Vi invito a leggere questo post del prof. Ugo Bardi. Un po' lungo, lo so, ma ci aiuta a capire come la realtà spesso è più complesa di come ce la immaginiamo.
Guardate la mappa qui sopra: mostra dove sono piazzate le centrali nucleari francesi. Notate che ce ne sono sei una dopo l'altra in un arco che va lungo le Alpi, a ridosso del confine con l'Italia. Perché mai saranno tutte quante proprio li'?
C'è chi ha parlato di questioni di sicurezza, chi dell'acqua del Rodano da usare per il raffreddamento. Può darsi, ma la sicurezza varia poco da un posto a un altro e la Francia è un paese generalmente ricco di acqua. La spiegazione sembrerebbe un'altra; una che ha a che fare con l'uso che si fa delle centrali nucleari, ovvero la produzione di energia elettrica. Usando linee ad alta tensione, l'energia elettrica si può trasportare anche a parecchie centinaia di chilometri di distanza ma, comunque, a costo di una certa perdita. Per questo, conviene che le centrali siano costruite vicino agli utenti. Ora, se i Francesi hanno costruito le loro centrali il più vicino possibile all'Italia è probabile che fin dall'inizio progettassero di vendere l'energia all'Italia, come stanno facendo da almeno vent'anni.
Ora, vorrei provare a fare un'ipotesi complottista. Più di una volta ho detto male di chi vede complotti dappertutto ma è vero anche che i complotti esistono e certe volte è proprio difficile ignorarli. Non vi viene in mente l'idea che il referendum antinucleare del 1987 sia stato un complotto, ovvero il modo per rifilarci un bel "bidone nucleare" da parte dei nostri vicini di casa francesi?
A seconda della parte da cui uno sta, il referendum del 1987 si può vedere come una grande vittoria degli ambientalisti in favore della sicurezza e della sanità pubblica, oppure come un vile colpo alla schiena contro un'industria alla quale l'ideologia degli ecofanatici ha impedito di svilupparsi sfruttando ignobilmente l'onda emotiva del disastro di Chernobyl del 1986. L'una o l'altra di queste versioni degli eventi fanno comodo, rispettivamente, agli ambientalisti, che possono vantarsi di una grande vittoria, e ai nuclearisti, che possono dare la colpa agli ambientalisti per il mancato sviluppo delle centrali nucleari italiane.
Ma siamo proprio sicuri che le cose siano andate veramente così?
Per prima cosa, consideriamo che il movimento ambientalista italiano non è mai riuscito a ottenere una vittoria importante nella sua storia, nemmeno contro la caccia ai fringuelli. E' strano che sia riuscito a impallinare così facilmente un'industria importante come quella nucleare. E' curioso poi che l'Italia sia l'unico paese al mondo che abbia smantellato centrali funzionanti o in corso avanzato di costruzione. Ci sono diversi paesi in Europa che non hanno centrali nucleari (per esempio Grecia e Austria) e altri che si sono impegnati nel non costruirne di nuove oltre a quelle esistenti (come la Germania). Ma nessuno ha smantellato le proprie centrali prima della fine della loro vita operativa. L'Italia è una vera anomalia energetica.
Dall'altra parte, come sapete, la Francia ha puntato tutto o quasi sulla fissione nucleare per la propria energia elettrica. La Francia è il solo paese al mondo che ha fatto una cosa del genere e anche questa è un'anomalia, diametralmente opposta a quella italiana. Non potrebbe darsi che le due confinanti anomalie si spieghino l'una con l'altra?
Mettiamoci dal punto di vista dei francesi negli anni '60 e '70. Avevano deciso di potenziare al massimo la produzione di energia nucleare. Avevano la tecnologia e le risorse, la Francia aveva addirittura delle miniere di uranio sul territorio nazionale. Però avevano un problema: l'energia nucleare si adatta male alla caratteristica di domanda variabile di energia elettrica.
La potenza immessa nella rete elettrica varia continuamente a seconda della domanda. Di giorno c'è un picco di richiesta mentre di notte se ne richiede molta meno. La richiesta varia anche stagionalmente, con dei picchi in inverno e anche in estate per i condizionatori d'aria. In una rete tipica ci sono degli impianti, di solito turbine a gas, che funzionano in modo intermittente per seguire la variazione. La notte, quando la richiesta è bassa, molti impianti a combustibile fossile vengono semplicemente spenti.
