Una data, 18 marzo 2018, purtroppo da ricordare. Nella cittadina di Tempe, in Arizona, si è verificato il primo incidente mortale tra un pedone e un'auto a guida autonoma. La vettura coinvolta è stata una delle Volvo XC90 di Uber, appositamente modificate per la guida autonoma di livello 4. Uber è il servizio di trasporto automobilistico privato che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti tramite un'app. Un incidente che ha sollevato immediatamente (e giustamente) il problema della sicurezza e dell’affidabilità delle auto a guida autonoma. Preoccupazioni sacrosante, ma che rischiano di scatenare un eccessivo allarmismo.
Purtroppo l’opinione pubblica tende a considerare le auto a guida autonoma tutte sullo stesso piano, ma è un settore in cui molti colossi (automobilisti e non) sono scesi in strada, con progetti e livelli di sperimentazione ben diversi.
È evidente che, nel caso specifico, qualcosa non ha funzionato, ma è altrettanto evidente il fatto che Uber stesse cercando a tutti i costi di bruciare le tappe.
La più famosa tra le self driving car è senza dubbio quella di Google. Ebbene, il loro progetto è operativo su strada dal 2009 e a febbraio ha superato il traguardo degli 8 milioni di km. Non solo tanti chilometri reali, ma anche tantissimi chilometri "virtuali”: nel solo 2017 le Google car hanno ”percorso” sul simulatore oltre 4 miliardi di chilometri. E Uber? È entrata in questo settore solo nel 2015, con il primo prototipo su strada pronto a settembre 2016. Secondo gli ultimi dati disponibili, a fine 2017 le Uber car avevano percorso oltre 3milioni di km, ma era evidente come il progetto avesse ricevuto un'accelerazione brusca, con vere e proprie marce forzate. Uber tentava di colmare la distanza da Google a suon di chilometri, ma la sicurezza era in secondo piano.
Un dato significativo è la frequenza con cui il pilota umano umano deve ”sostituirsi” al computer e bypassare il sistema per evitare un incidente. Oggi le Google car richiedono in media l’intervento dell’uomo una volta ogni 9 mila mm, mentre quelle di Uber ogni 20 km: n
pratica, sbagliano 400 volte di più. Ma perché allora tutta questa fretta? In gioco ci sarebbe la stessa sopravvivenza di Uber. In un’intervista del 2016 il suo amministratore ha affermato: ”Se non arriviamo tra i primi non esisteremo più”.
Lo stop della sperimentazione di Uber non solo è necessario per analizzare, nello specifico, cosa non ha funzionato questa volta, ma dovrebbe servire a capire che gli interessi economici non rendono le nostre strade e le nostre città un labirinto per cavie. E se pensate che sia un problema solo americano, sappiate che i prossimi anni ci riguarderà da vicino: il 6 marzo, infatti, anche l'Italia ha dato il via libera alla sperimentazione delle tecnologie di guida autonoma.
Forse lo dimentichiamo, ma, come diceva Umberto Eco “Il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, anzi, è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti".