L'8 maggio 1978 l'alpinista italiano Reinhold Messner raggiunge la vetta della montagna più alta del mondo, l'Everest (m. 8848), insieme al compagno Peter Habeler, per la prima volta senza l'aiuto di bombole di ossigeno.
La scalata dell'Everest senza l'ausilio di bombole di ossigeno era considerata fino ad allora impossibile per l'uomo, tanto che Messner e Habeler vengono accusati di aver utilizzato di nascosto delle mini-bombole. Tuttavia, nel 1980 Messner mette a tacere le polemiche e raggiunge di nuovo la vetta dell'Everest senza l'ausilio di ossigeno, e in solitaria.
Messner nasce secondogenito di nove fratelli a Bressanone nel 1944. A soli 5 anni compie le prime ascensioni in compagnia del padre. All'età di tredici anni inizia a scalare le vette della Val di Funes in cui cresce, in primis quelle dolomitiche e successivamente quelle alpine. In seguito, studia all'Università di Padova.
Sin dagli anni sessanta è uno dei primi e più convinti sostenitori di uno stile di arrampicata che utilizzi un equipaggiamento minimo e leggero, sull'Himalaya senza portatori, sherpa, né ossigeno supplementare: una filosofia alpinistica volta a non invadere le montagne, ma solamente ad arrampicarle. Tra gli altri alpinisti che successivamente seguiranno le idee di Reinhold Messner già dagli anni sessanta, il fratello Günther e Peter Habeler, che divenne in seguito suo compagno di imprese.
Nel 1970 effettua la sua prima scalata di una delle principali vette dell'Himalaya: il Nanga Parbat. L'impresa è funestata dalla morte del fratello minore Günther, avvenuta mentre i due stavano affrontando la discesa, due giorni dopo aver raggiunto la cima. Reinhold Messner, che subirà l'amputazione di sette dita dei piedi in seguito al congelamento, diventa oggetto di polemiche perché accusato di non aver fatto il possibile per trarre in salvo Günther. Ttuttavia con una spedizione successiva e a distanza di molti anni, Messner dimostra l'infondatezza delle critiche rivoltegli.
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