Seguire la richiesta variabile della rete è una cosa difficile con le centrali nucleari. Sono di solito impianti molto grandi; con potenze intorno al gigawatt (GW) o di più, che non sono agevoli da accendere o spegnere. Questo non vuol dire che non si potrebbero progettare delle centrali nucleari in grado di seguire la domanda, ma il problema è un altro. Nelle centrali nucleari, il combustibile (uranio) che genera il calore costa abbastanza poco rispetto al costo totale dell'impianto e quindi il costo dell'energia prodotta dipende principalmente dai costi di ammortamento. Per ridurre questi costi al massimo, bisogna che l'impianto funzioni 24 ore su 24 a tutta potenza. E' così che la maggior parte delle centrali nucleari sono progettate. Spegnere la centrale ogni tanto vorrebbe dire ridurre la produzione lasciando invariati i costi; ovvero aumentare i costi del kWh prodotto. Il contrario vale per le centrali a combustibili fossili dove il costo principale è dovuto al combustibile stesso. A centrale spenta, non si consuma combustibile, per cui conviene tenerla spenta, se possibile.
Quindi, i Francesi si trovavano davanti a un problema con la loro idea di usare quasi esclusivamente il nucleare per la loro energia elettrica. Per coprire la richiesta di picco avrebbero dovuto sovradimensionare gli impianti rispetto ai momenti di bassa domanda, ma questo li avrebbe costretti a buttar via un sacco di energia. Oppure potrebbero aver limitato le centrali al numero che avrebbe permesso di tenerle sempre al massimo della potenza; ma allora non avrebbero potuto coprire tutta la richiesta.
Arriviamo ora al complotto: i Francesi devono aver pensato a questo punto "Beh, l'energia che produciamo in eccesso con le nostre centrali la possiamo vendere ai nostri vicini!". Si sono guardati intorno e hanno visto che la Germania e la Svizzera avevano già le loro centrali; la Spagna a quei tempi non assorbiva tanta energia. L'Italia era invece affamata di energia: proprio dirimpetto c'era la pianura Padana, una delle più grandi zone industriali d'Europa, a una distanza sufficientemente breve da poter essere raggiunta con elettrodotti ad alta tensione. Il cliente perfetto del nucleare francese.
Il problema era che a quei tempi l'Italia aveva un programma nucleare assai evoluto e all'avanguardia. Era forse più indietro di quello francese, ma se si fossero costruite le centrali nucleari italiane previste, non ci sarebbe stata più la necessità di importare energia dalla Francia.
Da qui in poi, non possiamo fare altro che delle ipotesi. Come sempre, quando si parla di queste cose, non possiamo portare prove di nessun genere. Cerchiamo di evitare il complottismo di bassa lega, ma non possiamo fare a meno di notare che c'era una convergenza di ragioni per le quali era conveniente per qualcuno che l'Italia uscisse dal nucleare. A livello strategico, l'Italia è stata considerata per molti anni un alleato inaffidabile. Fino al crollo dell'Unione Sovietica, c'era ancora la preoccupazione che i comunisti avrebbero potuto prendere il potere e trascinare l'Italia nel patto di Varsavia che, a quel punto, avrebbe avuto accesso fra le altre cose anche alla tecnologia nucleare occidentale. Oppure, si temeva che l'Italia avrebbe potuto fare una politica nucleare indipendente. Di certo, un'Italia senza energia nucleare era un buon cliente per il nucleare francese e non avrebbe fatto concorrenza a nessuno in quello che si vedeva allora come un mercato in espansione: quello dell'energia nucleare in tutto il mondo.
E' impossibile dire come tutte queste pressioni si siano coalizzate fino a produrre il referendum del 1987; ma sicuramente c'erano delle forze imponenti che non volevano un'Italia nucleare e che hanno colto l'occasione dell'ondata emotiva del disastro di Chernobyl per distruggere l'industria nucleare italiana.
In effetti, la storia dell'industria nucleare italiana somiglia per diversi aspetti a quella dell'industria petrolifera al tempo di Enrico Mattei. In tutti e due casi, il tentativo di fare una politica energetica indipendente da parte dell'Italia fallì per l'opposizione di forze molto più potenti di quelle che l'Italia poteva mettere in campo. Nel 1962, Mattei pagò con la vita il suo tentativo.
E così Francia e Italia si sono trovate a braccetto per vent'anni. L'Italia cliente del nucleare francese, la Francia cliente della capacità del sistema energetico italiano di assorbire parte dell'energia in eccesso prodotta dalle centrali francesi. La situazione si è evoluta negli anni e il grande black-out del 2003 ha fatto si che la dipendenza italiana dalle centrali Francesi sia stata nettamente ridotta per evitare ripetizioni. Ma rimane il fatto che l'Italia è un cliente dell'energia nucleare francese. In un certo senso, è stato un buon affare per tutti e due i paesi. Si potrebbe arguire, addirittura, che l'affare migliore l'ha fatto l'Italia che non ha avuto la necessità di doversi impegnare negli investimenti necessari per costruire centrali nucleari sul proprio territorio.
Ma, ahimé, come si suol dire "i nodi vengono al pettine". L'iperspecializzazione a lungo andare non paga. Se la Francia si è iperspecializzata nel nucleare, l'Italia si è iperspecializzata nei combustibili fossili. Entrambi si trovano oggi in difficoltà.
