mercoledì 19 dicembre 2007

L'Italia e il nucleare

656fec30fa0b61d402fefcb1182b70a4.jpgAvvenire 18 dic 2007
Cos’è questa ritrovata passione per
il nucleare che da qualche mese
condiziona ragionamenti e analisi
di politici, industriali e accademici?
Cosa c’è di concreto dietro alla proposta
di tornare a fare ricerca sull’atomo,
dopo vent’anni di silenzi e di veti? L’impressione
è che da un lato ci sia la comprensibile
buona volontà di recuperare
il terreno perduto, non prima di aver
chiarito alcune incognite su questa tecnologia,
dall’altro la voglia di fughe in avanti
che però rischiano di non contemplare
quanto è stato fatto in questi
ultimi anni. Perché, questa è la novità,
qualcosa si è mosso e si muove: nei centri
di ricerca universitari, nei piani di sviluppo
oltrefrontiera dei colossi italiani
dell’energia, nei rapporti di collaborazione
con le agenzie nucleari dell’Onu
e dell’Ocse e nelle alleanze bilaterali tra
governi. Ieri a Roma un convegno organizzato
dall’Ain, l’associazione italiana
nucleare, ha chiesto di riconsiderare
l’opzione nucleare e di puntare su un
piano energetico nazionale. La nascita
recente di un «intergruppo» parlamentare
che in modo trasversale sostenga
queste necessità è il segno che la spinta
di ricercatori e aziende, a differenza
del passato, sta facendo breccia anche
nel Palazzo.
Le competenze da aggiornare
È vero che, dopo il referendum del
1987, in Italia non esistono le condizioni
per realizzare nuovi impianti nucleari,
però questo non significa che
competenze e ricerca non siano state
gelosamente conservate da alcuni nuclearisti
convinti. È il caso del professor
Maurizio Cumo, ordinario di Impianti
nucleari alla Sapienza di Roma.
«La ripresa delle attività di ricerca –
spiega Cumo – serve in primo luogo
per mantenere e aggiornare le competenze
necessarie per portare a compimento
le attività di smantellamento
delle centrali dismesse».
È la cosiddetta fase di decommissioning,
gestita dalla Sogin di cui lo stesso
Cumo è presidente, sugli impianti
di Caorso, Trino, Garigliano e Latina.
C’è poi un altro aspetto, relativo agli
sviluppi della tecnologia nucleare
made in Italy all’estero. La notizia più
importante, in questo senso, è stata
la firma a inizio dicembre dell’intesa
tra Enel e Edf per la realizzazione del
reattore nucleare di terza generazione
Epr, nel cui azionariato la società
italiana sarà presente con una quota
del 12%.
L’offensiva industriale
Ma Enel aveva già compiuto un passo
strategicamente rilevante nell’atomo
con l’acquisizione in Slovenia della
maggioranza della società slovacca
Slovenske Elektrarne e delle sue centrali
nucleari. Se a ciò aggiungiamo la
vitalità delle aziende di casa nostra
che lavorano su componenti degli impianti
nucleari, come Ansaldo Nucleare,
Ansaldo Camozzi o Techint , il
panorama industriale ne emerge
tutt’altro che rassegnato al declino.
Esiste infine un terzo ambito di ricerca:
quella universitaria. Alcuni atenei
italiani hanno dato vita al Cirten, il
consorzio interuniversitario per la ricerca
tecnologica nucleare: si tratta
dei Politecnici di Milano e Torino e
delle Università di Padova, Palermo,
Pisa e Roma La Sapienza, atenei in cui
sono previsti corsi di laurea o insegnamenti
in Ingegneria nucleare. Un consorzio
che lavora in stretto collegamento
con l’Enea, che ha continuato
ad operare in questi anni nell’ambito
dei programmi europei sull’atomo.
Resta invece sul tavolo il nodo sicurezza:
ricordate il caso di Scanzano Jonico,
con la rivolta popolare che nell’autunno
2003 portò alla sospensione
del progetto che aveva individuato
nella città lucana il sito unico per la
raccolta delle scorie radioattive? Quei
fatti dimostrarono allora che le difficoltà
di comunicazione, soprattutto
nei confronti dei territori, quando si
parla di nucleare erano ben lontane
dall’essere risolte.
Un sito per l’Europa?
Oggi il tema della messa in sicurezza
resta attuale, anche se il dibattito europeo
potrebbe condurre all’identificazione
di un unico sito ad hoc per lo
smaltimento dei rifiuti in tutto il Vecchio
continente. Ciò detto, «se si è fatto
fatica a trovare una comunità locale
che fosse disposta a farsi carico del
problema negli anni scorsi – argomenta
Cumo – si farà ancora più fatica
nel riaprire eventualmente alle
centrali nucleari in futuro». Stando agli
esperti, il problema sta tutto ancora
nella mancata moral suasion da
parte delle istituzioni, visto che «non
c’è alcuna legge che impedisce di fare
progetti in materia». Mentre il gigante
della ricerca si muove, seppur lentamente
e a piccoli passi, riemergono le
note difficoltà politiche, unite alle perplessità
di tipo economico. Se un domani
si dovesse investire sul nucleare,
infatti, bisognerebbe tenere conto che
i costi di costruzione dell’impianto incidono
molto di più rispetto a quanto
avviene per l’energia prodotta da centrali
termoelettriche a gas: il 50-60%
contro il 15-20%. Non solo: le spese da
sostenere all’inizio sono più elevate e
non tutti i costi sono preventivabili.
«Ma da questo punto di vista – osserva
Cumo – la miglior garanzia che prima
o poi ci si dovrà decidere per il nucleare,
dipenderà dal prezzo del petrolio:
se continuerà a costare intorno ai 90-
100 dollari al barile, arriverà anche per
noi il tempo delle scelte».

 

 

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