Il problema più grande era il trasporto. Il mare era ghiacciato e le navi non potevano navigare. Gli aerei dell’epoca erano ancora troppo inaffidabili, e il maltempo rendeva impossibile il volo. L’unica ferrovia arrivava solo fino a Nenana, un villaggio che distava ancora 1085 chilometri da Nome. Sembrava non esserci nessuna possibilità di far arrivare il siero in tempo per salvare gli abitanti della città.
L’unica soluzione rimasta era rischiosa e mai tentata prima su una distanza simile: una staffetta di slitte trainate da cani. Venti musher, i guidatori di slitte, e circa 150 cani si organizzarono per trasportare il prezioso carico tra il gelo e le tempeste di neve. Le condizioni erano proibitive, con temperature che scendevano fino a -50°C, venti così forti da far perdere l’orientamento e percorsi pericolosi tra laghi ghiacciati e montagne. Nonostante tutto, i coraggiosi musher e i loro cani si lanciarono nell’impresa.
Leonhard Seppala era considerato il miglior musher dell’Alaska. Per accelerare la corsa, decise di prendere una scorciatoia attraverso un tratto più corto ma molto più pericoloso, riuscendo così a risparmiare tempo prezioso. L’ultimo tratto della staffetta fu affidato a Gunnar Kaasen, che con il suo cane guida Balto affrontò l’ultima parte del viaggio, lunga 85 chilometri, fino all’arrivo a Nome. Quando la slitta entrò in città il 2 febbraio 1925, gli abitanti si radunarono attorno ai musher e ai loro cani, accolti come eroi. Il siero era arrivato in tempo e l’epidemia fu fermata prima che potesse causare ancora più vittime. Normalmente, per coprire quella distanza sarebbero stati necessari almeno venti giorni, ma grazie al coraggio di uomini e animali il siero arrivò in 5 giorni, salvando centinaia di vite.
Dopo l’impresa, Balto divenne il simbolo di quella straordinaria avventura. A New York gli venne dedicata una statua a Central Park e ancora oggi, questa impresa viene ricordata con gara di slitte che segue parte dello stesso percorso affrontato dai coraggiosi musher del 1925.