Da una parte, la Francia ha esaurito da un pezzo le proprie miniere di uranio ed è costretta a rifornirsi sul mercato internazionale. Ma la situazione delle forniture di uranio è estremamente difficile con la produzione mineraria mondiale che copre solo circa il 60% della domanda e con poche prospettive di grandi espansioni nel futuro. Per ora, i francesi si riforniscono con uranio ricavato da vecchie testate nucleari sovietiche smantellate. Questo potrà durare ancora qualche anno, ma dopo? A che prezzi l'uranio? Ci sarà uranio da comprare, anche a qualsiasi prezzo? In aggiunta, le centrali nucleari francesi hanno funzionato ormai per molti anni e si pone il problema dello smantellamento e della bonifica dei siti. Già questo è destinato a costare cifre immense, ma il problema è un altro: vale la pena di impegnare le enormi risorse necessarie a ricostruire le centrali senza la sicurezza di poterle rifornire di uranio?
Il fallimento della politica nucleare Francese, in effetti, è cominciato molto tempo fa, con il costoso fallimento del reattore a neutroni veloci "Superphénix" che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi di scarsità di uranio fissile producendo combustibile a partire da una forma di uranio non fissile e abbondante. Certamente, la centrale incontrò dei grossi problemi tecnici, ma non tutto è chiaro sulle ragioni della sua chiusura. Superphénix fu sabotata più volte e addirittura attaccata a colpi di bazooka nel 1982.
Da parte sua, l'Italia si trova in guai forse peggiori. La crisi del petrolio e dei fossili sta colpendo molto duramente un paese che aveva fatto della raffinazione una delle sue industrie portanti. Tutto il sistema industriale italiano si basa su energia che viene dai fossili: l'aumento dei prezzi di mercato lo sta mettendo in una crisi che potrebbe essere terminale.
Né la Francia né l'Italia hanno investito seriamente nell'energia rinnovabile e ora si trovano terribilmente indietro rispetto ad altri paesi, come la Germania, la Cina, e il Giappone che lo hanno fatto e lo stanno facendo. C'è ancora tempo per rimediare, forse, ma in entrambi i paesi, la virata verso l'unica direzione possibile si sta ancora facendo attendere.
In Francia, si cerca di insistere con il nucleare, sognando di un difficilissimo ritorno ai reattori veloci. Non è impossibile, ma dopo il fallimento del Superphénix bisognerebbe ricominciare da zero e non c'è più tempo con la crisi del petrolio non più alle porte ma ormai arrivata.
Anche in Italia, c'è chi sogna un ritorno al nucleare. Non sarebbe forse impossibile: in fondo l'opposizione internazionale al nucleare Italiano dovrebbe essersi molto ridotta dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Ma le difficoltà sono immense. Dopo la distruzione delle competenze e degli investimenti italiani nel nucleare si tratterebbe oggi di ricominciare da zero. E l'Italia si trova di fronte allo stesso problema della Francia: chi può garantire che ci sarà uranio sufficiente per garantire il ritorno degli enormi investimenti per nuove centrali?
In Italia, la virata verso le rinnovabili sarebbe molto più facile che in Francia dato che non c'è un parco di centrali nucleari da smantellare a costi immensi. Per cui, è strana tanta lentezza e tanta resistenza in Italia. Lacci burocratici di ogni sorta, leggi che sembrano fatte apposta per scoraggiare chi vuole installare le rinnovabili; "leggi truffa" con le quali si dice che si vogliono finanziare le rinnovabili e invece si finanzia l'incenerimento. Come ciliegina sulla torta, l'Italia è probabilmente l'unico paese al mondo dove c'è gente che scrive libri interi per dimostrare che le rinnovabili non servono a niente e trova anche chi li compra.
E' possibile che ci sia un complotto contro le rinnovabili, così come potrebbe essercene stato uno ai suoi tempi contro il nucleare? Sembrerebbe di no. A differenza del caso dell'industria nucleare, l'industria delle rinnovabili non ha particolari risvolti strategici. Se l'Italia si lanciasse in quella direzione, nessuno ha particolare interesse a impedircelo. Se ci sta arrivando sulla testa un nuovo bidone, quello di non fare l'energia rinnovabile, è un bidone che ci stiamo tirando addosso da noi stessi per ignoranza e stupidità.
(Ugo Bardi 6 Ottobre 2007)
putroppo non sarebbe la prima volta che l' italia fa stupidaggini a proprio danno come per la televisione a colori: l' italia era leader mondiale nella produzione di televisione ma per colpa dei problemi legislativi del passaggio al colore le industrie sono tutte fallite.
RispondiEliminamolto bello non e la prima volta che l'italia fa stupidaggini
RispondiEliminaBello questo commento
RispondiEliminaAspettiamo che i nuovi cittadini (voi) diventino grandi per evitarci ulteriori stupidaggini