La giustizia climatica è l’idea che il cambiamento climatico non colpisce tutti allo stesso modo e che, quindi, non può essere affrontato solo come un problema tecnico o scientifico. È anche un problema sociale, perché coinvolge diritti, responsabilità e disuguaglianze. Alcune popolazioni stanno già pagando un prezzo molto alto per una crisi che in realtà è stata causata, in gran parte, da altri.
Pensiamo ai Paesi più poveri del mondo, o a certe comunità rurali, costiere o indigene. Sono spesso i primi a subire le conseguenze del riscaldamento globale, come l’innalzamento del livello del mare, la desertificazione o la scarsità d’acqua. Eppure, sono anche quelli che hanno contribuito di meno all’inquinamento e all’aumento delle emissioni di gas serra. I Paesi ricchi, invece, sono stati per decenni i principali responsabili delle emissioni, perché hanno costruito la loro ricchezza usando combustibili fossili come carbone e petrolio.
La giustizia climatica chiede, quindi, che si tenga conto di queste differenze. Non è giusto, per esempio, pretendere che tutti i Paesi facciano gli stessi sforzi nella lotta al cambiamento climatico, se le responsabilità storiche non sono le stesse. Allo stesso modo, anche all’interno di uno stesso Paese, le persone più povere o con meno mezzi hanno bisogno di essere aiutate ad affrontare la transizione ecologica, per non essere lasciate indietro.
Un altro aspetto importante è la partecipazione: chi subisce le conseguenze della crisi climatica dovrebbe poter dire la sua, avere voce nei processi decisionali. Giovani, comunità locali, popolazioni indigene: sono tutti soggetti che spesso non vengono ascoltati, ma che hanno tanto da dire e da insegnare.
In poche parole, la giustizia climatica significa affrontare il cambiamento climatico con attenzione all’equità e ai diritti umani. Perché salvare il pianeta non basta: bisogna farlo in modo giusto per tutti.