domenica 30 marzo 2008

Il nuovo Golfo

                                         (    dal quotidiano Avvenire)

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Tra le giungle di mangrovie e i mille rivoli dell’immenso fiumeNiger, gli impianti delle grandi compagnie occidentali succhiano la ricchezza del Delta: un terzo delle riserve di petrolio dell’intera Africa, che fanno della Nigeria l’ottavo produttore di greggio al mondo. Un Eldorado oggi devastato, dal punto di vista ambientale e sociale, a causa dello sfruttamento selvaggio delle sue risorse - oltre al petrolio anche il gas naturale – portato avanti da decenni grazie a un’alleanza maledetta tra autorità locali corrotte e governi e compagnie occidentali, che ha prodotto una ricchezza da cui la popolazione locale,  nonostante le sue rivendicazioni, è stata sistematicamente tagliata fuori. Dopo che la ribellione pacifica del popolo Ogoni, guidata dall’attivista e scrittore KenSaro-Wiwa, fu soffocata nel sangue(Saro-Wiwa fu impiccato dai militari nel 1995), la lotta degli abitanti del Delta è passata negli anni alleazioni di forza: è forse solo a causa del rapimento dei tecnici italiani Agip da parte del Mend (Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger) nel dicembre del 2006 che la nostra opinione pubblica ricorda, vagamente, le vicende di questo angolo di mondo. Ma proprio questo pezzetto dell’Africa nera - che comprende anche Guinea Equatoriale, Camerun, Gabon nell’era post 11 settembre è diventato, sempre più, una regione strategica nella mappa globale delle risorse energetiche. Addirittura, il golfo di Guinea sta diventando una fonte essenziale per l’approvvigionamento americano di petrolio e di gas; sta diventando l’alternativa al golfo Persico». È questa la tesi di James Marriott, Andy Rowell e Lorne Stockman nel libro Il prossimo golfo (pagine 264, euro 14), uscito per Terre di mezzo/ Altreconomia. «Anche fatti recentissimi dimostrano che l’attenzione delle grandi potenze mondiali si sta concentrando su questa regione del mondo», spiega Marriott, attivista del gruppo britannico Platform. Il titolo del libro è solo una provocazione? «No. La situazione nel Delta del Niger si sta complicando sempre più, con la presenza in loco di nuovi importanti attori come la Cina e, a sorpresa, anche la Russia. Lo scorso dicembre, all’improvviso, la Gazprom legata all’attuale presidente Medvedev ha avviato negoziati con il ministero nigeriano del petrolio. Questi nuovi interessi nella regione, che si aggiungono a quelli di Stati Uniti ed Europa, rendono la situazione più critica e instabile».Ma c’è una relazione diretta tra la situazione irachena e quella nel golfo di Guinea? «Sì. Ai tempi dell’attacco americano all’Iraq, nel 2003, non ci si aspettava che la situazione degenerasse nella misura in cui poi è avvenuto. La produzione di greggio si è abbassata rispetto a prima della guerra. Ma c’è di più: secondo i piani statunitensi, il nuovo governo iracheno avrebbe dovuto varare una Oil Law, una legge ad hoc volta a dare alle compagnie occidentali l’accesso alle riserve di petrolio, e che avrebbe rappresentato un precedente per aprire le porte alle corporation nell’intero Medio Oriente, dal Kuwait agli Emirati fino magari all’Arabia Saudita. E invece, gli iracheni non hanno varato alcuna legge e l’accesso alle risorse mediorientali si fa sempre più difficile». E qui entra in gioco il golfo di Guinea…«Nel Delta del Niger e nell’intera regione ci sono grosse riserve di petrolio, e da lì l’esportazione via nave è molto più rapida ed economica che dal golfo Persico. Inoltre, assistiamo in tutto il mondo, dal Venezuela alla Bolivia, dalla Russia al Kazakhstan, a una tendenza dei Paesi produttori a riprendere in mano la gestione delle proprie risorse. Non sorprende dunque che l’attenzione si concentri sulla Nigeria. Dove, tuttavia, la ribellione popolare contro abusi e corruzione complica le cose». Quali sono le responsabilità delle compagnie in tali abusi? «Come spieghiamo nel libro, le corporation sono state coinvolte in fatti gravi che hanno poi scaricato sulla polizia militare: anche oggi, è facile addebitare tutte le colpe al governo corrotto. Lo scorso novembre Chevron e Shell si sono trovate pesantemente implicate in un affare di corruzione che coinvolgeva un uomo politico:  alla fine questo politico è stato arrestato, ma, subito dopo, il capo del Comitato per i crimini economici e finanziari, istituito a suo tempo dal presidente Obasanjo, è stato licenziato. A riprova dei fortissimi interessi in gioco. E visto che i maggiori episodi di corruzione riguardano i contratti per il petrolio, è evidente il coinvolgimento delle compagnie estrattrici, ma anche di molte banche occidentali, come la Royal Bank of Scotland. Eppure nessuno è stato mai giudicato né punito per fatti anche  gravissimi, come la morte di Saro-Wiwa. Ma noi siamo convinti che, per arrivare a una riconciliazione, prima si debba passare per un’inchiesta pubblica: non c’è futuro se non discutiamo prima il passato». Che ruolo ha l’opinione pubblica mondiale nel tenere viva l’attenzione su questa regione del mondo? «Dobbiamo impegnarci a vari livelli. Per quanto riguarda le compagnie petrolifere (tra cui l’italiana Eni,ndr), dovremmo esigere che in Nigeria non operino secondo standard diversi da quelli seguiti in Occidente, mentre alle istituzioni finanziarie bisogna chiedere conto delle loro responsabilità nei progetti del Delta. A livello di Stati e di istituzioni internazionali, ci vorrebbe un maggiore coinvolgimento politico in ciò che sta succedendo in Nigeria, visto che questa regione rifornisce di gas e petrolio mezza Europa…Eppure non ne sentiamo mai parlare! È importante, allora, mantenerci il più possibile informati (in Inghilterra abbiamo creato un movimento culturale e il sito www.remembersarowiwa.com), tenere alta l’attenzione,  leggere: azioni semplici,alla portata di chiunque. Ma che possono fare la differenza.

 

1 commento:

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    BEL SITOOOOOOOO ^_^

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