martedì 7 gennaio 2020

Acciaio e cemento non sono materiali ecosostenibili

Come abbattere la valanga di emissioni della produzione di acciaio e cemento?

Le industrie di acciaio e cemento producono ogni anno il 16% dei gas serra, tanti quanti quelli di tutti gli Stati Uniti. Tagliarle è un'impresa complessa, ma alcune aziende e centri di ricerca ci stanno lavorando.

Mentre ci si accapiglia su come produrre elettricità senza emissioni, su come far marciare auto e camion a batteria e persino sull'opportunità o meno di usare gli aerei, ben pochi riflettono su come abbattere le emissioni di due settori che producono il 16% dei gas serra del mondo: le industrie dell’acciaio e del cemento.

Forse se ne parla poco perché riuscire a fare qualcosa in merito è un’impresa disperante, sia per le difficoltà tecniche, sia perché si tratta di prodotti di uso così generale.

Solo di acciaio, per dire, ne vengono prodotti 1,8 miliardi di tonnellate nel mondo ogni anno, che finiscono in migliaia di prodotti diversi, con un metodo di produzione che è una “festa” per le emissioni di CO2 dagli altoforni che bruciano carbon coke.

Ma anche la produzione del coke, che si fa arrostendo il carbon fossile nelle cokerie, produce tanta anidride carbonica, oltre al mix di altri gas tossici.

Dall’altoforno esce poi ghisa, una lega ricca in carbonio, che va trasformata in acciaio in convertitori a ossigeno, producendo, indovinate un po’, altra CO2. Infine l’acciaio, scaldato a 1000 °C, viene trasformato in barre, tondini rotaie, lamiere, in grandi laminatoi, che emettono la CO2 prodotta dalle centrali che forniscono l’elettricità per il processo.

Visto però che il primo passaggio in altoforno da minerale a metallo, da solo, è responsabile della metà delle emissioni, intanto si potrebbe provare a cambiare quello.

Per farlo si possono usare gas riducenti diversi dal CO del coke: all’Ilva di Taranto, per esempio, si sta valutando la possibilità di usare il metano, che sempre CO2 fossile produce, ma almeno salterebbe eviterebbe le emissioni derivanti dalla produzione del coke.

Ma c’è chi studia anche una soluzione ben più radicale: usare l’idrogeno, che produrrebbe, come scarto della reazione con l’ossido di ferro, solo vapore acqueo.

Ci sta lavorando una azienda siderurgica svedese con tre impianti sperimentali di conversione del minerale con idrogeno. L'idrogeno i qualche modo bisogna produrlo, per esempio con elettrolisi dell'acqua, ma se per farlo si usassero energie rinnovabili, cioè separando l'idrogeno dall'ossigeno,  ecco allora che avremmo un ferro a emissioni zero. Si sa già che un acciaio del genere costerà il 30% in più: tantissimo per un'industria che già fatica a tirare avanti. Potrà esistere solo se verranno sovvenzionate queste tecnologie innovative e puniti con dazi i metodi tradizionali che producono fiumi di CO2.

Ma, viene da pensare, c’è proprio bisogno di produrre ancora acciaio? Non potremmo farcela con il solo riciclo del rottame di ferro?
Il riuso del rottame comporta solo la sua fusione in forni elettrici, che, se alimentati con energia a zero CO2, non comportano emissioni. E ridurrebbe anche i danni ambientali minerari e le emissioni per il trasporto del minerale. Ma gli esperti ci dicono di no: l’acciaio da riciclo contiene troppo impurità, altri metalli, che lo rendono adatto per fare rotaie o tondini per l’edilizia, ma non acciaio inossidabile o lamiere per automobili. Fino a che non si troverà un modo di purificare l’acciaio da rottami durante la fusione, bisognerà continuare a produrne di nuovo da minerali.

Nessun commento:

Posta un commento