Più spesso, i robot assumono il ruolo di compagni di classe. È il caso di Rubi, un robot socievole a basso costo, finalizzato a migliorare il vocabolario dei bambini più piccoli. Funziona automaticamente e può cantare, ballare, prendere e restituire oggetti usando i suoi attuatori fisici. Può quindi proporre ai bambini giochi mirati allo sviluppo del lessico, passando da un esercizio all’altro in base a un algoritmo, un “rilevatore dell’interesse” che tiene conto del numero di volti rilevati e dei tocchi ricevuti nell’ultimo minuto. È stato testato per due settimane in una scuola dell’infanzia, rilevando un miglioramento del 30% nelle conoscenze linguistiche dei bambini.
Oppure Robovie che interagisce con gli alunni di una scuola elementare giapponese. Può identificare i bambini tramite i tag wireless da loro indossati e quindi può chiamarli per nome incoraggiando così l’interazione. Robovie si intrattiene con i bambini anche durante la pausa pranzo e suscita il loro interesse promettendo di rivelare un segreto se trascorrono più tempo con lui.
Vi sono poi ricerche in cui sono i bambini che insegnano a un robot. In una scuola di inglese per bambini giapponesi tra 3 e 6 anni un robot di piccole dimensioni interagisce con loro ma compie anche parecchi errori e sembra quindi aver bisogno del loro aiuto. Risulta che i verbi inglesi sono memorizzati molto meglio quando i bambini si impegnano nell’insegnarli al robot.
Analogamente, in un altro esperimento, un gruppo di alunni fra 6 e 8 anni ha insegnato a scrivere a un robot Nao, programmato per fare gli errori più tipici della loro età e per migliorare gradualmente le sue prestazioni in base agli esempi da loro disegnati su un tablet. Anche se non è chiaro se ciò abbia migliorato la loro calligrafia, i bambini erano desiderosi di insegnare al robot.
Sebbene abbiano quasi tutti un aspetto antropomorfico, i robot utilizzati in queste ricerche sono fra loro diversi. Alcuni, come Robovie, sono progettati per funzionare autonomamente, senza input umano, altri si presentano come autonomi ma sono controllati da remoto, come Saya.
L’idea degli insegnanti robot non è fantascientifica ma le loro capacità di operare autonomamente sono ancora limitate, spesso aiutate da interventi umani evidenti o nascosti. L’obiettivo di questi studi è capire il grado di accettazione dei robot, più che loro efficacia nell’insegnamento. Al momento, quindi, si stanno ancora esplorando i fattori che influenzano l’interesse dei bambini nei robot, come il sentirsi chiamare per nome o la possibilità di accedere a informazioni privilegiate.
Naturalmenti questi esperimenti sollevano molte questioni. La prima riguarda la privacy. I robot sociali possono raccogliere informazioni personali e hanno strumenti per registrare il mondo che li circonda: approfittando della loro apparente natura sociale, possono estorcere confidenze dalle persone.
Una seconda preoccupazione concerne il rapporto fiduciario che può instaurarsi con il robot. Se questo è costruito per assomigliare a un uomo gli utenti potrebbero aspettarsi che sia in grado di prendersi cura di loro. Ma è una conclusione ingannevole e non scontata.
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