionare senza supervisione. Lo studio del MIT è stato decisamente lungo: i ricercatori hanno iniziato a collezionare dati sulla guida assistita a partire dal 2016, piazzando all'interno di alcune Tesla dotate di autopilot una serie di speciali telecamere in grado di seguire gli occhi del pilota. Le auto hanno viaggiato per oltre 800.000 km, permettendo così ai ricercatori di raccogliere una grande mole di dati.

A fare distrarre i conducenti sarebbe la vettura stessa: secondo i dati raccolti l’attenzione del conducente è catturata dal grande schermo posizionato al centro del cruscotto della Tesla. Quando l'autopilot è attivo, gli sguardi al quadro ricco di informazioni sono più lunghi e "concentrati" rispetto a quando si sta guidando attivamente. Numeri, grafici e lancette digitali che riportano tutti i dati relativi al viaggio e alle performance della vettura catturano l'attenzione più del panorama.

Si tratta di un comportamento pericoloso: il cambiamento di comportamento del conducente, spiegano gli scienziati nello studio, rischia di innescare pericolose abitudini che potrebbero essere difficili da cambiare quando l'autopilot è spento.

venerdì 29 ottobre 2021

COP26, che cos’è?

La COP26 è la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021. COP significa Conferenza delle Parti, le Parti sono gli Stati che vi partecipano. La prima (COP1) è stata a Berlino nel 1995 , mentre particolarmente significativa è stata la COP3 di Kyoto, in cui venne adottato il cosiddetto Protocollo di Kyoto, con il quale gli Stati iniziarono ad impegnarsi nella riduzione dei gas serra.

Tra pochi il Regno Unito, a Glasgow, ospiterà dunque la COP26 un evento che molti ritengono essere la migliore, nonché ultima, opportunità del mondo per tenere sotto controllo le conseguenze devastanti dei cambiamenti climatici.

In vista della COP26 il Regno Unito sta lavorando con ciascun Paese per raggiungere un accordo su come affrontare i cambiamenti climatici. I leader mondiali attesi in Scozia saranno più di 190. Ad essi si uniranno decine di migliaia di negoziatori, rappresentanti di governo, imprese e cittadini per dodici giorni di negoziati.

Nei prossimi giorni si riunisce anche il G20 a Roma, che raduna i 20 più ricchi paesi del mondo, e tra i principali temi di discussione naturalmente ci saranno anche i cambiamenti climatici che subito dopo i leader dei Paesi si troveranno a discutere a Glasgow.

L’ultima importante COP si tenne a Parigi nel 2015, da cui scaturirono appunto gli accordi di Parigi. Per la prima volta successe qualcosa di epocale: tutti i Paesi accettarono di collaborare per limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi, puntando a limitarlo a 1,5 gradi. Inoltre i Paesi s’impegnarono ad adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici e a mobilitare i fondi necessari per raggiungere questi obiettivi. Glasgow sarà il momento in cui i Paesi aggiorneranno i propri piani per raggiungere gli obiettivi stabiliti.

Ma non è tutto. Gli impegni presi a Parigi non sono neanche lontanamente sufficienti per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, e la finestra utile per il raggiungimento di questo obiettivo si sta chiudendo. Quindi per quanto il vertice di Parigi sia stato un evento epocale, i Paesi dovranno spingersi ben oltre quanto fatto in quello storico vertice per mantenere viva la speranza di contenere l’aumento della temperatura a 1,5. La COP26 deve essere decisiva. 

mercoledì 27 ottobre 2021

Rifiuti elettronici: una miniera di metalli preziosi

I rifiuti elettronici sono una miniera di metalli preziosi: oro, rame, argento ma anche palladio e rodio utilizzati per la costruzione di schede elettroniche e microprocessori. Estrarli comporta processi lunghi, costosi e che richiedono notevoli quantità di energia, insomma c’è poco da guadagnarci.

La recente scoperta di un team di ricercatori della Rice University del Texas potrebbe però rendere questi processi più accessibili. Si è messo a punto un processo industriale noto come "flash Joule heating", solitamente utilizzato per la produzione del grafene e altri materiali supersottili.

Il materiale da riciclare, dopo essere stato polverizzato, viene portato istantaneamente, tramite una scarica elettrica, a oltre 3.000°C. A questa temperatura i metalli evaporano, vengono aspirati e portati ad una camera di condensazione dove vengono fatti raffreddare e solidificare nuovamente. I diversi materiali vengono a questo punto separati e recuperati mediante comuni processi industriali.

