lunedì 25 marzo 2024

Ma quanto inquinano le navi?

L’inquinamento atmosferico causato dalle navi da crociera e mercantili è un problema sempre più rilevante. Uno studio condotto da T&E, un’organizzazione ambientalista indipendente europea, ha classificato Genova come il terzo porto italiano, dopo Civitavecchia e Napoli, e il tredicesimo in Europa per l’inquinamento atmosferico generato dalle navi da crociera. Secondo l’organizzazione ambientalista, l’inquinamento causato a Genova dalle navi da crociera è 2,5 volte superiore a quello prodotto dal traffico veicolare in città.

Oltre alle navi da trasporto passeggeri, anche le navi mercantili rappresentano una fonte significativa di inquinamento. Viaggia su nave oltre il 90% del trasporto mondiale di merci, e le loro emissioni di gas a effetto serra continuano a crescere. Si stima che le emissioni di CO2 delle navi mercantili rappresentino circa il 2,5% delle emissioni globali totali.

In particolare gli ossidi di zolfo emessi dalle navi sono particolarmente dannosi per la salute umana. È necessario adottare misure più rigide per garantire che le navi rispettino norme ambientali più stringenti e utilizzino combustibili più puliti se si desiderano realmente limitare se non annullare gli effetti degli inquinanti sulle zone delle città portuali più esposte.

Secondo T&E, sulla base dei dati analizzati nel loro studio, la priorità per ridurre l’inquinamento è quella di elettrificare i consumi energetici durante la permanenza in porto delle navi. L’elettrificazione delle banchine, che consente l’alimentazione da terra di energia elettrica senza dover utilizzare i motori delle navi stesse, è in corso di attuazione nei principali porti. Nel porto di Genova alcune zone sono già state elettrificate, mentre per le aree in cui attraccano le navi da crociera e i traghetti i lavori sono in corso.

lunedì 18 marzo 2024

I ricchi inquinano di più

Ogni anno, le persone più ricche dell'1% del mondo producono un livello di anidride carbonica che equivale a quello generato da quasi un milione di pale eoliche. Nel 2019, questa élite ha emesso una quantità di CO2 paragonabile a quella prodotta da cinque miliardi di persone, ovvero circa i due terzi della popolazione mondiale.

Questi dati mostrano quanto sia grande la differenza tra chi ha molto e chi ha poco, soprattutto in termini di impatto sull'ambiente. Secondo un rapporto di Oxfam chiamato "Climate equality, a planet for the 99%" , tra il 2020 e il 2030, le emissioni di quest'1% più ricco causeranno un eccesso di 1,3 milioni di morti legate al caldo, un numero simile alla popolazione di Dublino.

I super-ricchi, stando a quanto afferma Oxfam, stanno danneggiando il pianeta in modo irreparabile, portando a caldo eccessivo, inondazioni e siccità che mettono a rischio l'umanità. Amitabh Behar, direttore esecutivo ad interim di Oxfam International, sottolinea che è impossibile fermare la crisi climatica senza porre fine all'accumulo eccessivo di ricchezza.

Il rapporto di Oxfam mostra chiaramente che i super-ricchi contribuiscono in modo significativo all'innalzamento della temperatura globale a causa dei loro stili di vita ad alto impatto ambientale. Per esempio, l'1% più ricco ha emesso il 16% delle emissioni globali legate ai consumi nel 2019, superando le emissioni di tutte le auto e dei mezzi di trasporto su strada.

Il divario tra i super-ricchi e il resto del mondo è così ampio che ci vorrebbero 1.500 anni per produrre la stessa quantità di CO2 da parte di qualcuno nel 99% più povero della popolazione. Questa situazione mina gli sforzi globali per raggiungere gli obiettivi ambientali, come stabilito nell'Accordo di Parigi. Oxfam chiede ai governi di prendere provvedimenti, suggerendo una tassa del 60% sui redditi dell'1% più ricco, che potrebbe ridurre le emissioni e finanziare la transizione verso fonti di energia rinnovabile.

In sintesi, Oxfam propone una ridistribuzione globale del reddito, l'eliminazione veloce ed equa dei combustibili fossili, nuove tasse per le aziende e i miliardari, e l'abbandono del PIL come indicatore principale del progresso umano.



lunedì 11 marzo 2024

Chi ha inventato l'asfaltatura delle strade?

Avete mai provato a viaggiare su una strada non asfaltata, con la polvere che si solleva dietro le ruote? Ricordate il sollievo che si prova quando si torna su una strada decente?

