La mela armena. Così i romani chiamavano l'albicocca, perché pensavano che venisse dall'Armenia. Ma in realtà il frutto viene da più lontano: alla Persia, se non addirittura dalla Cina. In ogni caso da quel favoloso frutteto del mondo che fu l'Oriente, un oriente mitico più che geografico. Una location esotica, una terra da mille e una notte piena di misteri e ricca di primizie. Nei dialetti rimane traccia dell'origine armena: in piemontese per esempio l'albicocca è ancora chiamata armugnan.
Arrivò dopo le conquiste di Alessandro Magno, sulle rive del Mediterraneo. Conosciuta in Europa grazie ai Romani all'inizio dell'era cristiana, ebbe un periodo di oblio durante il Medioevo. Furono gli Arabi a reintrodurre la coltivazione dell'albicocco attorno al X secolo, non solo per finalità gastronomiche ma anche a scopi farmacologici.
Primizia significa in origine il nome dell'albicocca che deriva dal latino praecocum, letteralmente «precoce». Con questo termine i romani inizialmente chiamavano tutte quante le primizie. Ma quando questa parola finisce sulla bocca degli arabi diventa al-berquq. È il passo decisivo verso i nomi moderni del frutto arancione, come lo spagnolo albaricoque, il francese abricot, l'inglese apricot, il tedesco Aprikose e il nostro albicocca. Così a furia di rimbalzi fra Oriente e Occidente, l'albicocca finisce per diventare la primizia per antonomasia. A riprova del fatto che l'origine di un cibo è il racconto di un millenario ping-pong fra le culture, di un rimescolamento di idee, di passioni, di gusti. Una storia di migrazioni gastronomiche, di meticciati alimentari. Proprio come capita ai viaggiatori, gli alimenti passando da una terra all'altra finiscono sempre per assomigliare al paese che visitano, ne assumono insomma gli umori anche senza volere.
È quel che capita alle albicocche quando arrivano a Napoli e trovano la loro terra promessa ai piedi del Vesuvio, in quella lava nera come la pece e fertile come una madre. In quel crocevia del Mediterraneo sospeso, come diceva Goethe, tra il bello e il terribile, quella che fu la mela armena si carica della straripante energia del vulcano. La vampata di rossore che illumina il velluto arancione della sua pelle delicata è il segno caratteristico che l'albicocca si è fatta vesuviana. Duecentotrenta minerali diversi distillati dalla terra, eruzione dopo eruzione, fanno la differenza. Perché le pendici del vulcano non sono soltanto il giardino più fertile del mondo ma un'autentica, inarrestabile colata di sapore.
La buccia del frutto è di colore variabile dal giallo pallido al rosso aranciato. La sua polpa, vivace e preziosamente profumata, oltre ad essere piuttosto nutriente e' ricca di sali minerali e vitamine, utili nella terapia delle anemie, dei difetti della vista e del mal d'orecchi.
Nella cosmesi popolare l’albicocca e' stata sempre accoppiata anche alla cura della pelle. L’olio ottenuto dai suoi semi, racchiusi nel nocciolo, e' molto efficace sia per il trattamento delle smagliature che delle rughe.
Particolarmente digeribili, le albicocche possono essere consummate fresche, secche, sciroppate e anche sotto forma di succo. Ai piu' golosi, ricordiamo che e' proprio a base di albicocche la marmellata usata per farcire la squisita torta Sacher, celebre specialita' della tradizione dolciaria Viennese. Scelta veramente felice, dato che l'unione tra il sapore a tratti acidulo di questo frutto e quello denso del cioccolato, nonostante l'apparente contrasto, ha generato una delle piu' grandi delizie del mondo.
Il bacino del Mediterraneo, è comunque la zona di maggior diffusione dell’albicocca, dove si raccoglie circa il 60% dell’intera produzione mondiale. Altre importanti zone produttive sono l’Asia Minore, la California e l’Europa orientale. I principali paesi produttori di albicocche sono, nell’ordine, Turchia, Russia, Spagna, Italia, Stati Uniti, Francia e Grecia.
In Italia si producono più di 1.800.000 quintali di albicocche all’anno e ben l’84% del raccolto si ottiene in sole quattro regioni: Campania (38,7%), Emilia-Romagna (26,6%), Basilicata (13,3%) e Sicilia (5,5%), in queste zone la pianta dell’albicocco trova le sue condizioni ottimali per crescere e produrre.