Questo processo, che consuma relativamente poca energia, permette di recuperare e smaltire correttamente anche i metalli tossici come il piombo, l'arsenico, il cadmio e il mercurio, normalmente difficili da separare.

Questa tecnologia, una volta industrializzata, potrebbe rappresentare una svolta importante: ogni anno finiscono in discarica oltre 40 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici e solo il 20% di queste viene riciclato.

mercoledì 6 ottobre 2021

L'Energia eolica galleggiante sta prendendo il largo

L’eolico galleggiante, parte del mondo eolico offshore, sta decollando. Proprio in questi giorni  si sta ultimando il più grande più grande parco eolico galleggiante del mondo in Scozia. La quinta e ultima turbina eolica galleggiante è stata collegata ai suoi ormeggi a circa 15 chilometri dalla costa.

È il più grande, ma non certo l’unico: in Norvegia stanno per essere avviati due progetti di eolico galleggiante. Altri progetti stanno partendo in Spagna e in Italia nel Canale di Sicilia. Il primo parco eolico galleggiante del Mediterraneo potrebbe nascere presto nel Canale di Sicilia, al largo di Marsala. L'impianto sarà composto da 25 pale galleggianti ciascuna e sarà invisibile dalla costa siciliana, a una distanza di oltre 35 chilometri da Marsala. L’eolico off-shore (al largo delle coste) tradizionale ha necessità di essere installato in fondali bassi (massimo 50 metri). Il luogo ideale fino ad ora è stato il Mare del Nord. L’eolico galleggiante si prepara ad affrontare il mare aperto, dove i venti sono più forti e non c’è impatto visivo: le torri (sempre più alte, sta per essere sperimentata una torre da 260 m, un grattacielo da 70 piani) non sempre sono gradite alla vista.

La tecnologia che verrà utilizzata si chiama TetraSpar ed è stata sviluppata in Danimarca (il paese più avanzato nella tecnologia eolica): è di più semplice installazione e promette di abbassare il costo dell’energia, finora non concorrenziale. L’Agenzia Internazionale dell’energia (IEA) stima che le turbine eoliche galleggianti potrebbero fornire elettricità sufficiente a soddisfare 11 volte la domanda mondiale di elettricità.



lunedì 4 ottobre 2021

Auto sempre più intelligenti e connesse

 

Se il telaio è scheletro dell'auto, la carrozzeria la pelle e il motore il cuore, allora la sofisticata rete di centraline elettroniche e circuiti integrati ne costituisce il sistema nervoso. I chip? Quasi dei neuroni: sono costituiti da piastrine di silicio su cui si basano i circuiti. Un'auto moderna può avere anche 3.500 chip— che equivalgono a circa 800 euro di silicio — sparsi in oltre 50 dispositivi di controllo (tanti ne ha una comune Volkswagen Golf). E più l'automobile si farà complessa e automatizzata, più chip serviranno.

Costruire microchip — globalmente il 65% è prodotto a Taiwan— è un'impresa: si parte da barre di silicio, i «wafer», con un diametro fino a 30 cm, da cui sono generati da 100 a 10 mila chip. La produzione avviene in ambienti sterili con atmosfera controllata, il personale indossa tute apposite, guanti, maschere e scarpe speciali. Del resto, particelle di polvere trasportate dall'aria, perfino scaglie di pelle, potrebbero contaminare i chip, rendendoli inutilizzabili. Per fabbricarne uno servono tra i 600 e 1.200 passaggi e possono volerci anche 16 settimane.

Nelle auto, i chip trovano applicazione ovunque si tratti di aumentare comfort e sicurezza di guida o di ridurre consumi ed emissioni. Ad esempio, si usano per la gestione di servosterzo, tergicristalli, alzacristalli elettrici, sensori radar o per il Body Control Module, il sistema nervoso periferico del veicolo, un computer che controlla le funzionalità non direttamente correlate al motore. In pratica, tutti i pulsanti si collegano a un singolo computer che a sua volta accende i fari, apre i finestrini, controlla la chiusura centralizzata della porta. Ma servono chip anche nei dispositivi che gestiscono airbag, freni, climatizzatore, luci e nei sistemi di controllo della trasmissione, nonché nell'unità di controllo motore, il sistema nervoso centrale dell'auto, che gestisce l'iniezione del carburante e, nei propulsori a benzina, l'accensione della miscela aria-carburante.