Tale sollievo è oggi possibile perché fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento vari inventori si sono proposti di migliorare le strade percorse dalle  automobili che stavano presentandosi nel mondo come nuovi ammirevoli mezzi di trasporto. L’asfalto è una scoperta italiana.

Si scoprì che varie rocce naturali contenevano una materia catramosa che poteva essere fusa e stesa sulle strade che diventavano adatte al traffico automobilistico. Queste rocce asfaltiche si trovano in Sicilia, nel In Svizzera, nel Canada, negli Stati uniti, e in molti altri paesi. La storia della tecnica di pavimentazione stradale ha avuto molti protagonisti. Gli svizzeri per esempio ricordano con orgoglio un loro concittadino, Ernest Guglielminetti (1862-1943), figlio di emigrati italiani, medico, che a inizio Novecento propose al principe Alberto I di Monaco di “asfaltare” un tratto di lungomare del Principato con una miscela di bitume caldo, ghiaia e sabbia. Guglielminetti non volle brevettare la sua invenzione, fu deriso e soprannominato “Dottor Asfaltò”, anche se col tempo furono riconosciuti i suoi meriti.

Oggi “asfalto” e “bitume” sono termini ben definiti, ma nel secolo passato, la pavimentazione stradale è stata fatta con diversi materiali, alla ricerca di manti stradali lisci, che non usurassero le gomme dei veicoli, che attenuassero il rumore, che resistessero alla pressione dei mezzi di trasporto e alla pioggia, al ghiaccio e al caldo. Per la pavimentazione stradale è stato usato asfalto ricavato dalle rocce naturali, poi catrame residuo della distillazione del carbon fossile, poi il bitume che residua dalla distillazione del petrolio dopo la separazione della benzina, del gasolio e degli oli combustibili.

Il bitume viene miscelato con sabbia, ghiaia, pietrisco e anche con residui di lavorazioni industriali,  per esempio residui di gomma. I rivestimenti stradali devono essere di lunga durata e devono assicurare un basso attrito con le ruote in modo da diminuire i consumi di energia e quindi l’inquinamento degli autoveicoli. Da alcuni anni sono stati addirittura inventati dei processi che permettono, quando il rivestimento stradale è usurato, di “strappare via” il manto superficiale che può essere macinato e fuso di nuovo e steso poi su altre strade, una forma di riciclo di molti materiali e di diminuzione dei costi di pavimentazione e manutenzione.

Quando incontrate le squadre addette alla pavimentazione stradale, operai a torso nudo che spargono la miscela calda e la livellano con i rulli compressori, rivolgete un piccolo pensiero all’alto contenuto tecnologico che tale semplice operazione ha in sé. E rivolgete un pensiero anche a quel nostro connazionale emigrato che oggi gli svizzeri ricordano e onorano.

Video: Perché si formano le buche nelle strade?


lunedì 4 marzo 2024

Il declino dei combustibili fossili

Il 2023 è stato un anno chiave per i cambiamenti energetici in Europa. Per la prima volta, per esempio, le fonti fossili sono scese sotto un terzo della produzione complessiva nei 27 Stati UE, e sempre per la prima volta i parchi eolici hanno battuto il gas. In più, eolico e fotovoltaico insieme hanno prodotto più di un quarto dell’energia elettrica. A mettere in luce questi dati e quanto la transizione energetica stia accelerando è il rapporto di Ember, noto centro sudi inglese, secondo il quale le rinnovabili stanno per raggiungere il 50% della produzione di energia elettrica europea.

Inoltre evidenzia poi come il calo del carbone, già in declino da tempo, abbia accelerato nel 2023, dopo lo stop  allo scoppio della guerra in Ucraina e proseguirà anche nel 2024 grazie a un’ondata di chiusure di centrali. Anche la generazione da gas è diminuita per il quarto anno consecutivo.

Non mancano però gli ostacoli nella corsa delle rinnovabili. Per l’eolico ci sono i tempi troppo lunghi per ottenere le autorizzazioni alle installazioni delle torri, mentre per il fotovoltaico sembrano diradarsi i timori riguardanti la scarsità di pannelli. 

La crisi energetica e l'invasione della Russia dell'Ucraina non hanno portato a una rinascita del carbone e del gas, anzi. Il carbone è prossimo alla fase di uscita e poi sarà il turno del gas di entrare in declino terminale, mentre l'eolico e il solare crescono.